Non sò dove sono nato, ne quando.
A detta del signor Mario (l’uomo che mi allevò),
mi trovò nudo, nella stalla a bere il latte della mucca.
Era il mese di gennaio, faceva un freddo cane ed ero tutto gelato.
Secondo lui dovevo avere due o tre anni, non
parlavo, quando lo facevo, emettevo versi incomprensibili. Ripetevo e facevo
tutto quello che mi diceva lui.
Non sapendo che nome darmi, prese a chiamarmi: O o
Ao e quello fu i miei nomi.
Non fui battezzato e non andai a scuola fino a
quando i carabinieri contrinsero il signor Mario a mandarmici.
Il primo giorno di scuola, finì subito.
Come la maestra mi chiese come mi chiamavo, rimasi muto.
Non sapevo che dire; io non mi sono mai chiamato.
« Quale è il tuo nome, io mi chiamo Anna e tu? »
« Non sò, il signor Mario quado mi chiama dice O! o Ao! »
Tutta la classe scoppiò a ridere.
La maestra scrisse qualcosa, poi « Quando sei nato, il signor Mario è tuo
padre, come si chiama tua madre? »
Non sapendo che dire, scappai di scuola e tornai alla fattoria del signor
Mario il quale
vedendomi, mi chiese perché non ero a scuola.
« Non ci voglio andare, lì fanno troppe domande e io non sò rispondere. »
« Che domande? »
« Come mi chiamo, quando sono nato, se il signor
Mario è mio padre, come si chiama mia madre. »
Lui non disse nulla e dopo avermi fatto levare i
vestiti puliti mi mandò a lavorare nella stalla.
Dovetti tornare a scuola, quando tornarono i carabinieri.
Il signor Mario parlò loro e quando entrai in
aula, la maestra non mi fece più domande a cui non sapevo rispondere; salvo: «
Il nome O e Ao, non significa niente, la vocale O diventerà Omero e Ao,
diventerà Aolini. Perciò da ora in poi, ti chiamerai Omero Aolini, sei
d’accordo? »
Che potevo dire, per me un nome, valeva un altro,
accettai ringraziandola.
« Farò registrare il tuo nome, per l’anno di
nascita, in base a quello che ci ha detto il signor Mario, dovresti essere nato
il 19.., inventeremo il giorno e il mese. Per i tuoi genitori, diremo, figlio
di N.N. »
Dovevo essere intelligente, perché apprendevo tutto
quello che la maestra mi insegnava.
Con i miei compagni fu un’altra cosa.
Non facevano che tormentarmi, non mi lasciavano in
pace e spesso quando eravamo in cortile, mi spintonavano e mi facevano cadere,
poi mi davano i calci.
Ogni volta che tornavo a casa, il signor Mario mi
strillava, mi diceva che; dovevo reagire. Prendendomi le mani e chiudendole a
pugni, mi diceva che le mani non servivano solo per lavorare, ma anche per dare
pugni a chi mi tormentava.
« Se qualcuno ti tormenta, dagli un pugno in un
occhio, vedrai che poi non ti tormenta più. E poi ci stanno i piedi, i denti;
fai come i cani, mordi dove capita.»
Mi insegnò come colpire e quando tornai a scuola,
alla prima occasione; giù botte e quando erano in tanti a picchiarmi; erano
calci o morsi.
Dopo ogni strillata della maestra, finivo sempre
in castigo, dietro la lavagna.
Dopo ogni rissa e castighi, non tornavo a scuola,
se non mi venivano a prendere i carabinieri.
Dopo la scuola d’obligo, non proseguii più, il
signor Mario non voleva spendere soldi
per me, così continuai a lavorare alla fattoria.
Lavorai per il signor Mario fino a quando
raggiunsi la maggiore età e poi andai via.
Negli anni che passai, da quando mi trovò a quando
me ne andai, cresceii in tal modo che: per uscire o per entrare in casa mi
dovevo chinare per non sbattere la testa e ero tanto robusto che; quando si
trebiava il grano, trasportavo due sacchi da 50 Kg con ogni mano come se
pesassero molto meno.
L’unica cosa che non mi crescevano, erano i
capelli.
I capelli erano quelli che avevo quando il signor
Mario mi trovò.
Neri come la pece, mentre la carnagione era chiara.
Il signor Mario non mi comprava i vestiti e quando
i suoi (vecchi) non mi entravano più, mi dovevo confezionare i vestiti da solo.
Gli unici indumenti che sempre indossavo erano: un
paio di braghe e una cannottiera che mi dovevo lavare e rammendare da solo.
Per le scarpe, quando quelle del signor Mario non
mi entravano più, dovetti farmele da solo con legno e strisce di cuoio.
Non ho mai indossato ne giacca, né cappotto,
perche non sentivo freddo, anche quando la mia pelle era gelata (a detta di chi
me la toccava).
Dopo essere andato via dalla fattoria del signor
Mario, andai a lavorare in una officina di camion.
I camion erano della mia stessa misura.
Il signor Giuseppe essendo di statura grande, mi
imprestò una sua tuta da lavoro, poi con i soldi che guadagnavo nell’officina,
mi comperai dei vestiti.
Ogni giorno crescevo un pó di più; tanto che, tre
anni dopo, non c’erano più vestiti della mia misura e dovetti farmeli fare su
misura.
Ero un tipo calmo, non andavo mai a cercare grane,
quando ero provocato (sempre da qualcuno della mia stazza), cercavo di
resistere quanto più potevo; quando non ne potevo più, erano botte e ossa rotte
(le altre).
Alcuni volevano che diventassi un lottatore o un
boxier, ma non ho mai accettato, non mi è mai piaciuto fare a botte senza
nessun motivo.
Avevo superato i due metri e i miei amici e
compagni di lavoro mi prendevano in giro dicendomi: « Se continui a crescere
così; presto diventerai un gigante. »
I miei amici e compagni avevano ragazze, meno io.
Le ragazze non legavano con me, forse per paura
che potessi far male loro (senza volerlo) data la mia statura, tutto era grande
in me.
Una volta me ne andavo per i fatti miei, pensando
alla sfortuna che mi era capitata, quando, andai a sbattere contro una persona.
Quando sollevai la testa per chiedere scusa, mi
trovai d’avanti ad una ragazza che era grande come me.
Senza pensare a quello che stavo dicendo, le
dissi: « Di quale pianeta vieni? »
Lei senza offendersi, rispose: « Probabilmente
dallo stesso pianeta tuo. »
Ci mettemmo a ridere e poco dopo stavamo seduti
sull’erba con le schiene appoggiate ad un albero, a parlare di noi.
Le raccontai quello che mi aveva detto il signor
Mario e lei (Giovanna), mi raccontò quello che le avevano detto i suoi genitori
adottivi.
Era stata trovata neonata, sulla soglia di casa e
dopo aver denunciato alle autorità l’accaduto e non trovando la sua madre,
venne adottata.
All’inizio era andato tutto bene; ma poi quando
cominciò a crescere, dovettero fargli fare tutto sulla sua stessa misura,
modificando pure le porte, i tavoli e le sedie.
Aveva tanti amici e amiche, ma non aveva un
ragazzo, con cui farci l’amore.
Dissi, lo stesso e...dopo un bacio, diventammo
innamorati.
Ma poi mi svegliai.
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