sexta-feira, 30 de agosto de 2013

Sogno n.53 Il mondo delle farfalle anno 2010


Me ne andavo a fare treking sul monte... e caminavo in un  bosco di pini, su uno stretto sentiero, camminavo con attenzione a non scivolare, perché il sentiero era cosparso di aghi di pino ed era scivoloso.
Ad un tratto, una farfalla mi volò d’avanti agli occhi posandosi sui miei occhiali.
Feci il gesto di scacciarla e in quel momento persi l’equilibbrio e cominciai a scivolare giù nella china.
Per fortuna c’era l’erba e non rocce.
Cercai di aggrapparmi a qualcosa, ma tutto quello che incontravo, si staccava dal suolo e continuavo a scivolare e rotolare.
D’improvviso battei la testa in qualcosa che mi fece vedere tutte le stelle e persi i sensi.
Come mi rialzai (traballando) vidi di stare du un terrazzo.
Sul terrazzo c’erano due statue di pietra.
Una era la statua di un uomo, quella vicina. Mi sembrava di una farfalla con il corpo di donna.
L’uomo aveva i capelli lunghi e una barba alla moda vichinga e una tunica.
E ora, cosa ci facevo su quel terrazzo  vicino a quelle due statue di pietra?
I miei pensieri furono interrotti dall’arrivo di un gruppo di persone, che poi scoprii essere donne; scortate da sodati armati.
Alzai le mani in segno di resa.
« Alt, io non c’entro niente, non sono un nemico, non sò nemmeno come ci sono arrivato. »
Quel gruppo di donne, come arrivarono a un paio di metri da me, si inginocchiarono chinando il capo.
« Calma, per chi mi avete preso per un santo, tiratevi sù. »
Ma era come parlare al vento.
Poi vedendo che non davo nessun ordine, una di loro alzò il capo e vedendo che non gli dicevo niente, parlò alle altre, una lingua che era un miscuglio di lingue e poco dopo tutte si rialzarono erano tutte donne e che donne, una più bella dell’altra.
Erano vestite con abiti sgargianti.
Quella che aveva alzato il capo per prima, doveva essere la una regina, dato che portava una corona; perché disse qualcosa e subito due di loro si allontanarono, poi la Regina mi si avvicinò e indicando la statua dell’uomo, mi indicò.
A mio parere, mi aveva scambiato per quell’uomo in pietra, solo che io non assomigliavo a lui e poi ero più vestito.
Continuando a indicare l’uomo, capii che mi dovevo spogliare.
Una volta nudo, la regina fece un largo sorriso.
Guardai il pene e capii quel largo sorriso.
Poco dopo tornarono quelle che si erano allontanate, una portava una tunica, l’altra un manto e una corona che diedero alla Regina e lei, li diede a me.
Cosa dovevo fare?
Da come mi trovavo, non avevo scelta, indossai la tunica, il manto sulle spalle e la corona in testa.
Eccomi trasformato in un Re.
Arrivò pure il trono.
Più che trono me sembrava una portantina con una sedia sopra.
Che dovevo fare; mi dovevo sedere?
Mi sedetti.
E come mi sedetti, mi sentii sollevare e tutti insieme; io in testa ci avviammo.
Da una alta porta (meno male che era alta se nò avrei sbattuto la testa) e poi giù per le scale.
« Ei! Attenzione a non farmi cadere. »
Me lo potevano dire, sarei sceso da solo, avrei corso meno pericoli.
Come Dio volle giungemmo alla fine delle scale e arrivammo in un salone enorme.
Lì sì che c’era il trono, anzi di troni ce ne erano tre.
I troni erano di pietra ma il sedile era ricoperto da soffice pelli.
In quello di destra c’era seduta una donna che portava sul capo una corona più grossa di quella che avevo scambiato per regina.
Ad un cenno della regina mi sedetti su quello centrale, che mi indicò.
Poi l’altra dopo aver ricevuto il consenso si sedette su quello di sinistra.
Rivolgendomi alla regina dissi: « Dove siamo? »
Lei mi guardò senza capire, poi disse qualcosa.
« Non ho capito, sono italiano di Roma e parlo italiano con l’accento romano. »
Lei fece un sorriso come se avesse capito (o nò).
Mentre stavo seduto non sapendo che fare o dire, si aprì un gran portone e entrò una moltitudine di gente; che poi risultarono essere tutte donne.
Più che entrare a piedi; volavano.
Avevano delle grandi ali di molti colori.
Tutta quelle donne, arrivati più o meno cinque metri (a occhio), si posarono e s’inginocchiarono e chinarono il capo aspettando l’ordine per alzarsi.
Non sapendo come dirlo (non parlavo la loro lingua), feci cenno con la mano di sollevarsi al che la Regina trasmise il mio ordine.
Una volta rialzate, (come di solito fanno le donne), cominciarono a parlare tutte in sieme e fù un casino.
Loro parlavano e mi indicavano, parlavano e mi indicavano.
Ma che state dicendo, ma parlate un pó italiano, così almeno capisco qualcosa.
Ad un certo punto prendendo la Regina per un braccio, le dissi: « Ma qui non si mangia, guarda che ho fame ».
Dalle parole, mi feci capire più con i cenni.
Come dicono gli stranieri di noi italiani: ci facciamo capire più con i cenni che con le parole.
La Regina disse, certamente: « Il Re ha fame ».
Chi qui, chi là, poco dopo tutti sparinono e tutti tornarono con soffici cuscini su cui si sedettero.
