segunda-feira, 19 de agosto de 2013

Sogno n.31 Viaggio al Tibet anno 2008

 
Mio padre ogni tanto è generoso con i figli, così quando meno te l’aspetti, ci dà un pó dei suoi milioni.
Capitò che un bel giorno, mi ritrovo con 10.000 euro nel mio conto.
Sapendo i desideri di mia moglie, decido di realizzarne uno: il Tibet.
Il Tibet è uno dei tre desideri prima della despedita da questo mondo, gli altri due sono: l’Irlanda e la Scozia.
Per ora, pensiamo al Tibet.
Senza dirle nulla, procurai una agenzia e mi informai del viaggio, del periodo ideale, i documenti occorrenti, il costo eccetera, eccetera.
Il periodo migliore è la metà di giugno e la metà di luglio.
I documenti occorrenti sono: il passaporto e il visto del consolato cinese.
Il costo: volo più albergo, 1.876.14 euro a persona.
Eravamo a marzo, avevamo tre mesi per prepararci.
Così ne parlai a mia moglie.
Lei cercò delle scuse per non andare, ma io gli dissi: « Se non vieni con me, ci vado da solo. Da solo, mi potrebbe capitare una avventura romantica con una tibetana e non sò se poi torno. »
Sapendo che scherzavo; ma non si sà mai, si decise a non lasciarmi andare da solo.
Così prenotai il viaggio.
Per non andare da soli, ci consigliarono di unirci ad un gruppo con una guida per farci da interprete.
Accettammo quel consiglio e aspettammo che l’agenzia centrale ci comunicasse il giorno di partenza.
Il giorno fu il 24 giugno alle ore 7,25 dall’aeroporto di Lisbona.
Ci arrivammo una ora e mezza prima della partenza e facemmo conoscenza con gli altri compagni.
Partimmo con l’aereo della Lufthansa diretti a Frankfurt (Francoforte) in cui arrivammo alle 11,15.
A Francoforte avremmo cambiato aereo con uno della Air China International che sarebbe partito alle 14,50.
Dovevamo aspettare 3 ore e 35 minuti e a me, aspettare tre ore e 35 minuti in attesa, non mi andava.
Conoscendo Francoforte, decisi di mostrarla a mia moglie.
La guida ci consigliò di non allontanarci, dissi che saremmo stati fuori solo due ore.
In due ore, di certo non si può vedere una città; così con un taxi ci facemmo portare sul ponte che divide Francoforte (francese) da Frankfurt (tedesca).
Sotto il ponte passa il fiume Reno ed è navigabile.
Le due città sono talmente unite che non si distingue quale è quella francese da quella tedesca.
Sempre con il taxi facemmo un giro tra le due città.
L’unica cosa che le distingue, è l’architettura; quella tedesca è gotica.
Come avevo promesso alle ore 13,30 eravamo di nuovo all’aeroporto. 
Alle14,40 salimmo sull'aereo che decollò dieci minuti dopo.
Il viaggio fino a Pechino fu lungo.
L’aereo ci impiegò otto ore e 35 minuti.
Da Pechino, altre tre ore di attesa e alle 9,15 con un altro aereo (sempre della stessa compagnia), partimmo e atterrammo a Lhasa (capitale del Tibet) alle 15,05.
Da Lisbona a Lhasa (con i due cambi) ci impiegammo  24 ore e 40 minuti.
La settimana che avevamo prenotato, se ne era andato; un giorno e mezzo.
Calcolando l,o stesso tempo per il ritorno, avevamo solo 4 giorni per vedere qualcosa del Tibet.
Ci trasferimmo nell’Hotel che stava compreso nel viaggio, era un hotel a quattro stelle e si trovava al centro della città.
I primi tre giorno li occupammo a girare con il pulman per i vari monasteri che trovammo molto interessanti.
L’ultimo giorno lo passammo in città a procura di souvenir da riportare a casa e agli amici.
Nel nostro girovagare, andammo a finire di fronte ad una pizzeria chiamata: O Sole Mio.
Se non era come tante pizzerie che portavano l’insegna italiana e poi non lo erano, era solo da provare.
