terça-feira, 20 de agosto de 2013

Sogno n.38 Il Menestrello della notte anno 2009

 
Dopo la separazione da mia moglie e dai miei figli, la mia vita non ebbe più un significato.
Passavo il pomeriggio e la sera all’osteria d’avanti alla bottiglia di vino rimugunandomi dai pensieri.
Un giorno qualcuno mi disse: « Canta ché te passa! » ed io,  oltre a bere, ascoltavo la musica attraverso gli auricolari e canticchiavo le canzoni che sentivo.
Un giorno; dovevo aver cantato con la voce un pó più alta del solito, venni interrotto dai miei pensieri da uno sconosciuto che mi disse: « Lo sai che hai una bella voce, perché invece di cantare all’osteria non vai a cantare alla Radio? »
Interrotto dai miei pensieri lo mandai al diavolo e dopo aver tragannato l’ennesino bicchiere di vino, tornai a canticchiare ( o almeno era quello che pensavo di fare.)
Lo sconosciuto mi lasciò un foglietto dicendo: « Se ti va, vai a questo indirizzo, di che ti manda Paolo. »
Misi il biglietto in tasca e tornai al mio vino fino a quando non vuotai la bottiglia, poi traballando come il solito, tornai a casa.
La mia vita continuò tra il lavoro di giorno e l’osteria di notte.
Un giorno non sò come mi capitò tra le mani quel biglietto e dopo aver titubato un pó, andai a quell’indirizzo.
Era una Stazione Radio Privata.
Dissi: « Mi manda Paolo. »
« E che vòi? »
« Paolo mi ha detto che se avevo voglia di cantare, potevo farlo alla Radio. Perciò sono venuto. »
« E ché sai cantá? »
« Un pó di tutto. »
Mi mandarono in una cabina e dopo aver messo gli auricolari, cercai una canzone e ascoltandola ripetei quello che sentivo.
Non só quanto cantai. Venni interrotto da un giovanotto che mi mandò in uno stanzino dove c’era una signora grassa e brutta che mi disse: « Lascia il tuo nome e il telefono, ti faremo sapere. »
« Il mio nome è Nemo (che significa Nessuno) e il telefono non ce l’ho, se v’interesso fatemelo sapere da Paolo, lui sà dove trovarmi. »
Uscii dallo Studio e me ne tornai all’Osteria del Gatto Nero.
D’avanti alla mia bottiglia: l’oste già conosceva i miei gusti e mi metteva d’avanti sempre lo stesso vino e tra un bicchiere e l’altro, ripresi a canticchiare.
All’audizione non ci pensai più fino a quando non tornò a farsi rivedere Paolo.
Paolo offrendomi da bere mi disse che ero piaciuto come cantavo e che mi volevano fare un contratto.
Non è che m’interessava molto; almeno mi sarei tenuto fuori dal vino.
Facemmo un contratto a nome di Nemo Bo (il cognome Bo era come dire: Non lo só), a tempo indeterminato.
Sarei andato alla Stazione Radio Tuscolo alle 22 e avrei avuto un programma fino alle due.
Il programma si chiamava “ Il Menestrello dell Notte “.
La musica e le parole me la procuravano loro, dato che nel Programma c’era pure la publicità, durante la pausa, ascoltavo i brani che avrei dovuto cantare, se non conoscevo la canzone del momento. 
Andò bene per molto tempo.
Ero conosciuto per Nemo: “ Il Menestrello della Notte “.
Dopo due settimane mi cominciarono a scrivere o telefonare alla Stazione Radio e in base alle richieste, cantavo in tutte le lingue.
Cantavo, cercando di imitando il cantante del momento; poteva essere Modugno o Pavarotti.
Non mi limitavo solo a cantare, raccontavo delle barzellette e delle mie avventure passate: vere e non.
Come per esempio:
Sò figlio unico, mio padre si sposò prima di andare in guerra e disse a mia madre che voleva un bel moretto; moro come lui.
Poi partì, quando nacqui, mia madre mi parlava di mio padre e diceva come era, e io passavo i giorni alla loggetta (balcone), tra i fiori (i gerani e le pansè), aspettando il ritorno di mio padre.
Un giorno vidi due soldati, uno aveva la mano appoggiata alla spalla dell’altro.
