Stavo guardando un giornale e nella pagina degli
annunci, mi cascarono gli occhi su un messaggio: « Donna disperata, cerca un
amico che sia disposto a dare, senza chiedere niente in cambio. Rispondere a:
Donna disperata: »
Mi interessò quel messaggio e risposi così: «
Cercare un amico, disposto a dare, senza chiedere niente in cambio, è come
trovare acqua in un deserto. Trovare acqua in un deserto è cosa rara, così è
per un amico disposto a dare senza chiedere niente in cambio. Ma non è detto
che, non si trava acqua nel deserto. Io potrei essere quell’Amico. Mi chiamo
Italo, detto: Il Buon Samaritano. Faccio tutto quello che è legale. Il mio
numero telefonico è... »
Passato qualche giorno, ricevetti una telefonata,
era di Donna disperata.
Quello che mi voleva chiedere, non lo poteva dire
per telefono, così fissammo un appuntamento.
Andai con il mio solito vestito azzurro.
Con quel vestito, mi sentivo come: Il Principe Azzurro;
facevo sempre una buona impres-sione.
Seduti in un tavolino appartato di un caffè, la
signora cominciò a raccontare la sua disgrazia.
Era separata da tre anni e aveva un figlio di
cinque anni.
Era stata sposata con un tipo che dopo il primo
anno si era rivelato un violento.
La voleva sempre disponibile, in qualsiasi ora del
giorno o della notte.
Alle volte stava fuori casa due o tre giorni senza
avvertirla dell’assenza e quando rientrava non diceva dove era stato.
Se era notte e lei stava a dormire, la svegliava e
se aveva fame, doveva fargli da mangiare e dopo sottostare ai suoi istinti
sessuali.
Rimare incinta tre volte.
Le prime due volte, accettò da lui, che facesse
l’aborto, la terza volta lei non volle farlo e proseguì la gravidanza.
Dopo aver dato alla luce il figlio che in quel
momento aveva cinque anni, dietro suggerimento del medico, non doveva più restare
incinta; rischio della sua vita.
Il marito, non sentì quello che lei gli diceva.
Lui voleva fare quello che sempre aveva fatto e
della sua salute o vita, non gliene fregava niente.
Alla sua opposizione di fare sesso senza
preservativo, lui rispondeva a botte e quando lei tutta dolorante si lasciava
andare, lui la prendeva come a lui piaceva, senza pensare se gli faceva piacere
o dolore.
Alle ripetute violenze anche alla presenza del
figlio, lei si era rivolta ad una Assistente Sociale che le consigliò di
denunciare il fatto alla polizia.
Ciò che fece dopo un’altra violenza.
La polizia mandò a chiamare il marito.
Ma quando tornò a casa, gli diede tante botte da
far accorrere i vicini e fu ricoverata in ospedale con fratture multiple.
Quando veniva trasportata in ospedale, il marito
le disse che, se l’avesse denunciato, l’avrebbe uccisa: a lei e a quel
(bastardo) come lui, chiamava suo figlio.
Lei non si fece intimorire e alle domande dei
medici, invece di dire che era caduta dalle scale, disse che era stato il
marito a farle quelle fratture.
Con quella denuncia, il marito fu arrestato e
condannato per tentativo di omicidio a cinque anni di carce-re.
Dal carcere, lui tramite suo padre, le aveva fatto
sapere che una volta uscito, l’avrebbe uccisa.
Alla rinnovata denuncia, lui negò di aver detto
quelle parole, così come fece il padre di lui.
Lei chiese e ottenne la Separazione
Giudiziale.
I cinque anni stavano scadendo e lei aveva paura;
non tanto per lei, quanto per suo figlio.
Tutte le richieste di aiuto, fino ad ora, non ne
aveva avute; tutti quelli che conoscevano suo marito, avevano paura e si erano
allontanati da lei.
E gli estrani, dopo aver ascoltato la sua storia,
con una scusa o con un’altra, non si erano fatti più né sentire, né vedere.