Ecco un grande vasoio, lo portavano in quattro e lo poggiarono davanti a me.
C’era un porcellino intero con patate e tanti altri ingredienti, persino la solita mela in bocca.
« Ei, non penserete che me lo mangio tutto io? »
Presi un coltello e ne tagliai un pezzo e cominciai a mangiare (con le mani), loro stavano lì a guardare.
« Ma voi non mangiate? Quarda che qui ce ne è per tutti. »
Dopo il maiale (Quello che avevo mangiato), arrivarono le lepri (conigli o gatti si assomigliano tutti), dopo le lepri.... « Ei! Ma per chi mi avete preso, basta non ce la faccio più. »
Tra il cibo e il vino, avevo una pancia che con uno spillo sarebbe scoppiata.
Quando i commensali videro che rimandavo indietro tutte le altre portate, smisero di portarne.
La Regina che stava accanto a me, mi disse (o almeno così capii), se ero sazio.
Anche se non capii, feci cenno con la testa, dicendo di si.
« E allora? »
Mi sforzai e feci un rutto.
Tutte cominciarono a battere le mani.
« Che matte! »               
Finito di mangiare mi alzai dal trono e cominciai a fare due passi (per digerire).
Le donne si scansavano al mio passare.
La regina mi fece segno di seguirla.
Arrivato al cortile la regina mi fece un cenno indicandomi un cavallo bianco e io vi salii in groppa.
Come il cavallo cominciò ad andare, lo imitarono anche le altre alzandosi in volo.
Andammo qua, andammo di là.
Dalle case (appese ai rami degli alberi), uscivano farfalle e farfalline, che salutavano la regina e a me.
Dovunque passevamo c’erano ragazze che gettavano fiori al nostro passare.
Gira che te gira, alla fine tornammo al castello.
Una volta dentro, restavamo solo io e la Regina e l’altra (doveva essere la figlia) data la differenza di età che dimostravano.
« Che dovrei fare, oltre che al Re? »
Mi prese per la mano e insieme all’altra mi portò in una stanza, in questa stanza c’era un letto tutto coperto di pellicce e la regina disse qualcosa e l’altra, ci si stese sopra allargando le gambe.
La posizione evidente.
« Mbé! Dopotutto sono un uomo, l’unico, e il compito di un uomo è: fare l’amore. »
La regina uscì dalla stanza, lasciandoci soli.
Mi liberai della corona, del manto e della tunica.
Salii sul letto e dopo essermi portato su di lei, la penetrai.
Non si mosse, non fece niente, non ebbe l’orgasmo, ma ricevette il mio.
Quando sentii il membro ammosciarsi, mi ritirai da lei e cercai qualcosa per pulirmi.
Non ero soddisfatto.
Non era così che mi piaceva prendere una donna.
La ragazza, come se non fosse accaduto nulla, si rialzò dal letto e uscì dalla stanza, lasciandomi riposare.
« No! Così non può andare. La prossima volta, farò alla mia maniera. »
Lo pensai e lo dissi alla regina quando la rividi.
Quando la rividi, accanto a lei, non c’era quella che avevo preso, ma un’altra, aveva la corona, ma non era la stessa di prima.
Lei mi guardò e non disse niente.
Dove era andata a finire l’altra?
Passammo tutto il giorno a passeggiare.
La sera non volli mangiare se anche la Regina e l’altra, non mangiasse con me.
La Regina battendo le mani disse qualcosa e poco dopo arrivarono tanti fiori.
Mangiammo ognuno alla sua maniera.
Una volta sazio e un pó sbronzo, tornammo in camera da letto e anche questa volta l’altra si stese sul letto allargando le gambe, come aveva fatto quella di prima.
Una volta soli, le dissi (almeno lo dissi), che quella non era la maniera giusta.
Fu una lunga notte d’amore, alla fine quando mi addormentai, ero stanco ma soddisfatto, sperando di non doverlo ripeterlo tutte le notti.
Quando mi svegliai, lei non c’era, la rividi nel salone insieme alla regina e ad un’altra ragazza che aveva in testa la corona che portava lei.
La regina come mi vide, mi guardò con un certo sorrisetto.
Ad un cenno della regina, alla presenza di tutti mi baciò, fu un lungo bacio, poi mi prese per mano e salimmo sul terrazzo.
Una volta sopra, mi diede un altro bacio, poi corse al parapetto e dopo avermi salutato con la mano, volò come un fulmine e come un fulmine
sparì.
Da quel giorno, tutte le altre notti, le ragazze (di turno), non avevano le gambe aperte come quella della prima volta, ma aspettavano che facessi la prima mossa e poi partecipavano con ardore.
A lungo andare, mi cominciai ad annoiare.
Un giorno, mentre stavo con gli occhi chiusi sul trono, mi sentii toccare.
Aprii gli occhi e guardai; accanto a me stava la Regina.
Vedendo che stavo immobile, mi prese per mano e tirandomi, mi fece capire che la dovevo seguire.
Usciti dalla sala del trono, invece di andare nella camera da letto, arrivammo in una sala che pareva una biblioteca; solo che invece di libri, c’erano rotoli di non só cosa.
Mi fece sedere in una poltrona fatta di giunchi intrecciati, poi andò a prendere dei rotoli e me ne porse uno.
Quando lo presi in mano, mi accorsi che non era di carta, ma di pelle.
Come lo svolsi mi apparvero delle figure.
Quello che riuscii a capire, era: « Questa è la storia della nostra gente. »
La prima tavola, mostrava un uomo e una donna nudi.
