terça-feira, 20 de agosto de 2013

Sogno n.36 Il cieco anno 2008


Tutto cominciò con un pizzicherio negli occhi, sembrava che mi fosse andato qualcosa dentro.
Provai di tutto: dagli impacchi ai vari coliri.
Niente, anzi il pizzicherio andava sempre ad aumentare.
Lo sentivo pure di notte e non mi lasciava dormire.
Andai dal mio medico che mi consigliò di fare una visita al Oftalmologista dell’ospedale.
Dopo la visita, lui mi consigliò un ricovero perché aveva visto qualcosa che non sapeva che era.
Così feci.
Dopo tante visite mi dissero che dovevo sottopormi ad un intervento chirurgico.
Avevo un tumore alle pupille e che se non mi operavo, avrei perso la vita.
Feci quello che mi avevano consigliato e fui operato.
Non mi aspettavo quello che sentii dopo sveglio.
Non vedevo nulla.
Avevo delle bende che mi coprivano gli occhi.
L’infermiera che mi curava, mi cambiava le bende, ma io continuavo a non vedere nulla; non mi preoccupavo, dicevo tra me: « Tutto deve fare il suo corso, appena guarito, vedrò come prima. »
Il tempo passava, e ancora buio.
Non sentivo più dolore agli occhi, ma allora perché erano ancora bendati?
Forse per proteggerli dalla luce del sole, così una notte mentre tutti dormivano, mi tolsi le bende.
Una volta tolte, mi guardai attorno, niente, era tutto buio.
Strano, un pó di luce si doveva vedere, giravo la testa a destra e a sinistra, niente luce, neanche dalle finestre (perché ci dovevano essere delle finestre).
Fui preso dal terrore.
Portai le mani agli occhi.
Non c’erano.
Sentivo solo un vuoto nelle orbite.
Che mi avevano fatto? Mi avevano levato gli occhi? Ma allora...ero cieco.
Lanciai un urlo che fece svegliare tutti gli altri ammalati, compresi gli infermieri di turno.
Per calmarmi dovettero farmi una iniezione.
La mattina quando venne la solita infermiera (era la solita, ne riconoscevo il profumo), le dissi: « Allora sono cieco? », e lei mi disse: « È meglio perdere la vista che la vita. »
« Ma senza la vista, a che serve la vita? »
« Vedrai, ti abituerai, poi non sarà tanto male. », e andò via dopo avermi medicato.
Non poteva essere, non accettavo di essere cieco, ci doveva essere un modo.
Pregai il Signore, lo maledissi; pregai il Diavolo di darmi la vista in cambio
dell’anima, niente, maledissi pure lui.
Passarono i giorni, ormai sapevo che prima o poi mi avrebbero dimesso e allora, che avrei fatto una volta tornato a casa?
Vivevo solo.
Ne parlai con l’infermiera e lei mi propose di sposarla, come moglie mi sarebbe stata vicino e mi avrebbe fatto compagnia sia di giorno che la notte.
Non sapevo che dire.
Mi era sempre piaciuto vivere solo e, avere le compagnie occasionali.
Non avevo mai pensato di sposarmi, era tanto bella la vita dello scapolo.
« Hai mai sentito delle cosce come queste? »
Prendendomi la mano l’aveva portata sotto il camice.
Gli strinsi la coscia e cercai di risalire ma lei mi tolse la mano.
« Dopo sposata, mi potrai toccare tutta. »
Così feci.
Ci sposammo in ospedale e andammo a vivere nella mia casa.
Mentre stavo in ospedale mi avevano messo nelle orbite vuote due occhi di vetro che sembravano due palline che da ragazzino avevo giocato facendole rotolare in terra, solo che quelle non le avrei potuto far rotolare in terra, d’ora in poi erano i miei falsi occhi.
I primi giorni di matrimonio li passai tutti i giorni a fare l’amore con Laura fino a quando lei mi disse che russavo e non la lasciavo dormire e il giorno in ospedale, dormiva in piedi.
Strano...nessuno mi aveva mai detto che russavo; di tutte le donne che avevano dormito con me, nessuna mi aveva detto, che russavo.
Che ci potevo fare?
Laura risolsi il problema.
Sarei andato a dormire nella cameretta che usavo come studio.
Ci avrebbe pensato lei a cambiare i mobili; però mi promise che mi sarebbe venuta a trovare spesso e che avremmo continuato a fare l’amore.
Quella parola “Spesso” divenne una volta ogni tanto.
Più di una volta mi era sembrato di sentire dei bisbigli nella camera di Laura.