Mentre mi raccontava la sua disgrazia, le lacrime
le scorrevano giù come un rubinetto aperto.
Mi fece pena e portandomi accanto le misi un
braccio sopra le spalle dicendole:
« Non pianga, ora ci sono io, sarai sotto la mia
protezione, io non ho paura, non fuggirò e per dimostrartelo, se hai una camera
da affittarmi, mi trasferirò da te, in cambio non ti chiederò nulla se non un
piatto di quello che mangiate voi. »
Finito di parlare, le lacrime scorsero ancora più forte.
Di certo non dal dolore, ma dalla commozione.
Come promesso, mi trasferii da lei, quel giorno stesso.
Rita lavorava con un’impresa di pulizie e tutte le
mattine prima di andare al lavoro, accompagnavo Giustino (suo figlio) all’Asilo
e lei all’impresa. Eravamo intesi che: in caso di bisogno, mi avrebbe chiamato
in ufficio dove lavoravo; che sarei subito corso da lei.
Tutto andò bene fino al giorno in cui l’ex marito
uscì di prigione e tornò a casa.
Dopo essermi trasferito a casa della signora Rita,
le avevo consigliato di cambiare la serratura della porta.
Rita disse che non valeva la pena cambiare la
serratura. Il marito era molto forte, avrebbe gettato giù la porta.
« Ah, sì! », dissi.
A mie spese, feci cambiare la porta con una super
corazzata, ci sarebbe voluto un carro armato per buttarla giù (così almeno mi
avevano garantito.
Così quando tornò il marito e provò ad aprire con
le sue chiavi, non ci riuscì e dopo aver ripetutamente suonato, tentò di
buttare giù la porta a spallate, senza riuscirci e quando capì che la porta non
era quella che aveva lasciata, ci rinunciò.
Rita tremava di paura, la polizia che aveva
chiamato, gli aveva detto che, non
poteva intervenire se non c’erano lesioni o morte.
Bella roba, prima bisogna morire, poi la polizia interviene.
Cecai di tranquillizzarla.
Il giorno dopo Rita telefonò all’Impresa dicendo
una scusa: non si sentiva bene e non sarebbe andata al lavoro.
Per di più mi chiese di farlo anche io, di non lasciarla sola.
Nonostante l’assicurassi che in casa stava al
sicuro, Rita aveva paura e diceva tante cose, come: « Si potrebbe calare dal
piano di sopra e entra-
re da una finestra o forare una parete dell’appartamento
vicino.»
Per tranquillizzarla le promisi di fare l’ammalato.
Così facemmo gli ammalati per una settimana,
facendo venire un medico (che era un mio amico) che ci fece il certificato
medico per l’Impresa e per il mio posto di lavoro.
Quando uscivo per comprare il latte (Giustino
beveva solo il latte fresco), non arrivavo dal lattaio o dal fornaio, che, il
telefonino cominciava a suonare.
Dovevo fare tutto di corsa. Ogni scusa era buona:
Qualcuno si stava calando dal piano di sopra, un trapano all’appartamento
vicino era: Il marito che si apprestava a forare la parete.
La notte non mi lasciava dormire.
Rita non riusciva a dormire; presa da incubi di
persecuzione.
Ad ogni piccolo rumore si metteva a strillare,
costringendomi ad alzarmi e andarla a tranquillizzare fino a quando si
riaddormentava.
Una notte dopo l’ennesima strillata, mi chiese di
dormire con lei.
Con me accanto, non avrebbe avuto paura.
Per rassicurarla, entrai nel letto e lei mi si strinse addosso.
Quando si ha qualcuno accanto, ma più che accanto,
non si riesce a dormire, anche perché: la carne è carne e un contatto (se poi è
femminile) accanto, ti fanno venire certe idee.
Se poi oltre al contatto del suo corpo, ci si mette pure una mano lì.
Mbè! Non sò mica di ferro.
