Mi trovavo in barca a fare una crocera lungo la
costa, quando una corrente mi portò al largo.
A nulla valsero i miei sforzi sui remi per tornare verso la riva e a nulla
valsero i miei richiami di aiuto alle barche che mi passavano vicino.
Le più avevano la musica alta e non mi sentirono,
le altre forse condotte da stranieri.
Dopo aver lottato a lungo, mi abbandonai alla mia sorte, ritirando i remi
per non perderli.
Arrivò la notte e con la notte il freddo.
Il giubino di salvataggio non mi proteggeva dal
freddo, così tremando per il freddo, passai la notte.
Il giorno mi trovò in mezzo al mare, dove da ogni
lato mi giravo, non vedevo che acqua; per di più c’erano due squali che mi
giravano attorno.
È vero che avevo il coltello da sub, ma contro due squali potevo far poco.
Passò la giornata senza che apparisse nessuna
barca o elicottero alla mia procura.
Arrivò la notte e con la notte la nebbia.
La nebbia oltre che umida era pure fredda.
Tremavo dal freddo, avevo l’impressione di stare male, dovevo avere la
febbre.
Ad un dato punto non ricordo più nulla, o ero svenuto o mi ero
addormentato.
Fui svegliato da una botta.
La barca era andata a sbattere contro degli scogli e stava affondando.
Mi tuffai in acqua e a tentoni trovai lo scoglio
in cui la barca era andata a sbattere.
Mi issai su e tenendomi in equilibrio, aspettai l’alba.
Con l’alba, il sole e con il sole vidi una spiaggia.
Ma la spiaggia si trovava
a un centinaio
di metri dagli
scogli posti a
fior
dell’acqua.
Gli squali non si vedevano ma questo
non voleva dire che non c’erano.
Aspettai di vederli apparire.
Gli squali non si vedevano.
Alla fine mi decisi e tuffandomi, mi misi a nuotare come un forzennato.
Avevo l’impressione di essere seguito e la paura di essere divorato mi dava
le ali alle mani e ai piedi.
Continuai a nuotare pure quando sentii la sabbia
sotto le mani e una volta fuori dall’acqua mi allontanai dalla riva e poi
esausto mi lasciai andare e mi addormentai.
Fui svegliato da un colpo al fianco sinistro.
Credendomi assalito da una belva, portai la mano
dove tenevo il coltello girandomi su un fianco.
Rimasi come paralizzato per quello che stavo vedendo.
Un guerriero vestito come un antico romano mi guardava dall’alto in basso.
L’arma con cui ero stato colpito era una lancia.
Ero stato colpito dal manico, ma ora era la punta
che si trovava puntata al mio petto.
Allontanai la mano dal coltello e allargando le
braccia mi misi in posizione di resa.
Vidi il guerriero trarre un piccolo corno dalla borsa che
aveva sul fianco,
soffiarci dentro e il corno emire un suono simile
ad un raglio di somaro.
Dopo neanche cinque minuti apparvero altri tre
guerrieri che dopo avermi circondato mi obbligarono ad alzarmi e presomi le
braccia, mi legarono le mani dietro la schiena e pungolandomi con la punta
delle lancie mi costrinseri a camminare.
Dopo aver salito una duna, mi apparve una città cintata.
Quardandola, guardando i guerrieri che erano con
me, pensai: « Stò sognando, sono tornato indietro dei secoli anzi dei millenni,
quello che stò vedendo deve essere una città come Roma o qualsiasi città di
quell’epoca.
C’erano soldati posti sugli spalti che osservavano il nostro arrivo.
Il gigantesco portone era aperto e appena giunti,
la mia guardia fu sostituita da quattro cavalieri che con me al centro e a
piedi si mossero verso il centro.
La gente che incontravo al mio passaggio erano
vestite con corte o lunghe tuniche.
Per lo più erano donne, alcune veramente carine.
Mi guardavano con curiosità, chissà a cosa stavano pensando?
Un uomo in costume, con il giubetto di salvataggio
arancione, l’orologio al polso sinistro, non portavo gli occhiali, li avevo
persi quando la barca aveva urtato agli scogli.
Ad alcune sorrisi, ad altre strizzai l’occhio
destro come per dire: « Ci vediamo dopo ».
Giungemmo ad una piazza rotonda dove al centro c’era un palo, tutto infioccato;
la cosa più strana di quel palo era che aveva la forma di un pene.
Tutt’intorno alla piazza c’erano conficcati nel terreno altri pali, però
questi non erano infioccati.