La seconda mostrava l’uomo sulla donna che con il pene che la stava  penetrando.
La terza mostrava la sezione dell’uomo e della donna e il pene nella vagina.
La quarta, l’iseminazione.
La quinta mostrava solo la donna e mostrava il formarsi dei feti; erano due.
La sesta, il parto.
La settima il nascere dei due neonati; i quali si attaccavavo ai seni della madre.
L’ottava, i neonati crescere e la madre invecchiare.
La nona mostrava i neonati andare via e la madre morire mangiata dai vermi.
Il secondo rotolo era scritto, ma non capivo quello che c’era scritto.
Lo allontanai scuotendo la testa.
La Regina del momento prese un altro rotolo e via via, altri fino all’ultimo che era scritto in spagnolo.
Lo spagnolo non mi fu difficile leggerlo.
« Quello che sto scrivendo lo faccio per chi mi procederà. »
« Mi chiamo Manuel Garcia Lopes, giunsi in questo mondo quando pensavo di dover morire.
Quando successe avevo 25 anni e volavo con un biplano daValencia diretto a Saragoza quando sorvolando delle montagne, l’aereo cominciò a perdere colpi.
Non c’era modo di atterrare, non mi restò altro che gettarmi con il paracadute.
Andò tutto bene, salvo il vento che mi fece giungere qui.
Non só come, atterrai su un terrazzo di un antico castello, in parte in rovina.
Rimasi di stucco quando vidi arrivare delle ragazze per lo più nude.
Fui accolto come un re e come un re rimasi fino alla mia morte.
Non mi sono mai trovato con una moltitudine di ragazze vergini.
Mi è sempre piaciuto fare l’amore; ma a lungo, diventa noioso.
Tentai varie volte ad andarmene via; non me lo impedirono ma dopo aver letto un altro diario, ci rinunciai.
In questa terra i figli nascono sempre in quattro e si dividono in quattro specie: i guerrieri, le serve, quelle per la riproduzione e la regina.
I maschi non sono riproduttori e una volta raggiunta l’età di vent’anni partono per raggiungere le guarnigioni che si trovano ai confini del regno.
Anche alcune ragazze fanno la stessa cosa.
Poi ci stanno le serve, quelle lavorano per tutte.
Ci sono poi le riproduttrici, quelle ragazze una volta raggiunta l’età di venticinque anni si lasciano accoppiare con l’unico maschio che è lo straniero venuto dal cielo.
La vita di quelle ragazze è corta, un nostro anno, per loro è di cinque, se non vengono ingravidate, possono arrivare a cinquant’anni (dieci dei nostri); se ingravidate, a trentacinque.
Prima dei venticinque, non ingravidano.
La gestazione dura tre mesi (nove dei nostri), quando i figli ragiungono quindici anni, la madre muore.
In questo mondo c’è un solo uomo e il suo compito è la riproduzione della specie; senza di lui, non ci sarebbe la riproduzione e la specie sparirebbe.
Non tutte le ragazze verranno inseminate, ma a chi non lo fosse, a loro non importa.
Da quando nascono e crescono, viene insegnato loro di accettare il dono che viene loro offerto.
Ogni volta che una ragazza viene inseminata, va via e passa la corona ad un’altra.
L’uomo è il loro signore e loro le sue serve, fatte per servirlo e farlo sentire felice.
C’è solo una regina.
La regina non si accoppia, da quando diventa regina, il suo compito è solo quello del governo del regno.
Quella che diventa regina, è la più brava in tutto.  
L’attuale regina non parla lo spagnolo,ho cercato di farglielo apprendere; ma poi ci ho rinunciato.
La loro vita è fatta di felicità.
Qui è come il Paradiso Terrestre, il male non esiste, si può dire che sia l’ultimo paradiso incontaminato dal progresso.
Non ci sono macchine, ne elettrodomestici.
Le cose vengono fatte con quello che la natura ci offre.
Il coltello è di selce, il tavolo è di legno intrecciato, il letto è un albero la cui radice sta nel piano terra e il letto al primo piano.
Quando sono arrivato, l’ho trovato lì.
In questo luogo il clima è mite, non fa troppo freddo d’inverno, né troppo caldo d’estate.
Le pelli che coprono il letto sono di animali che servono per la nutrizione, come pure le tende alle finestre.
Le finestre non hanno vetri. Se fa caldo, si aprono le tende, se fa freddo si chiudono.
Tutte le ragazze sono molto pulite, fanno spesso il bagno al laghetto che dista circa due chilometri dal castello.
Ci si può andare a piedi o a cavallo.
I bisogni vengono convogliati in tante fosse, la natura pensa a farli sparire.
Qui non ci si annoia. Se uno vuole, ci sono tante cose da fare; come, la manutenzione del castello e scrivere con la propria lingua tutti gli avvenimenti successi da quando sei arrivato; per facilitare il compito a chi verrà dopo di te.
Anche tu, come io, hai dovuto sfogliare i vari rotoli per trovare quello che a te è comprensibile.
La stessa cosa è successa a me.
Spero che quello che hai letto, ti giovi per il tempo che passerai in questo mondo.
Mi auguro tu possa passarlo in un modo felice, senza rimpiangere in tuo mondo passato.
Non ho altro da dirti, presto arriverà la mia fine. Auguri. »
                                                                
