Tre ragazzi di quattordici e quindici anni, erano
fuggiti di casa in cerca di avventure.
I loro genitori ne avevano denunciato la scomparsa e fornito le loro foto.
Una copia l’avevo con me, mentre giravo di pattuglia.
Ad ogni sosta, mostravo la foto, ma nessuno li aveva visti.
Con i soldi che avevano di certo rubato ai loro
genitori, avevano preso il treno diretto al Sud, verso una località marina dove
c’era in corso un Festival Hippy.
Lì, le informazioni erano vaghe.
C’erano tanti ragazzi, più o meno della loro età e
non era facile individuare quelli che cercavo.
In quella località marina era come cercare un ago
in un pagliaio.
Il mio compito era: trovare quei ragazzi e non
potevo lasciare il posto, senza averli trovati.
Nella macchina, insieme a altri due compagni,
giravamo, giravamo senza sosta, guardando tutti i ragazzi e a volta,
fermandoli.
Li rilasciavamo, quando (tramite i documenti che
avevano), ci accorgevamo che: non erano quelli che cercavamo.
Era già sera, quando arrivammo nei pressi
dell’Hotel Miramare.
L’Hotel era troppo di lusso per quei ragazzi.
Lì non potevano esserci.
Comunque, tanto valeva domandare.
Scesi dalla macchina, fermammo una signora che
camminava sul marciapiedi, di fronte all’Hotel.
Gli mostrammo la foto in cui riproduceva i tre
ragazzi, e, la signora dopo aver guardato bene la foto, disse di averli visti
entrare nell’Hotel, proprio quella mattina.
Dopo aver comunicato la notizia al Comissariato,
entrammo nell’Hotel.
Ci si fece incontro un signore ben distinto,
chiedendoci, cosa volevamo.
Gli facemmo vedere la foto e lui, dandogli una
rapida occhiata, disse:
« Non li ho visti. »
Lo disse in un modo troppo affrettato, per essere
vero.
Ero sicuro che li aveva visti, ma cercava di
nasconderlo.
C’era sotto qualcosa di losco.
In tre, non eravamo in grado di perquisire tutto
l’Hotel.
Avevo bisogno di: un ordine di perquisizione e
altri poliziotti (almeno dieci ).
Lasciai Francesco e Carlo a sorvegliare le due
entrate dell’Hotel, con l’ordine di non fare andar via nessuna macchina
proveniente dall’Hotel, prima di aver visto, chi trasportava.
Andai alla Centrale e dopo aver parlato con un
Superiore, mi venne promesso che...più o meno: un’ora, avrei avuto il Permesso
e gli agenti necessari.
Il tempo (per me) non passava mai.
Ero preoccupato per la sorte di quei tre ragazzi
(poco più grandi di bambini).
Invece il tempo passò e dalla Magistratura, venne
rilasciato l’Ordine di Persequizione.
Con altre tre macchine, tornammo all’Hotel e nonostante
le proteste del Direttore, procedemmo alla persequizione.
Furono perquisite tutte le stanze, le camere di
servizio, i magazzini e la cantina.
Nella cantina c’erano solo scaffalature, con
bottiglie di vino e liquori.
La persequizione non ci diede buoni frutti.
Scusandoci, lasciammo l’Hotel.
Il mare era agitato e le onde riuscivano a far
arrivare l’acqua del mare a lambere la base dell’Hotel (costruito, dieci metri
dalla spiaggia).
L’entrata era rialzata da una scalinata, na non le
finestrelle che erano quasi al livello della terra.
Eravamo saliti in macchina, quando sentimmo
gridare: « Aiutateli, non lasciateli morire affogati. »
Con Francesco e Carlo scendemmo dalla macchina
(gli altri erano tornati al Commissariato).
Guardammo verso il mare.
Non si vedeva nessuno, in mare.
Vedendo chi stava gritando, mi diressi a sua
volta.
« Ma guardi, non c’è nessuno in mare, chi dobbiamo
salvare? »
Quel signore indicando l’Hotel disse: « Sono là,
sono là. Aiutateli, non lasciateli morire, come quelli dell’anno passato. »
Avevo capito dove stavano i ragazzi.
Erano nascosti, nella cantina.
Tornammo di corsa nell’Hotel con le pistole in
pugno e minacciando il Direttore, tornammo in cantina.
L’acqua del mare era penetrata nella cantina, ce
ne era già un palmo.
Girammo tra i vari scaffali, ma dei ragazzi,
neanche un ombra.
« Ve l’ho detto; qui i ragazzi non ci sono. »
L’acqua entrava, ma il livello era sempre lo
stesso.
Mi venne un sospetto.
Aiutato da Francesco (che era il più forte),
spostammo gli scaffali che erano appoggiati alle pareti.
Quelli che non si spostavano, li gettavamo giù con
tutte le bottiglie.
Uno dopo l’altro, i scaffali vennero spostati,
fino a far apparire una porta di ferro.
La porta era chiusa a chiave.
Non volendo perdere il tempo a farmela aprire,
sparai alla serratura facendola saltare.
Una volta aperta (la porta), vedemmo con le nostre
torce in dotazione, un corridoio che aveva una inclinazione verso il basso e
dove arrivava la luce, l’acqua era già alta, arrivando a metà delle ultime due
porte.
Cominciammo ad aprire quelle, sparando alle
serrature.
Nell’interno di ogni stanza, c’erano donne e
uomini di colore che facevamo uscire.
L’Agente Carlo, aveva richiamato i rinforzi, così
mano mano che uscivano dalla cantina, le persone venivano fatti salire nei
furgoni.
In una di quelle stanze, trovammo i tre ragazzi.
I responsabili dell’Hotel, se l’erano squagliati.
Non mi preoccupai di loro.
Ci avrebbe pensato la Giustizia a prenderli.
Una volta alla Centrale, telefonai ai genitori dei
ragazzi, chiedendo loro di venirseli a riprendere.
La fuga da casa per i tre ragazzi ebbe un lieto
fine; tutto grazie a quel signore che aveva gridato.
Poi mi sono svegliato.
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