Su ogni palo c’era conficcato un essere umano.
Riuscii a contare dieci donne e due uomini.
Alcuni erano morti di certo perché il palo era fuoriuscito
dal collo, altri erano dentro il corpo di quell’infelici e in loro sangue
scorreva lungo il palo.
Ad un lato c’era una cstruzione più bella delle
altre con una scalinata e delle guardie a sorvegliare.
I guerrieri a cavallo pararono di fronte alla
scalinata e mi consegnarono ad
altre due soldati che presomi per le braccia mi condussero dentro.
Ad ogni porta c’erano due soldati armati di lancie incrociate.
Camminammo per un lungo corridoio e ad ogni porta, la scena si ripeteva.
Due soldati sorvegliavano la porta.
Alla fine giungemmo ad una sala enorme.
Era una bella sala, le pareti erano affrescate con dei dipinti.
Parevano tutte scene erotiche.
I soldati mi condussero da un lato dove posto su un rialzo di tre gradini
c’erano due troni.
In uno dei due c’era seduta una donna.
Era una donna di mezza età.
Poteva essere bella se non avesse lo sguardo allucinato.
Le guardie che mi tenevano mi costrinsero a inginocchiarmi e chinare il
capo.
Ci fu un grugnito.
Sembrava il verso di un maiale.
Il grugnito si ripeté.
Una delle guardie mi mise una spada sotto il collo, facendomi sollevare la
testa.
La donna tornò a grugnire.
Di certo stava dicendo qualcosa che non capii.
Dissi: « Mi dispiace, non capisco il vostro linguaggio, io parlo italiano,
anzi, il
romano. »
La donna fece un gesto e una guardia lasciò la
sala e poco dopo tornò con un uomo.
Lui mi disse qualcosa che non capii e scossi la testa.
La guardia portò via l’uomo e tornò con un altro.
Quello disse qualcosa e io scossi la testa.
La scena si ripeté fino all’arrivo di un uomo che parlò italiano con un accento:
siciliano o calabrese.
« La regina vuole sapere chi sei e come sei arrivato all’isola? »
Gli dissi chi ero e di quello che mi era successo.
Lui con grugniti riferì quello che avevo detto.
La regina tornò a grugnire e lui mi disse: « La
regina vuole sapere cosa è quello che indossi e perché sei armato? »
Gli dissi che ogni volta che si va in barca,
bisognava indossare il giubetto di salvataggio che avrebbe evitato a chi cadeva
in acqua di affogare.
Quello che avevo al polso era un orologio e il
coltello che in quel momento non avevo perché me lo avevano tolto era per
difendermi da eventuali squali.
La regina tornò a grugnire e lui disse di toglermi tutto quello che indossavo.
Gli mostrai le mani legate e ad un cenno, una delle guardie con la spada
recise la corda che mi teneva.
Mi tolsi il giubetto, l’orologio, la cinta che reggeva la fodera del
coltello e passai tutto ad una guardia.
« Anche il resto. »
« Il resto, mi è rimasto solo il costume. »
« Ti devi levare anche quello. »
« Ho capito, mi vuole vedere nudo. »
Mi calai il costume e poi lo feci passare tra i piedi togliendomelo.
Anche quello mi fu preso dalla guardia che portò il tutto alla regina.
La regina osservò gli oggetti con curiosità e poi li gettò al lato del
trono.
Tornò a grugnire.
Feci quello che mi chiedeva di fare
l’interprete .
Finito lo spettacolo, la regina tornò a grugnire e
l’uomo accompagnato dalle guardie mi portò in una cucina dove c’erano altri
uomini che in silenzio mi servirono un lauto pasto.
Finito di mangiare e senza aspettare che facessi
la digestione, fui portato fuori e in un’altra stanza mi immersero in una vasca
di acqua calda e insaponata e mi lavarono da capo a piedi.
Così lavato e improfumato mi condussero in una camera da letto e mi lasciarono
solo.
In quella stanza oltre al letto c’era un
cavalletto e al cavalletto c’erano delle cinghie.
Stavo ancora guardando il cavalletto quando la
porta si aprì ed entrò la regina con due soldati.
La regina portava con sé una lunga frusta.
Avevo visto che sotto il mantello, la regina aveva un grosso pene.
Capii a cosa serviva il cavalletto.
Dovevo giocare d’astuzia.
I soldati si accinsero a prendermi ma io scuotendo
la testa mi avvicinai al letto e ponendo le mani sopra, mi chinai allargando le
gambe.