Manuel Garcia Lopes

Finito di leggere il diario del signor Manuel, chiesi alla regina, della carta e qualcosa per scivere.
La carta (in rotolo, era di papiro), la penna, un’ala di qualche grosso uccello, l’inchiostro, non sò come lo avevano fatto.
Preso il rotolo, in italiano, cominciai a scrivere il mio diario; da quando stavo camminando per i boschi, al momento in cui lessi il diario di Manuel.
Scrissi le raccomandazioni per chi mi avrebbe succeduto, per facilitargli il compito che gli avrebbe riservato al suo arrivo.
Anche io come Manuel cercai di fare imparare l’italiano alla regina che lo avrebbe trasmesso a quella che l’avrebbe succeduta ma dopo diversi giorni, ci rinunciai.
Più di una volta cercai di invogliare la regina a fare l’amore, ma lei rifiutò sempre.
Mi stancai di fare l’amore tutte le notti.
Alle volte passava anche una settimana.
Fino a quando la mia compagna non veniva inseminata, restava con me e fareva da principessa.
Una notte mentre dormivo, qualcuno mi scosse bruscamente.
Quando aprii gli occhi vidi che era un uomo a scuotermi.
« Che hai da scuotermi? »
« Ti ho trovato svenuto e cercavo di farti riprendere. »
Vidi dove mi trovavo, allora capii che... era stato solo un sogno, solo che...non era un sogno il bernoccolo che avevo in testa.


 
                                                                                                                           




                                     

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