Dietro al bancone c’era un ragazzo; tibetano o cinese (si assomigliano tutti ed è facile sbagliare).
Rivolgendomi a mia moglie diss: « Che t’avevo detto? » e rivolgendomi al ragazzo dissi: « Due pizze napoletane, có a pommarola ngoppa! ».
Al che! Una voce all’interno disse: « Le pizze napulitane le faccio solo io! » ed uscì un uomo di mezza età.
« Anche se cerchi di parlare napulitano, sé capisce che nun lo sei; più romano che di un’altra regione d’Italia. »
« È vero, non sono napoletano, sono un romano di origine abruzzese. »
Dopo esserci presentati, ci sedemmo ad un tavolino in attesa che Gennaro Esposito, preparasse le due pizze.
Mentre mangiavamo ci raccontò la sua storia.
Di famiglia di pizzettari, aveva tentato fortuna in diversi paesi e gli era andata sempre male fino a quando per distrarsi si unì ad un gruppo in un viaggio nel Tibet.
Quando arrivò, non c’era ancora la dominazione cinese e il paese era allo stato semi selvatico.
Gli sembrò il posto ideale per impiantare una pizzeria.
In tutto il Tibet c’era solo lui e mano mano gli affari cominciaronbo ad andare bene, che fu costretto a cambiare locali sempre più spaziosi.
Nel 1959 i cinesi annessarono il Tibet alla Repubblica cinese e dopo tante lotte istallarono i loro commerci e naquero tante false pizzerie italiane che gli fecero concorrenza.
Gli affari cominciarono ad andare male e fu costretto a tornare indietro fino a ridursi a
un locale che poteva accogliere solo una dozzina di persone sedute.
Sempre aveva pensato di tornare in Italia, ma aveva sempre rimandato, erano passati tanti anni e si sentiva più tibetano che italiano. In Italia che sarebbe andato a fare.
Mentre parlava mi venne una idea e gliela dissi: « Perché oltre le pizze, non fai le Ferratelle? »
Lui non ne aveva mai sentito parlare quando stava in Italia.
Gli dissi che erano dei biscotti fatti nel mio paese in Abruzzo e che grazie a mia madre, ora in Portogallo le facevo solo io.
Poi mi ricordai di averne portato un sacchetto con me e non sapevo se ne era rimasta qualcuna.
Gli dissi di aspettare, sarei andato in hotel a prenderle.
Lasciai mia moglie con lui e corsi in hotel.
Ce ne erano rimasti quattro quarti.
Li presi e tornai alla pizzeria ricomponendo la Ferratella intera.
A lui piaque il disegno, come pure al ragazzo tibetano, poi Gennaro ne prese un pezzo e l’assaggiò.
« Buona! » e facendola provare al ragazzo, anche lui disse: « Buona! »
Mi chiese della forma e se avrei potuto procurargliene una. Dissi che quella che avevo era l’unica e che non sapevo se in Abruzzo ne facevano ancora, dato che ormai, le Ferratelle non le faceva più nessuno alla maniera casareccia, le facevano nelle fabbriche e anche se non avevano lo stesso sapore, costavano di meno.
Mi disse che mi avrebbe pagato per la mia, quello che volevo.
Non gli dissi che la mia non era in vendita, ma che ci avrei pensato.
Ci salutammo come amici da sempre e poi tornai in hotel con mia moglie.
Il giorno dopo alle ore 16,05 partimmo da Lhasa e alle ore 21,30 arrivammo a Pechino, dove passammo la notte.
Il 1º luglio alle ore 13,30 partimmo da Pechino e arrivammo a Heathrow (LHR) Londra alle 17,45.
Il 2 luglio alle ore 06,00 con la Tap partimmo e alle 08,40 arrivammo a lisbona.
Il viaggio di ritorno fu di ore 47,35 più lungo di quello di andata.
Tornati a casa, parlammo a lungo di quello che avevamo fatto nel Tibet e sopratutto della forma che avrei dovuto rimediare a Gennaro.
Andare in Italia, in Abruzzo e non trovare la forma, non mi andava di rischiare: tempo e soldi.