Lo riconobbi subito e corsi da mia madre dicendo: « È papà, è papà ché ritornato. » quando fu tra noi e ci abbracciò, volle sapere se ero moretto. ed io: « No! Sò biondo come la mamma », e lui battendo un pugno sulla tavola disse: « Manno fregato pure i tedeschi. » e non mi volle riconoscere come suo figlio e mia madre fece l’offesa e non gli diede più figlio. Ecco perché só figlio unico. A questo proposito vi faccio sentire una canzone di Riccardo del Turco che s’intitola “ Figlio unico “
Un’altra sera dissi: « Quando ero piccolo i compagni di scuola o di giochi mi prendevano in giro, dicendo che ero figlio di un principe e di una regina; perché mio padre si chiamava Carlo Alberto e mia madre Regina Vittoria.
All’inizio mi arrabbiavo, ma poi qualcuno mi disse: « Più di arrabbi e più ti prendono in giro.»
Non me la presi più, anzi quando parlavo dei miei genitori, dicevo: « Sò figlio di un principe e di una regina » e se non ci credevano, gli mostravo la Carta d’Identità in cui si deceva che ero figlio di: Carlo Alberto e Regina Vittoria. Mio nonno morì a cento anni, proprio il giorno del suo compleanno.Quando stava per morire, vedevo che muoveva la bocca e io chinando l’orecchio, sentii: non diceva le preghiere, ma le parolacce a tutti quelli che gli avevano augurato: « Cento di questi giorni. » Dopo la morte di mio nonno, ad ogni compleanno si auguravano: « Duecento di questi giorni. » tanto per non portare a male l’augurio fatto.
Di verità non sono figlio unico, ho un fratello cantante, si chiama Adriano Celentano.
Non siamo fratelli di sangue, ma, fratelli di latte.
Le nostre madri compravano il latte dallo stesso lattaio.
Molti dicono che dico le bugie perché ho il naso lungo.
Il naso è un difetto di famiglia, l’ho preso da mio padre, che l’ha preso dal suo.
Mio padre quando era piccolo, lo chiamavano Pinocchio.
Un giorno sono andato con degli amici a Norcia in cerca di tartufi.
Loro avevano i cani e al ritorno, ne avevo trovati più io che non avevo il cane, che loro e loro per sfottermi, dicevano: « Ce credo che ne hai trovati tanti, có quer naso che te ritrovi.
Non me la prendevo a male, tra amici, si scherzava sempre.                     
Un anno ci siamo andati senza i cani e quando gli altri cercatori domandarono:
« Li avete portati i cani? », risposero: « A noi i cani non cé servono, ciavemo Nemo. »
Alle volte mentre ero in trasmissione, mi chiamavano per telefono.
C’era chi mi chiedeva se Nemo era il mio vero nome, che età avevo, se ero sposato, quanti figli avevo, che lavoro facevo eccetera eccetera.
Tra una canzone e l’altra, cercavo di accontentare tutti (anche con bugie).
Nemo non è il mio vero nome. Di nomi ne ho tanti, tanto è che mi feci una serie di Carte d’Identità con nomi diversi.
Quando mi domandarono quale era il mio cognome, risposi: « Bo! » e se mi domandarono se scherzavo, rispondevo: « Mi avete chiesto quale era il mio cognome; ed io vi ho risposto: « Bo! », così ad ogni documento, oltre al nome, c’era il cognome: Bo!.
Non ricordo quanti hanni ho. Probabilmente non ho età. Non ricordo quando sono nato. Probabilmente non sono mai nato; sono sempre vissuto.
Ho sempre fatto il menestrello o cantastorie o contastorie.
Quando qualcuno parla di Crociate,  mi ci vedo e comincio a raccontare certi avvenimenti successi in Terra Santa e se mi chiedevano in quale libro avevo letto quello, rispondevo: « Non ho letto nessun libro, ci sono stato.
Mi hanno sempre preso per matto..
Una volta dissi di essermi trovato al tempo dei romani e raccontavo quello che stavo facendo, come se realmente mi ci fossi trovato.
Nelle mie tante vite, mi sono sposato tante volte.
Di figli, ne devo aver avuti tanti; ma non me lo ricordavo.
Il mio attuale lavoro, oltre al menestrello della notte era: il Segretario.
« Segretario di chi?» Mi chiedevano a volte.
Di tutti quelli che hanno segreti e vogliono qualcuno che li conservi per lui.
Lì stava il Segretario, ovvero: Il Conservatore di Segreti.
