terça-feira, 20 de agosto de 2013

Sogno n.35 Anna anno 2008


 Il nostro incontro fu casuale.
Andavo a trovare un collega d’ufficio che stava malato quando giungendo al portone del palazzo, sentii involontariamente delle parole che diceva un uomo a qualcuno tramite il citofono.
« Sono il fioraio, ho dei fiori da consegnare. Chi li manda? Non posso mica leggere il biglietto in allegato, l’indirizzo è questo e il nome è il suo, se mi apre, glieli consegno, se nò li riporto indietro dicendo che lei li ha rifiutati. »
Finito di parlare, ci fù lo scatto della serratura del portone e il portone si aprì e lui entrò.
Essendo il portone aperto, non citofonai a chi andavo a trovare, dato che ero atteso.
Entrammo entrambi nell’ascensore e l’uomo di disse: « A che piano va? »
Risposi: « Al quinto, ».
Lui schiacciò il quarto e arrivato, uscì e richiuse la porta dell’ascensore e io premetti il quinto.
Arrivato scesi e di corsa tornai al quarto piano senza fare rumore, arrivai giusto in tempo per bloccare la porta dell’appartamento n.11 che si stava chiudendo con la scarpa.
Vedendo che non riusciva a chiudere la porta, chi stava dentro, la riaprì e apparve lo stesso uomo dell’ascensore, solo che invece dei fiori, teneva in mano un coltello a scatto che mi puntò addosso dicendomi: « Sparisci o di buco. »
Non mi lasciai intimorire dal coltello e messa una mano in tasca tirai fuori una pistola (di plastica se la si prendeva in mano, ma vera se qualcuno te la puntava addosso), dicendo: « Penso che non vale la pena di provare a farmi un buco con il coltello, se fai una mossa, ti scarico tutti i sei colpi che contiene il caricatore. »
« Ma chi sei, che t’impicci dei fatti che non ti riguardano? »
« Vedi, quando qualcuno al citofono dice che il fioraio, che ha dei fiori da recapitare e non tiene i fiori, mi fa pensare ad un assalto e quello che hai intenzione di fare, non è certo una visita di cortesia, ma un assalto, perciò o sparisci subito o la polizia ti troverà già cadavere. »
Avendo capito l’antifona, uscì dalla casa e borbottando non capii quale minacce, scese per le scale e poco dopo sentii il portone richiudersi.
Rimessa in tasca la pistola entrai.
Appoggiata alla parete di fronte alla porta stava una donna di mezza età, pallida in volto che indossava una vestaglia da bagno.
Doveva stare a fare il bagno quando l’uomo aveva citofonato.
La tranquillizzai dicendole: « Non c’è più niente da aver paura, l’uomo cattivo è andato via. »
Sempre tremando e strigendosi addosso la vestaglia si portò verso l’interno dell’appartamento entrando in un salotto dove si rannicchiò in una poltrona.
Dato che l’appartamento si trovava al piano di sotto dove abitava il mio collega e che conoscevo, mi diressi senza esitazione in cucina e presi un bicchiere d’acqua e portandoglielo glielo porsi.
« Ecco beva, la calmerà un poco. »
Lei prese il bicchiere con la mano tremante e lo portò alla bocca.
Quando finì di bere, mi quardò e con la voce tremante mi disse: « Vi ringrazio
per quello che avete fatto, senza il vostro intervento, non sò come sarebbe
andato a finire. »
Non occorreva essere un indovino per sapere come sarebbe andata a finire.
« Chi siete, come avete fatto a capire le cattive intenzioni di quell’uomo? »
« Mi chiamo Angelo e di cognome, » gli mostrai la mia Carta d’Identità: «Anche se sembra fatto apposta, il mio cognome è Gabriel, ma non sono un angelo. »
« Anche se non lo siete, per me, siete il mio angelo che mi ha salvato, è stato certamente il Signore a mandarvi. »
« Vi ringrazio per quello che avete detto. Comunque come stavo per dire, sono venuto a trovare un mio collega di lavoro che sta ammalato, il signor Rivo che abita proprio al piano sopra il suo e quando sono arrivato al portone ho sentito quello che diceva quel signore. La cosa mi ha messo in sospetto quando ha detto di essere il fioraio, che aveva dei fiori da consegnarvi e dato che non portava i fiori, la cosa mi ha insospettito e quando sono sceso dall’ascensore, sono venuto di corsa e ho fatto a tempo a non far chiudere la porta. Quando l’uomo ha aperto la porta puntandomi addosso il coltello, ho tirato fuori la pistola. La pistola è finta, ma a prima vista non sembra, la porto sempre con me per difendermi da qualche assalto, finora non ho avuto occasione di sparare, la sua vista basta a calmare i bollenti spiriti; come è successo pure a quell’uomo che vi stava aggredendo. Ora dato che state bene e non avete più bisogno di me, tolgo il disturbo e vado a trovare il mio collega. »
« Quando avete finito la visita, tornate, vorrei ringraziarvi meglio. »
Con certe idee per la testa, la lasciai e andai a trovare il collega Rivo.
