domingo, 18 de agosto de 2013

Sogno n.14 Sono invisibile anno 2007

 
Mi svegliai con la voglia di andare al bagno e cercando di non muovermi troppo bruscamente mi alzai.
Quando tornai in camera, mia moglie si era svegliata e mi chiamò.
« Sono qui, » risposi.
« Sei ancora in bagno? »
« No, sono vicino al letto. »
Maria accese la luce del comodino.
« Vicino al letto, come puoi stare vicino al letto, se non ti vedo? »
« A moré non sarai diventata cieca per caso? »
« No, perché vedo il letto, l’armadio, la porta, la finestra e tutto quello che sta nella stanza, solo a te, non riesco a vedere. »
« Stai scherzando? Non vorrai farmi credere che sono invisibile. »
« Sei nascosto e vuoi mettermi paura. »
« Non sono nascosto, sono vicino a te e, te lo dimostro. »
Rientrai nel letto e mi accostai a lei, la quale a sentirmi strillò.
« Ma che té strilli? »
« C’è qualcosa vicino a me che mi sta toccando, ma non vedo nessuno. »
« È ancora notte e stai sognando, quando ti sveglierai, vedrai che tutto sarà normale. Ora se non ti dispiace, lasciami dormire. »
Mi girai sul lato destro e ripresi a dormire.
Non ci riuscii, fui svegliato dalla luce centrale.
« Che ti piglia, non riesci a dormire e non vuoi che lo faccia io?
Torna a letto, ne riparliamo domani. »
« Ma io non ti vedo, sento la tua voce, il tuo corpo, ma, continuo a non vederti. »
« Che pizza! Hai finito di svegliarmi del tutto. Torna a letto che ti faccio il massaggio ».
Mi alzai, calzai le pantofole e andai al bagno a lavarmi le mani.
Avevo paura di guardare lo specchio, paura di non vedermi, mi feci coraggio e, alzai gli occhi dal lavandino.
Attraverso lo specchio vedevo tutto quello che c’era nel bagno, sono non mi vedevo.
« Calma! », pensai e tonai in camera.
« Se non stiamo sognando, deve essermi successo qualcosa, non ti agitare e poi, non dico sempre di essere un’extraterrestre? Vuol dire che quelli del mio pianeta sono invisibili. »
Mi avvicinai al letto, presi la crema dal cassetto del comodino e presi a massaggiare la schiena e le parti dolenti di mia moglie.
Che stava succedendo?  
Finito il massaggio, tornai a lavarmi le mani (che vedevo) e tornai al letto.
La mattina dopo, come ogni mattina, presi il misuratore di pressione e me lo misi al polso, per poi appoggiare il braccio sinistro sul petto di mia moglie.
Lei prendendo il braccio disse: « Vedo l’apparecchio, ma non il tuo braccio. »
« Quello che non capisco è, perché se sono invisibile io, lo è anche il mio pigiama; non ha senso. »
Mia moglie disse: « Probabilmente perché è di tessuto, mentre il tubo della crema è di metallo e l’apparecchio di pressione è di plastica: comunque puoi sempre fare una prova con i calzoni. »
Mi alzai, presi i calzoni e come li toccai, per mia moglie sparirono; solo la
cerniera rimase visibile, io li vedevo, come vedevo il pigiama che indossavo.
 « Più tardi fissa un appuntamento con il Dottor Laserda, dgli che è una cosa urgente. »
Ci alzammo e dopo vestiti andammo in cucina.
In cucina successe una cosa nuova.
Involontariamente toccai un indumento che lei indossava.
Mia moglie si staccò bruscamente.
« Quando mi hai toccato, mi sono vista nuda, senza vestiti. »
« Questo è più preoccupante, non possiamo andare a Lisboa in treno perché, se involontariamente tocco qualcuno, questo si vede nudo e anche gli altri lo vedranno nudo.
Ci andremo in macchina, se qualcuno ti dirà qualcosa, dirai che la macchina è automatica; speriamo che vada tutto bene ».
Quel giorno mia moglie prese l’appuntamento con il dottore, per due giorni poi.
Per quei giorni rimasi in casa, per i lavori del campo, come: annaf-fiare, ci pensò lei.
Il giorno fissato, uscimmo di casa e come non ci stava nessuno in vista, aprii lo sportello dell’auto e mi misi al volante.