I segreti che mi venivano rivelati, restavano segreti; era pagato per questo.
Però conoscevo molti segreti; segreti dei quali non ero stato pagato.
Segreti rivetatimi da donne che li avevano avuti dai mariti.
Segreti rivelatimi da preti (per opere buone), canfessati da chi voleva scaricare le loro coscenze.
Perciò: se avete dei segreti, o ve li tenete solo per voi, o pagate un Segretario. Ma non li rivelati: ne alle donne, ne ai preti.
Una notte mi telefonò un donna, il suo nome era Maria.
E quando le domandai, di dove era, rispose: « Sono portoghesa e sono nata a
Lisbona. »
« Lisbona », dissi, e, pensandoci un pó, cominciai a parlare come avevo sempre fatto, quando qualcuno nominava un posto.
« Mi trovavo come contastorie (antigo reporter), al seguito del Re Don Alfonso Enrico, dopo aver conquistato Santarem ai mori, per la seconda volta, all’accerchiamento della città di Lisbona.»
« Non è possibile che stavi all’Epoca di Don Alfonso; sono passati dei secoli. Ma allora quanti anni hai? » mi chiese Maria.
« È quello che me lo hanno chiesto in molti. Comunque se vuoi che ti racconto la mia storia, non mi interrompere. »
Così ripresi il racconto:
« Quella volta non era andato da solo, con lui c’erano: tedeschi, olandesi, inglesi, francesi e gruppi minori di oltre nazionalità con duecento barche.
Avevano fatto una deviazione nella rotta per la Terra Santa per aiutare Don Alfonso e partecipare al saccheggio della città. »
Parlavo, parlavo e mai Maria mi voltò ad interrompere.
Quando finii di raccontare, come erano andate le cose, le domandai se voleva ascoltare una canzone portoghesa, e lei disse di si.
Presi la chitarra e dopo aver toccato qualcosa, cominciai a cantare un Fado di Lisbona e quando mi chiese, come lo conoscevo, risposi che...era meglio che non glielo dicessi, tanto non mi avrebbe creduto, se le avrebbe fatto piacere, ogni sera le avrei dedicato una canzone portoghesa. E così feci.
Una notte mi telefonò Claudia.
Disse di avere una madre in ospedale e che tutte le notti mi ascoltava alla radio.
Aveva una malattia ed era allo stadio terminale.
Domandai della madre, di dove era nata e la notte dopo.
« Buona notte nonna Teresa, di certo non si ricorda di me. Sono il figlio di Bernardo, il taglialegna. Abitavamo a Oyace, nella casa rosa, in fondo al paese ci siamo conosciuti quando frequentavo la terza classe e lei era la mia maestra. Come tutti gli altri, ero innamorato di voi e ogni mattina le ponevo un mazzetto di fiori sulla cattedra. Quando stavo distratto o non rispodevo alle vostre domande, mi colpivate con il righello sul palmo della mano; le sue bacchettate facevano meno male di quelle del maestro Di Tommaso.
Avrei voluto essere bocciato per restare nella stessa classe, ma lei mi promosse.
Proseguii gli studi con altri maestri. Poi lei fu trasferita per Aosta e poi per Roma e non ci vedemmo se non quando tornò per sposarsi.
Vi ricordate della chiesa pricipale, stava in alto di una grande scalinata, in bassi c’era la piazza dove si faceva la Fiera, dove venivano montate le giorstre o il palco della banda, sulla sinistra della piazza c’era una lunga fontana; da una parte le donne andavano a prendere l’acqua e a volte anche quelli che portavano l’acqua a quelli che lavoravano sulle montagne a fare il carbone e da un’altra parte andavano a bere le vacche, i muli e gli asini. Alla festa del vostro matrimonio al salone della scuola Giuseppe Garibaldi, c’ero anche io, stavo con la banda musicale e suonavo l’armonio a bocca. L’unico strumento che mio padre mi potette comprare. Poi me ne andai anchio da Oyce e andai a lavorare per il mondo. Adesso dopo tanti anni, vi ritrovo, anche sew in ospedale. Un giorno di questi vi verrò a trovare. Ora basta con i ricordi, questa notte la musica
e le mie canzoni li dedico alla mia antica maestra di scuola. »
Cominciai con: Montagne Valdostane e proseguii con tutto quello che mi ero preparato.