Glielo dissi e lei accompagnandomi in camera sua mi fece toccare la radiolina che teneva sul comodino, dicendomi: « Alle volte mi addormento scordandomi di spegnerla. Avrai sentito senz’altro delle voci provenienti dalla radio; ti immagini, io una donna innamorata di mio marito, ricevere un altro uomo in casa, per chi mi hai preso? Ora per castigo resterai senza sesso per un mese. »
« No, no, non farlo. Perdonami non dubiterò più di te. »
« Va bene, allora ridurrò la punizione di quindici giorni. »
In quei giorni anzi in quelle notti ero tormentato dai dubbi; ma era vero che quei rumori provenivano dalla radio, e se c’era un uomo con Laura?
Non riuscivo ad addormentarmi, mi giravo e rigiravo nel letto; alla fine non ne potei più e mi alzai.
A tentoni, pur conoscendo la casa, mi avvicinai alla stanza dove dormiva Laura e attraverso la porta chiusa, udii la voce di un uomo dire: « Allora quando lo facciamo fuori tuo marito? »
« Un pó di pazienza, non manca ancora molto, lo sto avvelenando piano piano, non avresti voluto che con una morte di rapida poteva destare sospetti e se gli avessero fatto l’autopsia, gli avrebbero trovato il veleno e secondo te, la polizia, chi avrebbe sospettato? »
« Hai ragione, è che sono stufo di venire come un ladro. »
« Ancora un pó di pazienza, non manca ancora molto. »
Ah! È così che la dolce infermiera mi ama?
La mattina dopo mentre facevo colazione e prendevo le pillole dissi: « Questa notte ho fatto un brutto sogno. Ho sognato che stavo per morire. Non vorrei che questo sogno si avverasse. »
« Mbè, è stato solo un sogno, non ci devi pensare, anche se...prima o poi tutti
dobbiamo morire. »
« Io non ho paura di morire, solo mi dispiace per te. »
« Perché ti dispiace per me? »
« È che...mio padre morendo mi ha lasciato cinque milioni di Euro. »
« Cinque milioni di Euro? E dove sono? Non mi avevi detto di avere cinque milioni di Euro? »
« Gli Euro stanno in banca e li posso prendere solo quando avrò compiuto cinquantanni. »
« Cinquantanni, perché proprio cinquantanni? »
« Perché mio padre conoscendomi bene, non me li ha fatti prendere subito, perché sapeva che, li avrei spesi male: in bagordi e con le donne. Invece a cinquantanni, secondo lui, sarei stato più posato e li avrei fatti fruttare come fece lui, perciò se dovessi morire prima, quei soldi vanno in beneficenza. »
Stavo per mettere in bocca una pasticca quando Laura mi urtò facendomela cadere.
« Scusami amore, te ne darò un’altra. »
Ma l’altra non aveva il sapore di quella che mi aveva fatto cadere.
Quella notte pensai...se devo morire, vorrei esprimere l’ultimo desiderio.
Vorrei tornare a vedere; ma a vedere quello che gli altri non riescono a vedere.
Il giorno dopo; come per magia, quando mi svegliai, davanti a me c’era una luce, non riuscivo a vedere cosa era, ma non era il buio che mi opprimiva.
Giorno dopo giorno, la nebbia che avevo davanti a me, si andò dissolvendo e una mattina, vedevo tutto quello che mi stava attorno.
Guardando la parete che divideva la mia camera con quella di Laura, dissi: « Mi piacerebbe vedere che sta facendo Laura. »
Come se si fosse aperta una porta, vidi Laura a letto con un uomo.
E brava la mia mogliettina.
Ha smesso di avvelenarmi, ma non ha smesso di ricevere l’amante in casa mia.
Come squillò la sveglia, Laura e l’amico si svegliarono, lui andò al bagno, poi in cucina dove Laura gli aveva preparato la colazione e poi sulla porta, con un bacio: « A stanotte amore. »                                                                                     
Quando anche Laura andò a lavorare, uscii e andai a fare delle compere.
Comprai una macchina fotografica molto sensibile e un registratore con il comando a distanza, poi tornai a casa.
Una volta in casa, nascosi il registratore sotto il letto, assicurato con del nastro adesivo.
Mangiai come sempre e come sempre spagliai il cibo un pó dapertutto, poi tornai in camera, mi spogliai e andai a fare la doccia.
Da un pó di tempo mi ero accorto che gli indumenti intimi che mi cambiavo ogni volta che facevo il bagno non erano stati lavati, Laura mi faceva indossare gli stessi indumenti che mi ero levato.