I soldati si misero a ridere, come lo fece la
regina, poi ad un cenno di lei uscirono dalla stanza e chiusero la porta.
Con la coda dell’occhio vidi la regina portarsi al
centro della stanza facendo
srotolare la frusta.
Alzò la mano e prima che mi arrivasse la frustata
mi sollevai e strillando come di dolore, mi avventai sulla regina strappandole
la frusta.
Lei si mise a (strillare) grugnire, ma io
strillavo ancora più forte per coprire le sue grida e con uno strattone la feci
cadere sul letto ponendomici sopra.
Per non farla strillare le premetti il viso sopra le pelli che coprivano il
letto.
Si divincolava come una furia; ma dopo il lauto
pasto, mi ero rimesso in forze e non me la feci sfuggire.
Ad un dato punto, la regina rimaneva immobile, le braccia penzoloni dal
letto.
Non cadendo nella trappola, alzai un pugno e lo
lasciai cadere sopra la sua nuca.
Accertatomi che non si muoveva, mi avvicinai alle tende e dopo aver
strattonato
un cordone che le teneva, le legai le mani di
dietro e le gambe sollevate e giunte alle mani.
Così ero sicuro che dopo aver ripreso i sensi non si sarebbe liberata da
sola.
Per di più, con un pezzo di tenda feci un bavaglio
e glielo passai sulla bocca annotandolo poi dietro la nuca.
Mi avvicinai alla finestra per vedere se c’erano
soldati in circolazione; non ne vidi ed essendo la finestra posta al primo
piano e con un giardino di sotto, la scavalcai e saltai di sotto.
Non mi feci niente, poi corsi verso il muro di cinta e dopo essermi issato
sopra, lo scavalcai.
La città era al buio salvo per delle torce che ardevano ogni tanto.
Tenendomi sempre nel lato oscuro mi allontanai dal palazzo reale.
Ero nudo e se di notte nessuno mi vedeva, non lo sarei stato al sorgere del
sole.
Dovevo trovare dei vestiti, a costo di assalire qualcuno per prenderglieli.
Stavo riparato in un sottoscala quando sentii dei passi avvicinarsi.
Mi preparai e come mi fu vicino, uscii dal sotto-scala e gli balzai di
fronte.
Era un soldato.
Non mi fermai e senza pensarci sopra, gli diedi una ginocchiata sul bassoventre;
sapevo che una ginocchiata alle palline, facevano molto male.
Lui si chinò in avanti e con un pugno lo colpii al
mento facendogli sbattere la testa contro il muro della casa.
Anche se aveva l’elmo, il colpo lo fece cadere svenuto.
Lo trascinai nel sottoscala e presi a spogliarlo.
Una volta toltogli l’elmo e la corazza, gli calai
il gonnellino a frange rosse e gialle, i bambali, i sandali e la tunica.
Nel togliergli la tunica, mi accorsi che il
soldato che avevo colpito era una donna, dai seni che ne uscirono fuori.
Avevo altro da pensare, donna o non donna, dovevo prendergli i vestiti.
Le tolsi pure le mutande che indossai come tutto il resto.
Così vestito nessuno mi poteva riconoscere e mi potevo allontanare dalla
città.
Camminando come se avessi da poco smontato dal
servizio, mi diressi verso le porte.
Come giunsi nei pressi, mi bloccai.
Se mi avessero chiesto chi ero, cosa potevo
rispondere, non conoscevo il loro linguaggio, mi avrebbero preso e consegnato
alla regina.
Immaginando quello che mi avrebbe fatto, tornai indietro.
Dovevo trovare un rifuggio per la notte.
All’alba con la confusione, mi sarebbe stato più facile lasciare la città.
Cecai una casa isolata e trovatola, l’ispezionai,
cercando il modo di entrare senza fare rumore.
La casa aveva tutte le imposte trancate.
Chi ci abitava doveva aver paura dei ladri e si
era protetto chiudendosi dentro casa.
Mi avvicinai alla porta e con il pomo della spada battei.
Dopo un pò dall’altra parte si sentì qualcuno muoversi avvicinandosi alla
porta.
Un grugnito, al quale risposi con un grugnito.
Dall’altra parte, silenzio. Poi un altro grugnito al quale con più forza
risposi con un altro grugnito.
Ancora silenzio, poi la porta cominciò ad aprirsi.
Prima che mi vedesse, diedi una spallata alla porta ed entrai.
