Era un bel pomeriggio e me ne andavo a spasso per la città, quando qualcuno
chiamò: « Valentina, su muoviti. »
Davanti a me c’erano due ragazze e chi avevano chiamato, si era fermata a
guardare una vetrina.
Riunendosi alle altre due, continuarono a camminare lungo il marciapiede,
incrociandomi.
Al momento che la ragazza di nome Valentina si trovò a due passi da me, le
dissi:
« Lo sà che ha il nome come il mio? »
La ragazza fermandosi, disse: « Cioè? »
« Mi chiamo Valentino Valentini. »
« Non ci credo, mi stai prendendo in giro. »
Tirai da tasca il portafoglio e prendendo la Carta d’Identità, gliela
diedi.
Valentina aprì la Carta e lesse quello che c’era scritto.
Le altre due amiche, prima si erano fermate, poi si avvicinarono a noi
chiedendo a Valentina, perché si era fermata con uno sconosciuto.
Valentina mostrando la Carta d’Identità disse: « Questo ragazzo si chiama
Valentino.»
« E allora? »
« Avevo sempre sognato di incontrare un ragazzo biondo di nome Valentino. »
« Mbè! Allora la professia si è avverata; anche io ho sempre sognato di
incontrare una ragazza con i capelli castani, che si chiamava Valentina. »
« Si va bene, vi siete incontrati, ma ora dobbiamo andare. » dicendo così,
le altre due ragazze tiranono Valentina per un braccio e corsero a prendere un
autobus che si era fermato alla fermata lì vicino.
Rimasi a guardare l’autobus allontanarsi.
Stavo rimettendo in tasca il portafoglio, quando mi accorsi che, Valentina
era rimasta con la mia Carta d’Identità.
« E ora! » pensai; « Non sò neanche dove abita. »
Non mi preoccupai, nella Carta d’Identità c’era il mio indirizzo, bastava
metterla in una busta, scrivere il mio indirizzo e mi sarebbe ritornata per
posta.
Non sapendo più cosa fare, me ne ritornai a casa.
Il giorno dopo alla stessa ora, mi trovavo nello stesso luogo dove avevo
incontrato Valentina e con me avevo una Dalia rossa pompon confezionata da una
fiorista che aveva il negozio nei pressi.
Non sapevo che fare, così andai a vedere la vetrina in cui si era fermata
Valentina.
Era un negozio di abiti da sposa.
Stavo guardando, quando mi sentii chiamare: « Valentino! »
Mi girai e a due passi da me c’era Valentina.
Ci gurdammo negli occhi e rimanemmo a guardarci senza dire una parola.
L’incanto si spezzò, quando Valentina fu urtata da un passante.
« Le ho riportato la sua Carta d’Identità. »
« Grazie, sapevo che ci avremmo riincontrati, poi essendo oggi in giorno di
S. Valentino, il santo degli innamorati, così ho comprato questa Dalia rossa
pompon per te. » e gliela porsi.
« Grazie, grazie, lo sà che ieri notte ho pensato che rivedendoci, lei mi
avrebbe offerto una Dalia rossa pompon? »
« Allora è proprio stato il destino a farci incontrare. »
Valentina prese la Dalia e poi disse: « Ma noi non siamo innamorati. »
« Sei sicura? Io sono innamorato cotto. »
« E di chi? »
« Di te. »
« Ma se ci conosciamo appena. »
« Tu ci credi all’amore a prima vista? Io ci credo. »
« Va bene, ma dobbiamo conoscerci meglio », e cominciò a camminare ed io
con lei.
Non sò quanto camminammo.
Le dissi di me, del mio lavoro e lei mi disse che studiava per diventare
Medica Pediatrica.
Valentina sapeva dove stava andando, perché ad un tratto si fermò, dicendo:
« Io sono arrivata, abito qui, grazie di avermi accompagnato. »
Prendendole la mano, le chiesi: « Ci
possiamo rivedere? »
« Mi piacerebbe, solo, lo devi chiedere a mio padre; sai io sono ancora
all’antica. »
« Per questo, lo sono anchio. » e salutandola, le diedi un bacio sul palmo
della mano destra.
Quella notte non dormii, pensando a Valentina.
Il giorno dopo essere tornato dal lavoro, mi feci il bagno e vestii il
vestito migliore.
Alle 16.00 ero in Via Po n. 19, sotto casa di Valentina e citofonavo al
nome di Ventura.
« Chi è? » disse una voce di uomo.
« Mi chiamo Valentino. »
Quando sentii lo scatto della serratura, aprii il portone; entrai e lo
richiusi, poi cominciai a salire le scale.
Valentina abitava al primo piano.
Arrivato al pianerottolo, guardai le targhette delle porte, fino a trovare
il nome Ventura.
Valentina abitava all’interno tre.
Con il cuore che mi batteva (un pó anche di paura), premetti il pulsante
del campanello.
Dopo un tempo che a me parve interminabile, la porta si aprì e apparve
Valentina accanto ad un uomo che, guardandolo, sembrava una montagna.
« Buona sera Sig. Ventura, sono venuto a chiederle l’autorizzazione di
uscire con sua figlia. » dissi con voce tremante.