Decidemmo di parlare ad un nostro amico che faceva il fabbro.
Portai la forma originale e lui dopo averla studiata a lungo, ci disse che avrebbe cercato di trovare il metallo di cui era composta.
Passò un pó di tempo e quando ci chiamò, aveva già preparato la forma, mancavano solo i disegni che li ottenne con varie fotografie.
Dopo altri giorni di attesa, venne a casa nostra e ci portò la copia della nostra forma.
La nuova forma sembrava fatta con lo stesso materiale, solo che prendendola in mano si sentiva che, pesava di meno.
La sperimentai facendo delle Ferratelle.
Dopo vari tentativi andati a male, riuscii ad ottenere delle discrete Ferratelle.
Telefonai a Gennaro che rimase molto contento della notizia.
Mi disse che se partivo subito, le spese sarebbero state a suo carico e di prendermi 15 giorni.
Questa volta partii da solo dato che nel Tibet aveva cominciato a far freddo e a mia moglie il freddo non piaceva.
Il viaggio sarebbe stato diverso; invece del tragitto: Lisbona – Francoforte, scelsi Lisbona – Madrid.
Il tempo di andata sarebbe stato più lungo, ma il ritorno, più corto: ore 36,10 sia l’andata che il ritorno.
Spesi 1.208 euro solo di volo e sarei rimasto ospite a casa di Gennaro.
Gennaro mi offrì il viaggio, io gli offrii la forma che mi era costata 250 euro.
Il clima era classico di Villavallelonga: 20º negativi ma dentro casa e nella pizzeria ce ne erano 10º positivi.
La prima settimana gli affari andarono a gonfie vele, avevamo sempre il pieno.
Le pizze costavano il valore corrispondente a 5 euro, le Ferratelle accompagnavano le pizze e non erano nel costo.
All’inizio della successiva settimana arrivarono i guai.
I guai arrivarono con la polizia cinese.
La quale volle sapere (con la traduzione di Gennaro) se avevo il permesso di lavoro; dissi di nò perché era un turista e aiutavo il mio amico Gennaro senza essere pagato.
Poi vollero sapere come era entrata quella forma: dissi che era entrata come souvenir d’Italia, come i souvenir che i turisti comprano all’estero e portano a casa.
Ci sequestrarono la forma.
Che ci potevamo fare...
Non finì così...
Quando mancava un giorno alla mia partenza, mi mandarono a chiamare e accompagnato da Gennaro, mi dissero: se volevo ripartire, dovevo dare la ricetta delle Ferratelle.
Capii che c’era di mezzo la Mafia cinese pertanto diedi la ricetta che era questa:
Un chilo di farina (non dissi: con fermento); un bicchiere di latte (non dissi: parzialmente scremato); dieci cucchiai di zucchero; un cucchiaino di cannella e un bicchierino di olio.
« Quale olio? », dissi: « Olio di gomito! »
« Olio di gomito, mai sentito parlare di questo olio. Di che cosa è estratto? »
« Di erbe particolari che si trovano solo al mio paese in Italia a Villavallelonga ».
Data la ricetta che fu trascritta in cinese, mi lasciarono andare.
Potete immagginare le risate che ci siamo fatti tornati alla pizzeria.
Dissi a Gennaro che mi sarei procurato un’altra forma; anzi due e con il permesso della dogana, gliele avrei portate il prossimo anno.
L’anno seguente avevo con me due forme e una bottiglia di: Olio di gomito ( che altro non era che: olio di girarole ). 
Dopo essere arrivato passai il tempo di permanenza ad insegnare al ragazzo tibetano (che tra l’altro era anche il figlio di Gennaro) a fare le Ferratelle poi ripartii per casa colmo di regali tibetani.
P.S. Se i pizzettari o i ferratellari cinesi non riuscivano a fare; né l’uno, né l’atro, non era colpa loro, né dell’olio di gomito. Fare le Pizze o le Ferratelle, bisogna essere sopratutto italiani: di Napoli e d’Abruzzo.
Così finì il sogno.





























                                                                                                                  


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