Una volta dentro, mi richiusi la porta alle spalle
e mi preparai ad affrontare il proprietario della casa.
Il proprietario della casa era una donna che dallo
spintone alla porta era caduta in terra.
Aveva la camicia da notte e cadendo in terra, si
era rialzata mostrandomi il pube.
Quando vide cosa stavo guardando, tirò giù la
camicia da notte, coprendosi.
« No mi mati », disse con una voce che assomigliava allo spagnolo.
« Di solito mato solo per difendermi e mai una bella donna. »
Quando cominciò a rialzarsi, le tesi una mano e l’aiutai.
Una volta in piedi mi fece cenno di sedere.
Prima di sedermi domandai: « C’è qualcuno con te, tuo marito? »
« No, sono sola, se vuoi puoi controllare. »
Mi fidai e dopo aver poggiato la spada, mi tolsi l’elmo, la corazza e tutto
il resto, rimasi solo con la tunichetta e le mutande.
Sedendomi a tavola le domandai come mai parlasse spagnolo.
Lei rispose di essere peruviana e di essere stata
catturata mentre faceva un viaggio dal Perù al Messico.
La nave in cui viaggiava si trovò in un banco di nebbia e per evitare di
urtare sui scogli, rallentò.
D’improvviso l’equipaggio si trovò circondato da
guerrieri armati di lance e spade.
Si trovavano nell’impossibilità di difendersi; tra l’altro nessuno era
armato.
Si lasciarono legare e calati sulle barche che circondavano la nave.
Poi fecero salire i passeggeri sul ponte e divisero i maschi dalle femmine.
Agli uomini e ragazzi legarono le mani e calati
nelle barche, i bambini furono affidati ad altri guerrieri. Lei venne scambiata
per un maschio perché portava i pantaloncini.
Anni dopo seppe cosa fecero alle donne e bambine;
furono uccise e la nave incen-diata.
Manuela (quello era il suo nome), fu affidata ad
una donna che aveva una bambina della sua età.
Quando nel cambiarla vide che non era un maschietto ma una femminuccia, non
disse niente. Anche perché lei non aveva una figlia, ma un figlio.
Il figlio di quella donna morì quando aveva tre
anni e lei lo portò alle guardie dicendo che era il bambino che le avevano
affidato.
Manuela crebbe con quella donna come se fosse sua figlia e quando fu
grande, entrò a far parte dell’esercito delle amazzoni.
Parlava come loro, anche se ricordava qualche parole che aveva imparato con
la sua vera madre.
Volle sapere come ero riuscito a fuggire dalla regina.
Le raccontai quello che avevo fatto e lei se pure contenta, ebbe pena di
me.
« La regina ha trovato il pane per i suoi denti. Però quando si sarà
liberata, darà ordine di cercarti e una volta preso, non ti farà morire subito.
Ho pena per te. »
« Prima che mi lasci prendere, mi difenderò e poi
mi ucciderò piuttosto che lasciarmi prendere vivo. »
Cominciai a sbadigliare.
« Vedo che hai sonno, vieni, riposati sul mio letto.
Mi stesi e lei si stese accanto a me.
Se non avessi avuto tanto sonno, chissà cosa avrei
fatto; invece come mi stesi sul letto mi addormentai di colpo.
Mi svegliò la luce che filtrava dalle imposte.
Mi alzai e vidi che Manuela era già vestita;
sembrava un vero legionario romano.
Mi mostrò il bagno e la colazione sul tavolo.
Prima di uscire mi raccomandò di non uscire e di non aprire a nessuno.
La assicurai, avrei fatto quello che mi aveva chiesto,
poi le chiesi di vedere come stava la ragazza che avevo aggredito.
Poco dopo se ne andò chiudendo la porta di casa.
Feci come mi aveva detto, cercai di fare il meno
rumore possibile e non risposi quando bussarono alla porta.
La sera Manuela tornò dal servizio e la prima cosa che fece, fu di
abbracciarmi e darmi un bacio sulle guance.
Domandai il motivo di quel gesto.