Mia moglie stava accanto a me.
Nel vetro dal mio lato avevamo messo una tovaglia (come parasole).
Misi in moto e mi avviai.
Fino alla Seconda Circolare non successe niente, poi con il traffico, qualcuno notò qualcosa di strano nell’auto.
Ci indicavano, si fermavano ostacolando il traffico, si avvicinavano, domandavano.
Suonando il clacson a più non posso mi feci largo e dopo non sò quanto tempo giungemmo alla via dove di solito lasciavamo l’auto.
Entrati nel garage, uscii dal lato destro dopo che era uscita mia moglie.
All’addetto del garage, mia moglie disse che l’auto era semi-auto-matica, lasciando le chiavi.
Ci incamminammo, io stando dal lato delle vetrine e lei dietro di me per non farmi urtare da qualcuno che volesse passare.
Come Dio volle arrivammo allo Studio del dottore.
Anche lì dovetti fare attenzione a non toccare nessuno.
Entrati, salutato il dottore, mia moglie spiegò quello che mi era successo.
Lui veramente non sapeva cosa fare; non gli era mai capitato visitare un ammalato invisibile.
Gli feci capire quello che mi preoccupava di più, toccando il vestito di mia moglie, in un attimo lei rimase nuda; fu per un attimo perché come staccai la mano, tutto tornò normale.
Cosa potevo fare?
Il dottore ci pensò un pò, poi suggerì di farmi indossare una armatura come quelle del Medioevo.
Sì è vero avrei destato curiosità, ma era meglio che, girare senza nessuno che mi vedesse farmi urtare da quelli che non mi vedevano, intanto avrebbe cosultato altri medici per trovare la cura.
Uscimmo dallo Studio e dopo aver rifatto tutta la strada fino al garage, facendo attenzione a non farmi urtare.
L’impiegato dopo aver consegnato l’auto a mia moglie rimase a guardare.
Con lui c’erano altri curiosi, di certo invitati da lui.
Mia moglie aprì lo sportello dal suo lato e tenendo lo sportello aperto, cercò il telefonino dalla borsa, dandomi la possibilità di entrare e sedermi al volante.
La chiave dell’accenzione era al suo posto, mia moglie parlando nel telifonino disse:« Metti in moto. »
Io girai la chiave e il motore si mise in moto.
« Vai, esci e gira a destra. »
La macchina ubbidiente ai comandi si avviò lentamente.
L’impiegato e i curiosi rimasero a bocca aperta.
Ci avviammo verso casa.
Alla stazione di servizio di Aveiras ci dovemmo fermare.
Lei scese, mise la benzina e andò a pagare.
Quello che fece, non passò inosservato.
Quando era dentro a pagare, si avvicinarono delle persone; volevano vedere.
Gli sportelli e i vetri erano chiusi, così non poterono far altro che guardare.
Mia moglie tornò, aprì lo sportello, entrò in auto, chiuse lo sportello mettendo la sicura, mise la chiave nella messa-in-moto, abbassò il vetro dalla sua parte e come aveva fatto nel garage: parlò nel telefonino: « Metti in moto, vai, attenzione a non urtare nessuno. »
La macchina fece come gli era stato comandato e si avviò lentamen-te verso l’uscita della Stazione di Servizio.
Questa volta oltre a quelli che guardavano a bocca aperta, ci fu chi tirò delle foto.
Il nostro viaggio non si concluse a casa.
Fummo fermati dalla Polizia Stradale all’uscita dell’autostrada a Santarém.
Essendo il mio sportello chiuso, l’Agente si diresse verso il lato di mia moglie, le chiese i documenti dell’auto e tutti gli altri; poi le fece delle domande sull’auto.
Non potendo dire che era condotta da un uomo invisibile, disse che era un prototipo sperimentale semi-automatico.
Il poliziotto le disse di uscire dalla macchina, lei rispose che avrebbe lasciato la macchina solo dopo essere arrivata a casa e, parlando al telefonino disse:
« Andiamo a casa, non ti fermare. »
I poliziotti non poterono far altro che seguirci.
Arrivati a casa, c’era ad aspettarci il carro-attrezzi della polizia.
Comunque non ostacolarono la manovra.
