segunda-feira, 19 de agosto de 2013

Sogno n.24 Chi trova un amico, trova un tesoro anno 2007

 
Stavo guardando un giornale e nella pagina degli annunci, mi cascarono gli occhi su un messaggio: « Donna disperata, cerca un amico che sia disposto a dare, senza chiedere niente in cambio. Rispondere a: Donna disperata: »
Mi interessò quel messaggio e risposi così: « Cercare un amico, disposto a dare, senza chiedere niente in cambio, è come trovare acqua in un deserto. Trovare acqua in un deserto è cosa rara, così è per un amico disposto a dare senza chiedere niente in cambio. Ma non è detto che, non si trava acqua nel deserto. Io potrei essere quell’Amico. Mi chiamo Italo, detto: Il Buon Samaritano. Faccio tutto quello che è legale. Il mio numero telefonico è... »
Passato qualche giorno, ricevetti una telefonata, era di Donna disperata.
Quello che mi voleva chiedere, non lo poteva dire per telefono, così fissammo un appuntamento.
Andai con il mio solito vestito azzurro.
Con quel vestito, mi sentivo come: Il Principe Azzurro; facevo sempre una buona impres-sione.
Seduti in un tavolino appartato di un caffè, la signora cominciò a raccontare la sua disgrazia.
Era separata da tre anni e aveva un figlio di cinque anni.
Era stata sposata con un tipo che dopo il primo anno si era rivelato un violento.
La voleva sempre disponibile, in qualsiasi ora del giorno o della notte.
Alle volte stava fuori casa due o tre giorni senza avvertirla dell’assenza e quando rientrava non diceva dove era stato.
Se era notte e lei stava a dormire, la svegliava e se aveva fame, doveva fargli da mangiare e dopo sottostare ai suoi istinti sessuali.
Rimare incinta tre volte.
Le prime due volte, accettò da lui, che facesse l’aborto, la terza volta lei non volle farlo e proseguì la gravidanza.
Dopo aver dato alla luce il figlio che in quel momento aveva cinque anni, dietro suggerimento del medico, non doveva più restare incinta; rischio della sua vita.
Il marito, non sentì quello che lei gli diceva.
Lui voleva fare quello che sempre aveva fatto e della sua salute o vita, non gliene fregava niente.
Alla sua opposizione di fare sesso senza preservativo, lui rispondeva a botte e quando lei tutta dolorante si lasciava andare, lui la prendeva come a lui piaceva, senza pensare se gli faceva piacere o dolore.
Alle ripetute violenze anche alla presenza del figlio, lei si era rivolta ad una Assistente Sociale che le consigliò di denunciare il fatto alla polizia.
Ciò che fece dopo un’altra violenza.
La polizia mandò a chiamare il marito.
Ma quando tornò a casa, gli diede tante botte da far accorrere i vicini e fu ricoverata in ospedale con fratture multiple.
Quando veniva trasportata in ospedale, il marito le disse che, se l’avesse denunciato, l’avrebbe uccisa: a lei e a quel (bastardo) come lui, chiamava suo figlio.
Lei non si fece intimorire e alle domande dei medici, invece di dire che era caduta dalle scale, disse che era stato il marito a farle quelle fratture.
Con quella denuncia, il marito fu arrestato e condannato per tentativo di omicidio a cinque anni di carce-re.
Dal carcere, lui tramite suo padre, le aveva fatto sapere che una volta uscito, l’avrebbe uccisa.
Alla rinnovata denuncia, lui negò di aver detto quelle parole, così come fece il padre di lui.
Lei chiese e ottenne la Separazione Giudiziale.
I cinque anni stavano scadendo e lei aveva paura; non tanto per lei, quanto per suo figlio.
Tutte le richieste di aiuto, fino ad ora, non ne aveva avute; tutti quelli che conoscevano suo marito, avevano paura e si erano allontanati da lei.