« Grazie a te, la regina è morta. L’hanno trovata
le guardie legata ed imbavagliata. Era morta soffocata. Grazie a te, al trono è
salita Agda, la figlia della defunta regina. Lei è diversa dalla madre, non ha
mai approvato il modo di governare e di co-me monopolizzava il possesso dei
prigionieri. Essendo paranoica, odiava gli uomini e ogni volta che ne aveva tra
le mani, li sodomizzava con un membro finto. Tu sei riuscito a rsistergli e a
sopraffarla, facendole pagare tutto il male che aveva fat-to sia agli uomini
che alle donne. Agda ti vuole incontrare, tu sei un eroe. »
« Il guaio è che io non mi voglio incontrere con
lei. Come mi ha per le mani, vorrà vendicare la madre facendomi quello che mi
avrebbe fatto la madre se mi avesse preso da viva. »
« Ma no! Vedrai che ti sbagli. Vedi conosco Agda
da quando andavo a scuola, siamo amiche, vedi quando mi sentì parlare spagnolo,
non mi denunciò, anzi volle che le insegnassi a parlare come me. »
« Sarà, ma io non mi fido. Se vuoi che m’incontri
con lei, mi devi procurare un veleno, in una fiala. La terrò in bocca e in caso
che le cose vanno come penso, non farò altro che romperla con i denti e
ingoiare il veleno. Da vivo non mi lascio torturare. »
Vedendo che ero deciso di fare quello che volevo.
Mi promise di procurarsi il veleno il giorno dopo. Poi mi mese al corrente
della ragazza che avevo assalito.
« La ragazza sta bene, salvo un bernoccolo dietro
la nuca. Quando si era ripresa, ha dato l’allarme e le guardie controllano
tutti quelli che indossano un’armatura.»
Cenammo e andammo a letto.
Quella notte non avevo sonno; così feci conoscere a Manuela l’arte dell’amore.
La mattina dopo Manuela uscì e rimasto solo in
casa, feci il minimo rumore e non rispondei a chi bussò alla porta.
La sera Manuela tornò portandomi una fiala di vetro con un liquido
giallognolo.
A cena combinammo come mi sarei fatto catturare.
Dopo aver cenato, rindossando l’armatura, uscii con lei e mi rifugiai nel
bosco lì vicino.
La mattina dopo, mentre facevo finta di dormire, fui svegliato con un
calcio.
Feci l’atto di prendere la spada, che non trovai. D’accordo, me la ero
lasciata prendere mentre dormivo.´
Manuela e tre compagne, armate con archi, mi
avevano circondato e tenendomi a bada, mi feci legare da Manuela (non tanto
stretto), i polsi dietro la schiena e poi condurre al palazzo della regina.
Al passaggio, la folla non mi tirava le pietre ma,
cercava di abbracciarmi e alcune, di baciarmi.
Arrivato alla presenza della regina, non mi fecero
inginocchiare e chinare la testa.
Rimasi in piedi a guardare la regina.
Era una bella ragazza, tanto bella come Manuela.
Ad un cenno, Manuela mi liberò le mani, poi
prendendomi per mano mi condusse al balcone che si affacciava sulla piazza.
Fuori s’era raccolta una grande moltitudine.
La regina cominciò a parlare e il siciliano traduceva quello che stava
dicendo.
Mi presentava come un eroe e se avessi accettato, mi avrebbe proclamato re
e al suo fianco avremmo regnato in pace.
È logico che accettai.
Dopo l’incoronazione ci fu un sontuoso banchetto nel quale parteciparono
tutti, sia le amazzoni che gli uomini prigionieri.
Non vidi la fine della cena, la regina Agda era impaziente di conoscermi
meglio.
Ad un cenno di lei, mi alzai e dopo aver salutato
Manuela, seguii la regina nei suoi appartamenti.
Nella camera da letto, non c’era il cavalletto e la frusta, ma una coperta
di pura lana, bianca come la neve.
Fu lì sopra che facemmo l’amore e la mattina dopo, la coperta era macchiata
del suo sangue virgineo.
Quando dopo averci lavati e rivestiti, scendemmo nel salone per la
colazione.
Fummo accolti da applausi.
Nel pomeriggio assistetti alle udienze.
Tra l’altro c’era la spartizione degli uomini atti a procreare.
Gli uomini erano mille (me compreso), le amazzoni cinquantamila.
C’era un uomo ogni cinquanta donne.
A conti fatti, ogni uomo poteva fare l’amore con
una donna diversa, senza stancarsi tanto.
Io contribuii alla procreazione, con la regina, Manuela e altre quarantotto
belle ragazze (scelte da Manuela).
Dopo il primo anno, ebbi trentadue figli maschi e diciotto femmine.
La nascita delle femmine, veniva accettata.
La nascita di un maschio, era festeggiata.
Continuando di quel passo, in breve non ci sarebbe più stato necessario
catturare maschi.
Mi svegliai con un bel sorriso.
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