Ogni notte cantavo una canzone per la signora Teresa.
Non andai mai a trovarla, quello che avevo detto alla signora Teresa erano bugie, salvo quello che mi aveva raccontato la sua figlia.
Un giorno conobbi una signora, era vedova e mi ci innamorai.
Era Maria la portoghese, quella che mi aveva chiamato una sera e  a che cantavo una canzone in portoghese.
Lei voleva che restassi a dormire a casa sua; non potevo dirgli che dovevo andare a cantare, così dissi che la notte per arrotondare lo stipendio, facevo la guardia notturna.
Andò avanti per un paio d’anni.
Un giorno si sposò il mio secondo figlio e ci invitò alle nozze.
La cerimonia religiosa si svolgeva di pomerigio e la festa, di sera.
Non potendo fare due cose contemporaneamente, mi misi d’accordo con la radio, avrei registrato la serata e poi loro non dovevano far altro che metterla in onda alla solita ora.
Quella trasmissione la dedicai a mio figlio e a tutte le persone che partecipavano alla festa.
Avevo promesso a mio figlio che mi sarei occupato della musica, trovando un complesso musicale.
Quella sera, invece del complesso céra un apparecchio radio e due grandi casse.
Comiciammo a cenare e nessuno si preoccupò del complesso musicale.
Alle 22 un cameriere andò ad accendere la radio.
« Buona sera a questa bella festa matrimoniale di Stefano e Paola; qualcuno invitato, mi ha contattato e pagato per questa trasmissione. Questa sera Nemo “ Il menestrello della notte “, sarà tutto per voi. Spero di non deludervi. Apriamo con un Valzer per gli sposi, sperando che lo sappiano ballare. »
Dopo il Valzer cominciai a cantare; alternando le canzoni con la musica. Cantai un pó per tutti, anche per la mia ex moglie, cantando: Buciarda di Alvaro Aminci (un cantante romano poco conosciuto).
Finito di cantare dissi: « Non sò chi è questa bugiarda, spero che non sia una di voi e non reclami presso la Radio Tuscolo, io ho l’elenco di quello che devo dire e di quello che devo cantare. Ora segue una canzone didicata a tutte le mamme.»
Cantai “ Tutte le mamme “ di Claudio Villa, poi un Tango. La Comparsita di Julio Iglesias.
Ascoltavamo le mie canzoni o ballavamo.
Quado cantai Buciarda e Quanto è bello il primo Amore; il secondo è più bello ancora. la mia ex mi guardò con odio, sapendo che era dedicata a lei.
Dedicai le canzoni a tutte le donne; ragazze comprese.
In sardo per la madre di Paola, in siciliano, in napoletano, alla fiorentina, in spagnolo, francese e in portoghese per la mia innamorata.
« Comè che questo cantante ha fatto il tuo nome, chi è, lo conosci? Guarda che sono geloso. »
Maria dandomi un bacio mi raccontò come erano andate le cose.
La sera dopo tornai alla Radio e ripresi a rispondere alle lettere e alle telefonate.
Una sera telefonò Claudia dicendomi che la madre stava per morire e chiedeva di me.
Dicendo che non mi sentivo bene, lasciai la Radio e andai all’ospedale Regina Elena.
Sapevo dove era la stanza della signora Teresa e una volta giunto, con un nodo alla gola, tirai fuori dal taschino la mini armonica e mettendola alla bocca cominciai a suonare avvicinandomi alla morente.
Era circondata da familiari, quando sentì la musica dell’ armonica, Teresa mi chiamò dicendo con un fil di voce: « Bastian, sapevo che non mi avresti lasciato morira. »
Mi avvicinai a lei dandole un bacio in fronte: « Mi scusi del ritardo Signora Maestra, non lo faccio più. »
Pochi minuti dopo la signora Teresa morì.
La sera dopo tornai alla Radio, ma non ero più io; il “Menestrello della notte “ non avrebbe più cantato.  
Ai miei ascoltatori dissi che avevo ricevuto una proposta da un Marajá.
Il Marajá diceva che la mia voce, incantava i serpenti, perciò mi assumeva come incantatore di serpenti.
Andai via dalla Radio Tuscolo e dall’Osteria.
Mudai vita.
Lasciai di essere “ Il Menestrello della Notte e la Guardia Notturna.
Mi risposai.
Ma fu solo un sogno.













                                                                                             

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