Cercai di scostarmi.
« Scusa se ti sto dando fastidio. »
« Non è che mi stai dando fastidio, anzi. Ma poi
lo sai come và a finire?»
« Sì...è tanto tempo che non lo faccio. »
Alla sua mano, si aggiunse la mia e...finì che facemmo l’amore.
Dopo lo sfogo di entrambi, subentrò un rilassamento e ci addormentammo.
La mattina dopo, dopo aver svegliato Giustino e
fatto colazione, ci accingemmo a uscire per andare al lavoro.
Rita aveva paura di incontrare suo marito.
La rassicurai mostrandole la pistola che avevo nel sott’ascella.
A vedere l’arma, Rita rimase impressionata.
La rassicurai dicendole: « È tutto legale, sono
autorizzato a portarla, spero non la debba usare, ma in caso di bisogno, prima
di sfoderarla, la mostro; alle volte basta la sua vista per calmare i bollenti
spiriti. »
Prendemmo l’ascensore e prima di uscire dal portone mi assicurai, non ci
fossero pericoli in vista.
Le aprii lo sportello posteriore della mia auto e poi presi il mio posto al
volante e
misi in moto.
Nel percorso: da casa sua all’impresa dove
lavorava, ci dovemmo fermare.
Incappammo in una rapina in corso ad una gioielleria.
Fermai l’auto e scesi.
« Dove vai? Non mi lasciare sola, ho paura. »
« Non ti preoccupare, qui dentro è come se stai in una cassaforte. Questa
macchina è come un’autoblinda, torno subito. »
Mi diressi
verso l’oreficeria con la pistola in pugno, pronta per l’uso; nel momento
stesso che uscivano due uomini; uno era di colore, l’altro era un bianco. erano
armati di carabine.
« Fermi! Giù le armi o sparo. »
Loro invece di ubbidire, si voltarono verso il
luogo dove proveniva la voce, mettendosi a sparare.
« Bang! Bang! »
Due colpi, due morti.
Quando sparo, miro sempre al cuore e 99 su cento,
colpisco il bersaglio.
Quello che stava in attesa in macchina, non
intervenne, con la macchina già in moto, partì come un razzo, sparendo alla
prima traversa.
Mi avvicinai agli assaltanti e mostrando una
tessera dissi alle persone presenti:
« Polizia », e raccolte le carabine tornai verso la mia macchina.
« E questi due? », disse qualcuno.
« Manderò il camion dei rifiuti a portarli via. »
Dopo aver messo i fucili nel portabagagli, risalii
in macchina, misi in moto e ripartii.
« Che hai fatto, era necessario uccidere quei due? »
« La scelta è stata la loro, se avessero gettato
le armi invece mettersi a sparare, li avrei ammanettati ad un lampione e
mandati a prendere da
qualcun altro. Quelli come me hanno l’ordine di
rispondere al fuoco,
cercando di uccidere, non di ferire, una volta
morti, i delinquenti non danno più fastidio e fanno risparmiare i soldi allo
Stato per mantenerli in prigione ».
« Non ti facevo tanto cattivo ».
« Cattivo mi ci hanno fatto diventare loro, lo sai
quanti poliziotti sono morti perché non avevano l’ordine di uccidere..,non lo
sai? Centinaia ed erano per lo più padri di famiglia. »
Rita non disse più nulla.
Lasciammo Giustino all’Asilo e poi lasciai Rita
all’Impresa dove lavorava e poi mi diressi al posto dove lavoravo.
Una volta arrivato, feci rapporto al mio capo e mi
diressi verso la mia scrivania e ripresi il mio lavoro.
La sera al Telegiornale, parlarono dell’assalto all’orificeria e mostrarono
la foto dei due rapinatori.
Rita al vedere la foto, esclamo: « Quello era mio marito! »
Così era finito l’incubo ed io potevo lasciare
Rita e cercare altre: Donne Disperate.
Era solo un sogno.
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