Con il fatto che non li vedevo, non potevo sapere se erano o no, puliti.
Ora avrei visto se avevo ragione.
Il pomeriggio tornò Laura e come sempre si mise a strillare dicendomi: « Sei un porco, un maiale, non sai mangiare, dovresti stare in un porcile insieme ai tuoi simili. »
Quando si fu sfogata, gli dissi: « Ho fatto la doccia, ti dispiace darmi i panni puliti? »
Uscì e tornò con gli stessi abiti che mi ero tolto.
La ringraziai e li misi sul letto.
Dopo cena me ne tornai al letto.
A una certa ora sentii la porta aprirsi e vidi Laura affacciarsi, feci un russare
sonoro che convinse Laura che stavo dormendo.
Riuscivo a vedere attraverso la porta, così vidi il suo amico entrare con la chiave che lei gli aveva dato.
Andarono in cucina e mangiarono (non la brodaglia che mi faceva mangiare) poi andarono in camera.
Dopo essersi spogliati si misero a letto e cominciarono a fare l’amore.
Lo facevano con la luce accesa, non preoccupandosi di me; tanto non ci vedevo.
Così mentre erano intendi a baciarsi e accarezzarsi, mi alzai dal letto e senza fare rumore aprii la porta della camera e con la macchina fotografica tirai una decina di fotografie e con il registratore, la loro conversazione molto compromettente che parlava tra l’altro della mia prossima morte dato che mancava ancora poco al compimento dei miei cinquantanni.
La mattina dopo quando stavo solo, andai al comò della camera di Laura e in un cassetto presi gli indumenti puliti che indossai, lasciando al loro posto quelli sporchi, poi uscii di casa e portai la macchina fotografica dal fotografo, gli dissi che precisavo le foto per...subito.
Pagando più del normale, nel giro di mezz’ora ebbi le fotografie dentro una busta e con quella, cercai un avvocato.
Trovatolo, gli mostrai le foto e acoltare la registrazione, chiedendogli di iniziarmi le pratiche per il divorzio. Gli diedi il numero del mio nuovo cellulare,  poi me ne tornai a casa.
Sopportai tutte le angherie di Laura fino a quando l’avvocato gli mandò l’avviso di presentarsi: il giorno tale, alle ore tale alla Corte de Tribunale Civile insieme a suo marito.
Laura mi chiese cosa dovevamo fare al Tribunale, gli dissi di non saperlo.
Lei telefonò al mio avvocato che però non gli disse nulla, solo che, se non ci saremmo presentati, ci avrebbero venuti a prendere con i carabinieri.
La notte registrai tutto quello che gli amanti dicevano tra loro, così come le altre notti, fino al giorno in cui io e Laura ci recammo al Tribunale.
Portavo con me il registratore facendolo passare per un gravatore di musiche.
Lei non disse niente.
Una volta arrivati lasciai il registratore all’avvocato senza farmene accorgere.
Quando fummo chiamati dal giudice; lui chiese a Laura se aveva con se il suo avvocato.
« Avvocato, a che mi serve l’avvocato? »
« Questa è una causa di divorzio che suo marito ha chiesto. »
« Mio marito ha chiesto? E per quale motivo lo ha chiesto? »
« Per adulterio. L’Avvocato Lo Bello ha presentato le prove della sua convivenza sotto il tetto e alla presenza di suo marito, approfittando della sua cecità.
Lei si voltò verso di me con le unghie pronta a riempirmi la faccia di graffi, ma io le bloccai i polsi.
Laura si agitava come una forzennata e la sua bocca sbavava con un fiume di parolacce e offese.
Ci fu bisogno della forza di due carabinieri per metterla a posto.
Per le prove e per le minacce, oltre al divorzio, Laura fu condannata a tre mesi di reclusione per tentato omicidio.
Dopo aver ringraziato e pagato l’avvocato, tornai a casa, dove feci cambiare la serratura, così quando l’insaputo amico cercò di entrare, non potè farlo e quando suonò il campanello gli risposi dicendogli: « Laura è in galera e presto gli andrai a tenere compagnia. »
Bastò questa minaccia per farlo squagliare.
Senza la presenza di Laura, dovevo trovare qualcosa per nascondere la mia ritrovata vista; così andai a comprarmi un pappagallo.
Abituai il pappagallo a starmi sulla spalla e quando lo chiamavo, veniva a mettere il becco vicino all’orecchio come se mi stesse dire qualcosa.
Per quanto riguardava lo sporco che ogni uccello fa, il venditore aveva inventato una borsina che veniva allacciata sotto il suo popò, così quando gli andava, non sporcava la mia giacca o spalla.