Mia moglie aprì lo sportello, lo tenne aperto per darmi la possibilità di uscire dall’auto
E cosegnò le chiavi all’Agente dopo che gli aveva rilasciato una ricevuta per il sequestro della macchina.
Poco dopo tra la curiosità dei vicini, fu caricata sul carro-attrezzo e andò via.
Noi entrammo in casa, io per primo e in cucina scoppiammo a ridere per quello che non avrebbero trovato nella vecchia Opel Kadett del 1990.
Mentre i meccanici smontavano la macchina e gli esperti cercavano il segreto, noi contattavamo un artigiano in costruzioni metalliche che, seguendo le istruzioni e il disegno, costruì una armatura medievale.
Nel frattempo, a chi chiedeva di me; ero partito, forse per l’Italia a registrare il progetto e cercare nelle varie case automobilistiche, qualche finanziatore.
Quando portarono l’armatura, non passò inosservata.
Ormai la nostra casa, i telefoni e mia moglie non avevano pace.
Tutti volevano sapere, molti offrivano soldi per conoscere il segreto della macchina che andava da sola.
Mia moglie rispondeva a tutti: « Io non sò niente, ha fatto tutto mio marito, non si è confidato neanche con me. Lasciatemi in pace. »
Ma era come parlare al vento.
Mia moglie non avendo la macchina, era costretta a farsi accompagnare dalla figlia della vicina, quando aveva bisogno di fare un pò di spesa.
La prima volta che uscì, un giornalista e un poliziotto si introdussero nell’interno ma, li aspettavo e feci loro tanti dispetti che fuggirono a gambe levate dicendo a tutti che, la casa era invasa da spiriti maligni.
Qualche giorno dopo che ci avevano consegnato l’armatura, ci riportarono la nostra macchina.
A guardarla, sembrava tutto normale, ma quando (seguendo le mie istruzioni), mia moglie mise la chiave nella fessura della mess-in-moto e chiudendo lo sportello parlò al telefonino, non successe niente; la macchina rimase ferma con il motore spento.
Come se lo avessimo chiamato, apparve un avvocato pronto a fare causa alla polizia per il danno che aveva provocato alla macchina.
Al telegiornale della sera, si parlò del fatto successo quel giorno.
Lasciammo passare ancora una settimana, poi decidemmo di scherzare ancora.
Indossai l’armatura; era perfetta, sembrava fatta su misura.
Mia moglie aprì la porta che dava sulla strada, poi parlando al telefonino mi disse di uscire.
I fotografi e i telecronisti erano tutti lì ad aspettare e poco dopo uscì....il mostro.
Camminando come un automa uscii da casa.
Mi fermai al comando, poi feci una cosa che non mi era stato detto di fare: mi voltai e feci l’atto di tornare indietro.
Mi fermai all’ordine, poi mi chinai e mia moglie mi tolse l’elmo.
Le macchine fotografiche e le telecamere ripresero il nulla.
La testa non c’era, nell’armatura non c’era nessuno.
Mia moglie mise la mano nell’interno dell’elmo, come se cercasse qualcosa o toccasse qualcosa, poi mi rimise l’elmo sulla testa assicurandolo con le apposite cinghie.
Mi mise in mano la chiave della macchina e mi disse di aprire lo sportello.
Feci quello che mi aveva chiesto.
Mi disse di sedere sul sedile e inserire la chiave.
Eseguii ancora i comandi, sempre sotto gli sguardi (di chissà quanti telespettatori).
Misi in moto, controllai il minimo e guardando lo specchietto retrovisivo, feci marcia indietro poi, al comando, riportai la marcia sulla Prima e riportai la macchina esattamente al posto suo.
Spensi il motore, disinserii la chiave, aprii lo sportello e uscii dalla macchina, dopo aver ridato la chiave a mia moglie, poggiai la mano sulla chiave posta nella serratura della porta, girai la chiave e aprii la porta.
Aspettai l’ordine, poi entrai in casa seguito da mia moglie e corremmo in cucina a togliermi l’armatura e rimontarla.
Come c’era da aspettarcelo; suonarono il campanello e batterono sulla porta.
Dopo aver fatto un pò attendere chi stava fuori, mia moglie aprì la porta quando sentì: « In nome della Legge, aprite la porta o siamo costretti ad usare la forza ».
Entrò un sacco di gente.