Non mi appressai a trattenermi in sua casa, ma dopo mezza ora, lo salutai augurandogli una pronta guarigione.
La moglie mi accompagnò all’ascensore e per non dire dove andavo, entrai e scesi fino all’ingresso del palazzo poi aprii il portone e lo richiusi e quando sentii la porta dell’appartamento di Rivo richiudersi, risalii le scale e suonai all’appartamento della signora Anna ....
Quando la porta si aprì, non mi apparve la donna che mi aspettavo, ma una donna completamente vestita che mi invitò ad entrare.
Tornammo in salotto e quando mi chiese se accettavo qualcosa; per non offendere, accettai un vermouth con dei pasticcini.
Mi invitò a sedermi e mentre bevevo, le chiesi: « Come mai si trova sola, suo marito non c’è? »
« Mio marito non c’è, perché non sono sposata. »
Chiesi scusa della gaffe.
« Non sono sposata e non penso di sposarmi. Gli uomini non mi piaciono, sono tutti brutali, pensano sempre a fare cose sporche con le donne. »
« Mbè! Non tutti sono brutali, io per esempio non ho mai alzato una mano su mia moglie, anche quando se lo meritava, odio la violenza, specie sulle donne. »
« Ah! È sposato, non l’ho capito dato che non porta la fede. »
« Ero sposato. Sono stato sposato per 22 anni. Ora sono separato. Avevo quattro figli che credevo fossero i miei e quando scoprii che non lo erano, mi sono
separato. »
« Mi dispiace che sia andata a finire così, avresti dovuto trovere un’altra donna, una veramente seria. »
E io pensai: « Come te! »
« Io sono figlia di una violenza che subì mia madre. Mia madre quando si sposò subì delle violenze da mio padre e dopo che naquì io, mia madre abbandonò mio padre e venimmo a vivere qui. Siamo sempre vissute qui, in questa casa e ora che lei è morta, sono rimasta sola. Non ho amici ne amiche, tutti pensano di fare
cose sporche, preferisco restare sola che soffrire quello che soffrì mia madre. »
« Come disse il Signore: Non si vive di solo pane...io ora sono tornato a casa dei miei genitori e non voglio più sentire parlare di donne. »
« Se sei solo e non pensi a fare quello che pensano gli altri, possiamo essere amici. Non ho mai avuto un amico vero. »
« Se tu vuoi, ti tratterrò come se fossi una mia sorella e dato che tra fratelli e sorelle il sesso non c’entra, com me starai tranquilla. Ora però ti devo lasciare, si sta facendo dardi e i miei genitori potrebbero stare in pensiero per me. Ci rivedremo, spero, hai il mio numero telefonico; quello dell’ufficio e quello di casa, mi puoi chiamare a qualsiasi ora e se starai in pericolo, correrò ni nuovo a salvarti. »
Ci salutammo sulla porta con una stretta di mano.
A casa raccontai a mia madre quello che mi era accaduto e lei fu contenta per quello che avevo fatto.
Da quel giorno ci vedemmo spesso.
Insieme andavamo in giro: al mare, al cinema, a ballare, la portai anche a cena a casa dei miei genitori. A mia madre fece una buona impressione, tanto che me lo disse quando dopo aver riaccompagnato Anna a casa sua, mia madre mi disse:
« Non fartela scappare, quella è meglio di...con lei, sono sicura, sarai felice.
Anna era di cinque anni più piccola di me, era dieci centimetri più bassa ed era rotondetta, usava portare i capelli con una frangetta sul d’avanti che le dava un’aria da sbarazzina. Si potrebbe dire che: mi innamorai a prima vista.
Anna lavorava come Assistente Sociale, ad una scuola elementare in cui c’era pure un asilo.
Quando aveva bisogno di me, bastava che mi telefonasse che correvo da lei.
Un giorno mi telefonò dicendo che aveva una perdita nel bagno.
Andai da lei e vidi che il danno, non lo potyevo riparare, l’unima cosa da fare era di chiamare un idraulico.
Gli telefonò e combinò per la visita.
Quando venne, c’ero pure io.
L’idraulico cambiò un pezzo di tubo, chiese il conto che Anna pagò, poi come l’idrtaulico andò via, poco dopo andai via anch’io.
Il giorno dopo mi telefonò dicendomi che aveva telefonato l’idraulico dicendole che sarebbe tornato per controllare il lavoro fatto, disse che aveva paura di riceverlo da sola, quando c’era stato il giorno prima le aveva fatto dei complimenti che lei non aveva gradito.