« Che intenzioni avete nei riguardi di mia figlia. »
« Ma papà, » disse Valentina.
« Zitta, tu, allora che intenzioni avete nei riguardi di mia figlia? »
« Le mie intenzioni sono serie, se Valentina vuole, la sposo subito. »
« Va bene, ma Valentina deve prima finire gli studi, poi si vedrà, comunque
vi permetto di uscire con mia figlia, ma ad una condizione: Valentina è pura come
quando è nata e pura deve arrivare all’altare. Ti assumi questa responsabilità?
»
Mettendo la mano alla fronte in segno di saluto dissi: « Sissignore. »
Il Sig. Ventura si mise a ridere, poi spingendo fuori la porta Valentina,
disse:
« Alle 9 devi essere a casa. »
Mentre scendevamo le scale, guardai l’orologio; erano le 4.30, avevamo solo
4 ore e mezzo per stare insieme.
Di mano data ci avviammo e ci dirigemmo ad un parco di Villa Borghese e
dopo esserci seduti ad una panchina libera, cominciammo a parlare.
Valentina guardava i bambini giocare.
« Ti piacciono i bambini? »
« Si! Quando mi sposerò ne voglio tanti, tanti come mio padre. »
« Quanti figli ha tuo padre? »
« Otto, siamo due ragazze e sei ragazzi, il sono la quarta dopo tre maschi.
Mio padre e mia madre sono ancora innamorati come la prima volta, lo si capisce
da come si guardano, da come si stringono la mano. »
« Come noi, » dicendolo le strinsi la mano guardandola negli occhi le
dissi: «Ti amo.» e contemporaneamente Valentina mi disse: « Ti amo. » e ci
abbracciammo.
Per un mese, mi limitai, dopo averla riaccompagnata a casa; alle 9 in
punto, inseriva la chiave di casa e io la salutavo dandole un bacio sulla palma
della mano destra.
Dopo un mese, alla soglia di casa, Valentina mi diede un bacio sulle
labbra, lasciandomi, lì parato come un allocco.
Il giorno dopo, il bacio glielo diedi io.
Un bacio casto, un semplice bacio, uno sfiorare di labbra.
Poi i baci furono due, poi tre e via via, fino a che, ogni occasione era
buona per darci...basi; solo semplici baci.
Ormai non lo potevamo nascondere...eravamo innamorati cotti, e tutti lo
dicevano, lo sentivo dire quando eravamo al bar a mangiare il gelato, sentivo
dire da qualcuno:
« Quei due ragazzi, si vede che sono innamorati. »
Il Signor Francesco Ventura, non mi faceva più paura, ormai ero di casa e
mi invitavano ai loro copleanni, ed io come sempre portavo dei regali.
I Natali li festeggevamo o a casa loro o a casa dei miei genitori.
Mia madre non mancava di dirci: « Allora, quando li mangiamo i confetti? »
Guardavo Valentina e lei diceva: « Manca ancora un poco. » a quelle parole
sentivo il cuore battere all’impazzata e l’amavo ancora di più.
Anno dopo anno; ogni volta che mia madre, tornava a dire: « Allora, quando
li mangiamo i confetti? »
Valentina ripeteva: « Manca ancora un poco. »
Ancora un poco, ancora un poco; alla fine arrivò il giorno in cui ci
sposammo.
Come regalo di nozze, i nostri genitori, ci offrirono 15 giorni a Parigi in
un Hotel a 5 stelle, tutto pagato, meno gli exstra.
Dopo la cerimonia religiosa e il pranzo, ci cambiammo d’abito e con l’aereo
arrivammo a Parigi che era già notte.
Con un taxi, dall’aereoporto andammo All’Hotel Giuseppe Garibaldi che stava
vicino al centro, in una zona residenziale ed era gestito da una famiglia
italiana.
La prima notte, non successe niente, perché eravamo troppo stanchi e una
volta a letto, ci demmo la buonanotte con un semplice bacio e ci addormentammo
subito.
La mattina dopo aver fatto colazione, uscimmo a fare due passi; mano nella
mano, come due innamorati.
Avendo l’Hotel, tutto compreso, tornammo all’ora del pranzo e all’ora della
cena.
La seconda notte, la dedicammo tutta per noi.
Come era successo la prima notte, andai prima io a lavarmi i denti e
mettermi il pigiama ed entrare nel letto.
Poi fu la volta di Valentina.
Quando uscì dal bagno, con indosso, una camicia da notte, tipo baby doll,
verde chiaro.
Al vederla, lasciai sfuggire un fischio di ammirazione, dicendo: « Che
bambola ».
Valentina, avvampando, disse: « Ce l’avevo anche ieri notte. »
« È vero, ma ero troppo stanco per farci caso. »
Una volta nel letto, l’abbracciai, baciandola.
Una volta saziata la sete (di baci), le dissi: « Ti ha detto niente tua
madre? »
« No! E tuo padre? »
« Nemmeno lui, mi sa che...lo dovremo scoprire da noi. »
Poi dandoci un altro bacio, ci addormentammo.Peccato essermi svegliato, era
stato solo un sogno, ma guardando dall’altra parte del letto, c’era la mia
Valentina anche se il suo nome non era Valentina.
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