Io mi ero eclissato per non dare intralcio.
Insieme alla polizia, giornalisti, fotografi, telecronisti, vicini curiosi; c’era pure l’Avvocato Roberti.
La polizia voleva portare via l’armatura, l’Avvocato cercava d’impedirlo.
Alla fine dovette cedere quando al telefono parlò il Presidente della Repubblica.
Così, come quando fu per l’auto, sequestrarono l’armatura,  il telefonino di mia moglie e andarono via.
Con loro andarono via tutti gli altri ed io potei rientrare in casa.
Qualche giorno dopo telefonò il Dott. Laserda dicendo che avevo una consulta marcata presso l’ospedale Santa Maria; mia moglie disse che allo stato che mi trovavo non potevamo andare a Lisbona. Risolvendo a questo incomodo ci mandò a prendere con un’autom-bulanza, all’arrivo della quale mia moglie inventò per i vicini una scusa: aveva un male alle ossa, che non gli consentivano di viagiare in treno e con i mezzi pubblici.
Gli addetti all’autombulanza non sapevano nulla di me, pensavano che, il trasporto era per mia moglie; andò tutto bene e arrivammo all’ospedale di Lisbona.
All’arrivo ci aspettava il Dottor Laserda e una infermiera con due sedie a rotelle; in una presi posto io, nell’altra si sedette mia moglie.
In quella in cui c’ero io, la volle condurre il Dottor Laserda senza dare spiegazioni, entrammo nell’interno e saliti al quarto piano con l’ascensore, giungemmo ad un reparto specializzato in malattie strane.
C’era un’équipe di medici che vollero sperimentare la vericità dell’esposto del Dottor Laserda; uno di loro volle toccarmi con le mani guantate con guanti di cotone.
Nel momento in cui mi toccò, rimase senza vestiti; dopo, gli altri con guanti di gomma, mi poterono toccare senza correre il rischio di restare nudi.
Rimasi all’ospedale un mese, in osservazione.
Tutto quello che fecero, non diede i risultati che speravano.
Le radiografie non mostravano nulla, il sangue non si vedeva.
Ero in isolamento, nessuno mi poteva (vedere), per qualche infermiere/a curioso/a, il malato della stanza n.100 non c’era; ma chi mangiava i pasti che venivano portati? Era un mistero.
La notizia del mio ricovero, nonostante il divieto assoluto, s’era spagliato per la città, i giornalisti volevano vedere il paziente della camera n.100; e se qualche fotografo riusciva ad entrare, non trovava nulla da fotografare e alla fine se ne andava con la promessa dell’infermiere confidente di una buona ricompensa se riusciva a tirarmi una foto.
Alle volte chi mi portava da mangiare aspettava di vedere chi mangiava.
Era un’attesa vana perché io stavo là ad osservare e non mi avvicinavo al cibo.
Una volta entrarono in due, un infermiere e una infermiera; ma non era per medicarmi, (non avevo nulla da medicare), mi volevano vedere e fotografare.
Ambedue avevano la macchina fotografica nel telefonino.
Il soggetto da fotografare glielo diedi; su un foglio di carta precedentemente scritto c’era: « Preparatevi a scattare le foto a quella persona che apparirà accanto a uno di voi. »
Perciò si erano distaccati l’uno dall’altro e si tenevono di mira con la macchina fotografica.
All’improvviso posi il dito sul collo dell’infermiera e il suo compagno ebbe un bello spettacolo da poter fotografare.
Non riuscì a scattare niente, perché restò a guardare.
Il tutto durò un minuto, ma fu sufficiente per far capire: di che malato si trattava.
Un malato invisibile che spogliava le persone al solo toccarle.
Dopo un mese di inutili cure, sisolverono il mio male, facendomi indossare una tuta fatta di un materiale di una plastica molto sottile traforata (i pori) per la traspirazione che mi calzava come una seconda pelle e sopra di quella mi potei rivestire.
Il viso e i capelli erano stati riprodotti tramite una fotografia che aveva fornito mia moglie.
Così ricoperto, potei lasciare l’ospedale indistubato e tornare a casa e fare la vita che facevo quando ero visibile.
Ogni tanto a mia moglie viene voglia di fare l’amore con il marito invisibile.
Che strano sogno.

























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