E gli estrani, dopo aver ascoltato la sua storia, con una scusa o con un’altra, non si erano fatti più né sentire, né vedere.
Mentre mi raccontava la sua disgrazia, le lacrime le scorrevano giù come un rubinetto aperto.
Mi fece pena e portandomi accanto le misi un braccio sopra le spalle dicendole:
« Non pianga, ora ci sono io, sarai sotto la mia protezione, io non ho paura, non fuggirò e per dimostrartelo, se hai una camera da affittarmi, mi trasferirò da te, in cambio non ti chiederò nulla se non un piatto di quello che mangiate voi. »
Finito di parlare, le lacrime scorsero ancora più forte.
Di certo non dal dolore, ma dalla commozione.
Come promesso, mi trasferii da lei, quel giorno stesso.
Rita lavorava con un’impresa di pulizie e tutte le mattine prima di andare al lavoro, accompagnavo Giustino (suo figlio) all’Asilo e lei all’impresa. Eravamo intesi che: in caso di bisogno, mi avrebbe chiamato in ufficio dove lavoravo; che sarei subito corso da lei.
Tutto andò bene fino al giorno in cui l’ex marito uscì di prigione e tornò a casa.
Dopo essermi trasferito a casa della signora Rita, le avevo consigliato di cambiare la serratura della porta.
Rita disse che non valeva la pena cambiare la serratura. Il marito era molto forte, avrebbe gettato giù la porta.
« Ah, sì! », dissi.
A mie spese, feci cambiare la porta con una super corazzata, ci sarebbe voluto un carro armato per buttarla giù (così almeno mi avevano garantito.
Così quando tornò il marito e provò ad aprire con le sue chiavi, non ci riuscì e dopo aver ripetutamente suonato, tentò di buttare giù la porta a spallate, senza riuscirci e quando capì che la porta non era quella che aveva lasciata, ci rinunciò.
Rita tremava di paura, la polizia che aveva chiamato, gli aveva detto che, non
poteva intervenire se non c’erano lesioni o morte.
Bella roba, prima bisogna morire, poi la polizia interviene.
Cecai di tranquillizzarla.
Il giorno dopo Rita telefonò all’Impresa dicendo una scusa: non si sentiva bene e non sarebbe andata al lavoro.
Per di più mi chiese di farlo anche io, di non lasciarla sola.
Nonostante l’assicurassi che in casa stava al sicuro, Rita aveva paura e diceva tante cose, come: « Si potrebbe calare dal piano di sopra e entra-
re da una finestra o forare una parete dell’appartamento vicino.»
Per tranquillizzarla le promisi di fare l’ammalato.
Così facemmo gli ammalati per una settimana, facendo venire un medico (che era un mio amico) che ci fece il certificato medico per l’Impresa e per il mio posto di lavoro.
Quando uscivo per comprare il latte (Giustino beveva solo il latte fresco), non arrivavo dal lattaio o dal fornaio, che, il telefonino cominciava a suonare.
Dovevo fare tutto di corsa. Ogni scusa era buona: Qualcuno si stava calando dal piano di sopra, un trapano all’appartamento vicino era: Il marito che si apprestava a forare la parete.
La notte non mi lasciava dormire.
Rita non riusciva a dormire; presa da incubi di persecuzione.
Ad ogni piccolo rumore si metteva a strillare, costringendomi ad alzarmi e andarla a tranquillizzare fino a quando si riaddormentava.
Una notte dopo l’ennesima strillata, mi chiese di dormire con lei.
Con me accanto, non avrebbe avuto paura.
Per rassicurarla, entrai nel letto e lei mi si strinse addosso.
Quando si ha qualcuno accanto, ma più che accanto, non si riesce a dormire, anche perché: la carne è carne e un contatto (se poi è femminile) accanto, ti fanno venire certe idee.