Con lui andavo a far compere con il mio bastone bianco ed era lui che mi diceva se dovevo attraversare la strada e quanto dovevo pagare: il taxi o le compere.
Guai ad imbrogliarmi, lui vedeva tutto.
Con Lòro mi presentai ad un concorso a premi e grazie a lui, vinsi 500.000 Euro.
Così fu.
Il concorso si chiamava “ Fatti tuoi “; c’erano delle scatole chiuse, dieci con premi bassissimi e dieci con premi che andavano da 1.000 Euro a 500.000.
A me era capitato la scatola dove non si vinceva niente.
Come fui chiamato, dissi il mio nome e la mia professione.
Mi chiamavo...ed ero centralinista alle dipendenze del Ministero...ero cieco, lo
ero diventato dopo una operazione, vivevo solo e ci vedevo grazie a Lòro, il mio pappagallo; per dargli una prova chiesi a Lòro: « Che numero ha la donna bionda? », e lui avvicinandosi al mio orecchio mi disse qualcosa che tradussi;
« Di bionde ce ne sono due, una ha il numero 5, l’altra il numero 18. »
« Lòro dimmi chi sta al principio sul lato sinistro. »
Il pappagallo si avviconò al mio orecchio contemporaneamente con il presentatore.
Non guardando sul lato sinistro dissi: « C’è un uomo con i baffi e tiene la scatola n.1. »
Il pubblico applaudì, mentre il presentatore disse: « Io non ho sentito il pappagallo parlare. »
« Non avete sentito o non avete capito. Vorrei sapere, se conoscete il Pappagalismo? »
« Nò, che cosè? »
« È il corso in cui si apprende a parlare con i pappagalli. »
Il pubblico oltre ad applaudirmi, si mise a ridere del presentatore.
« Dato che siamo sul comico, vorrei sapere se siete veramente cieco o fate finta. Perché andare in giro con un bastone bianco e portare occhiali scuri, non dà la certezza che chi lo fa, è un vero cieco. »
« Prima di darvi soddisfazione, vorrei raccontare cosa mi era capitato prima di diventare cieco. Un giorno me ne andavo per Via Nazionale, quando incontro un uomo seduto in terra a chiedere l’elemosina. Davanti aveva un cartello con su scritto: Fate la carità a un povero ceco. Ma quello che mi aveva attirato era che quel povero cieco, stava leggendo un giornale; al che gli dissi: « Non si vergogna, chiedere l’elemosina, facendosi passare per un cieco; almeno poteva far a meno di leggere il giornale. » e lui in cattivo italiano mi disse: « Io non sono un cieco come dite voi, sono ceco, perché vengo dalla Cecoslovacchia, solo che non ho lavoro e chiedo l’elemosina per vivere. »
Questo racconto fece ridere tutti e fui di nuovo applaudito.
« Ora torniamo a noi, potete dimostrare che siete un vero cieco? »
« Posso dimostrarlo, però vorrei sapere se tra il pubblico c’è qualche donna incinta? »
« E perché vuoi sapere se c’è qualche donna incinta? »
« Perché potrei provocare un trauma, vi dispiace accertarvi se c’è qualche donna incinta? »
Il presentatore rivolgendosi al pubblico, domandò: « C’è tra voi qualche donna incinta? »
Si alzarono due donne.
« Ce ne sono due. »
« Prega loro di lasciare la sala. »
« Fate quello che a detto lui. »
Pur borbottando, le due donne lasciarono la sala.
« Ora sono uscite, datemi la dimostrazione che siete un vero cieco.»
Mi tolsi gli occhiali e dopo essermi tolto il fazzoletto dalla tasca, estrassi dalle mie orbite i due occhi di vetro.                                                                         
Tra il pubblico ci fu un Oooh!
« Questa è la prova che sono un vero cieco o volete ancora dubitare di me? »
« Mi scusi di aver dubitato di voi, siete un vero cieco ed è il pappagallo che vede per voi. »
Di nuovo scrosciarono gli applausi mentre mi rimettevo gli occhi di vetro nel loro posto, così pure gli occhiali neri.
Le due donne furono fatte rientrare e il gioco cominciò.
Con il fatto che riuscivo a vedere quello che stava nelle scatole, vinsi il premio massimo e quando il presentatore mi chiese come li avrei speso quei soldi, dissi:
« Io e Lòro andremo a fare una crociera ai Caraibi. »
Poi mi svegliai, vedondoci veramente.


























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