Le dissi di non farlo entrare, sarei andato da lei.
Così feci e trovai fuori dal portone l’idraulico che sbuffava impaziente.
Citofonai e insieme salimmo da Anna.
Notai che la mia presenza lo aveva incomodato.
Andò al bagno, mise la mano intorno al tubo, dicendo: « Sembra tutto a posto, con questo vecchio impianto, c’è poco da fidarsi. Se dovesse tornare a gocciare, torni pure a chiamarmi. »
Poi averla salutata stringengole la mano, andò via.
A me sembrò che, la mano gliela strinse un pó troppo a lungo, come se le volesse far capire quello che sentiva per lei.
Dopo quel fatto, Anna ebbe paura di restare da sola.
Mi chiese se potevo andare ad abitare con lei.
Per me poteva andare, solo che non volevo che la gente sparlasse di lei; e glielo dissi.
« È vero, qui tutti mi conoscono e sanno che sò una donna seria, non sò cosa fare, d’altra parte ho paura. »
Trovai una soluzione: « Da domani verrà a stare con te, tuo fratello. »
« Ma io non ho fratelli, sono figlia unica. »
« Chi lo sà? »
« Qui, nessuno. »
« Bene, domani mattina prima di andare al lavoro, alla prima persona che incontri, gli dirai: verrà a stare con me mio fratello, si è separato dalla moglie e mi ha chiesto se poteva stare un pó con me. Vedrai, basterà dirlo a uno, che poi lo saprà tutto il palazzo. »
« Ma è una bugia e io non sono abituata a dire bugie. »
« È vero che è una bugia, ma detta a fin di bene. e poi, non ti ho detto che oltre che amici è come se fossimo fratello e sorella? »
« Sì è vero, penso che potrà andare; e poi se più là scoprissero la verità...ma chi se ne frega. »
Così il giorno dopo con le raccomandazioni di mia madre, mi trasferii in casa di Anna.
Lei mi diede la stanza dove aveva vissuto quando era andata a vivere lì con la madre, lei si era trasferita nella stanza della madre.
Nella stanza c’era un letto singolo, un armadio a due sportelli con una cassettiera, un tavolino con una sedia e dei scaffali pieni di libri.
Sul tavolo c’era un vecchio computatore.
Sistemai i vestiti nell’armadio, le camicie e gli indumenti intimi nei cassetti e nell’armadietto del bagno, gli accessori per la barba, lo spazzolino e il dentifricio.
Come c’era da aspettarci, ogni persona che mi incontrava, oltre a salutarmi, mi chiedeva le cose mie.
Per non fare il maleducato e mandarle a quel paese, dicevo quello che avevo combinato con Anna.
Ero fratello di Anna, ero nato dal primo matrimonio della madre di Anna, avevo tre anni quando mio padre morì in un incidente e mia madre si era risposata un anno dopo con il padre di Anna e un anno dopo era nata Anna. Molto giovane mi ero sposato ed ero andato a vivere in un’altra città. Era separato e avevo chiesto ad Anna se potevo stare un pó con lei fino a che avessi trovato una
nuova casa. Se c’era qualcosa che potevo fare, era solo da chiedere.
Le domande, me le fecero per una settimana, poi mi lasciarono in pace.
La vita a casa di Anna corse bene anche se con qualche malinteso e i malintesi successero sopratutto nel bagno di casa.
Nel suo appartamento c’era solo un bagno e che tra l’altro la porta non aveva la  chiave, così se non si bussava, c’era il caso che...
Una volta stavo orinando quando la porta si aprì e lei mi vide, richiuse la porta scusandosi, anche se a me parve che tra lo scusarsi e uscire ci impiegò qualche secondo di troppo.
Un’altra volta successe a me di entrare senza bussare.
Avevo urgente bvisogno di andare al bagno, così aprii la porta nello stesso tempo in cui lei usciva dalla doccia.
Il tempo di scusarmi e uscire fuori, ci impiegai qualche secondo di troppo.
La questione del bagno l’avevamo risolta così: se uno dei due stava facendo la doccia e l’altro aveva bisogno di andare in bagno, se non poteva aspettare, poteva entrare dato che la gabina aveva i vetri opachi e non lasciavano intravedere niente; salvo se non si bussava e l’altro o l’altra usciva dalla gabina.
Cosa che successe anche a me quando finii di fare la doccia.
Anna entrò senza bussare e mi vide uscire dalla cabina per prendere l’asciugamano.
Tra una cosa e l’altra, finì che, all’inizio si era stabilito che tra noi non ci doveva stare il sesso: ma...tutto cominciò con un bacio.
Peccato che fu soltanto un sogno.




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