Se poi oltre al contatto del suo corpo, ci si mette pure una mano lì.
Mbè! Non sò mica di ferro.
Cercai di scostarmi.
« Scusa se ti sto dando fastidio. »
« Non è che mi stai dando fastidio, anzi. Ma poi lo sai come và a finire?»
« Sì...è tanto tempo che non lo faccio. »
Alla sua mano, si aggiunse la mia e...finì che facemmo l’amore.
Dopo lo sfogo di entrambi, subentrò un rilassamento e ci addormentammo.
La mattina dopo, dopo aver svegliato Giustino e fatto colazione, ci accingemmo a uscire per andare al lavoro.
Rita aveva paura di incontrare suo marito.
La rassicurai mostrandole la pistola che avevo nel sott’ascella.
A vedere l’arma, Rita rimase impressionata.
La rassicurai dicendole: « È tutto legale, sono autorizzato a portarla, spero non la debba usare, ma in caso di bisogno, prima di sfoderarla, la mostro; alle volte basta la sua vista per calmare i bollenti spiriti. »
Prendemmo l’ascensore e prima di uscire dal portone mi assicurai, non ci fossero pericoli in vista.
Le aprii lo sportello posteriore della mia auto e poi presi il mio posto al volante e
misi in moto.
Nel percorso: da casa sua all’impresa dove lavorava, ci dovemmo fermare.
Incappammo in una rapina in corso ad una gioielleria.
Fermai l’auto e scesi.
« Dove vai? Non mi lasciare sola, ho paura. »
« Non ti preoccupare, qui dentro è come se stai in una cassaforte. Questa macchina è come un’autoblinda, torno subito. »
 Mi diressi verso l’oreficeria con la pistola in pugno, pronta per l’uso; nel momento stesso che uscivano due uomini; uno era di colore, l’altro era un bianco. erano armati di carabine.
« Fermi! Giù le armi o sparo. »
Loro invece di ubbidire, si voltarono verso il luogo dove proveniva la voce, mettendosi a sparare.
« Bang! Bang! »
Due colpi, due morti.
Quando sparo, miro sempre al cuore e 99 su cento, colpisco il bersaglio.
Quello che stava in attesa in macchina, non intervenne, con la macchina già in moto, partì come un razzo, sparendo alla prima traversa.
Mi avvicinai agli assaltanti e mostrando una tessera dissi alle persone presenti:
« Polizia », e raccolte le carabine tornai verso la mia macchina.
« E questi due? », disse qualcuno.
« Manderò il camion dei rifiuti a portarli via. »
Dopo aver messo i fucili nel portabagagli, risalii in macchina, misi in moto e ripartii.
« Che hai fatto, era necessario uccidere quei due? »
« La scelta è stata la loro, se avessero gettato le armi invece mettersi a sparare, li avrei ammanettati ad un lampione e mandati a prendere da
qualcun altro. Quelli come me hanno l’ordine di rispondere al fuoco,
cercando di uccidere, non di ferire, una volta morti, i delinquenti non danno più fastidio e fanno risparmiare i soldi allo Stato per mantenerli in prigione ».
« Non ti facevo tanto cattivo ».
« Cattivo mi ci hanno fatto diventare loro, lo sai quanti poliziotti sono morti perché non avevano l’ordine di uccidere..,non lo sai? Centinaia ed erano per lo più padri di famiglia. »
Rita non disse più nulla.
Lasciammo Giustino all’Asilo e poi lasciai Rita all’Impresa dove lavorava e poi mi diressi al posto dove lavoravo.
Una volta arrivato, feci rapporto al mio capo e mi diressi verso la mia scrivania e ripresi il mio lavoro.
La sera al Telegiornale, parlarono dell’assalto all’orificeria e mostrarono la foto dei due rapinatori.
Rita al vedere la foto, esclamo: « Quello era mio marito! »
Così era finito l’incubo ed io potevo lasciare Rita e cercare altre: Donne Disperate.
Era solo un sogno.




                                       





Sem comentários:

Enviar um comentário