segunda-feira, 19 de agosto de 2013

Sogno n.26 L'Isola delle Amazzoni anno 2008

 
Mi trovavo in barca a fare una crocera lungo la costa, quando una corrente mi portò al largo.
A nulla valsero i miei sforzi sui remi per tornare verso la riva e a nulla valsero i miei richiami di aiuto alle barche che mi passavano vicino.
Le più avevano la musica alta e non mi sentirono, le altre forse condotte da stranieri.
Dopo aver lottato a lungo, mi abbandonai alla mia sorte, ritirando i remi per non perderli.
Arrivò la notte e con la notte il freddo.
Il giubino di salvataggio non mi proteggeva dal freddo, così tremando per il freddo, passai la notte.
Il giorno mi trovò in mezzo al mare, dove da ogni lato mi giravo, non vedevo che acqua; per di più c’erano due squali che mi giravano attorno.
È vero che avevo il coltello da sub, ma contro due squali potevo far poco.
Passò la giornata senza che apparisse nessuna barca o elicottero alla mia procura.
Arrivò la notte e con la notte la nebbia.
La nebbia oltre che umida era pure fredda.
Tremavo dal freddo, avevo l’impressione di stare male, dovevo avere la febbre.
Ad un dato punto non ricordo più nulla, o ero svenuto o mi ero addormentato.
Fui svegliato da una botta.
La barca era andata a sbattere contro degli scogli e stava affondando.
Mi tuffai in acqua e a tentoni trovai lo scoglio in cui la barca era andata a sbattere.
Mi issai su e tenendomi in equilibrio, aspettai l’alba.
Con l’alba, il sole e con il sole vidi una spiaggia.
Ma  la  spiaggia  si  trovava  a  un  centinaio  di  metri  dagli  scogli  posti  a  fior
dell’acqua.
Gli squali non si vedevano ma  questo non voleva dire che non c’erano.
Aspettai di vederli apparire.
Gli squali non si vedevano.
Alla fine mi decisi e tuffandomi, mi misi a nuotare come un forzennato.
Avevo l’impressione di essere seguito e la paura di essere divorato mi dava le ali alle mani e ai piedi.
Continuai a nuotare pure quando sentii la sabbia sotto le mani e una volta fuori dall’acqua mi allontanai dalla riva e poi esausto mi lasciai andare e mi addormentai.
Fui svegliato da un colpo al fianco sinistro.
Credendomi assalito da una belva, portai la mano dove tenevo il coltello girandomi su un fianco.
Rimasi come paralizzato per quello che stavo vedendo.
Un guerriero vestito come un antico romano mi guardava dall’alto in basso.
L’arma con cui ero stato colpito era una lancia.
Ero stato colpito dal manico, ma ora era la punta che si trovava puntata al mio petto.
Allontanai la mano dal coltello e allargando le braccia mi misi in posizione di resa.
Vidi  il  guerriero  trarre  un  piccolo  corno  dalla  borsa  che  aveva  sul  fianco,
soffiarci dentro e il corno emire un suono simile ad un raglio di somaro.
Dopo neanche cinque minuti apparvero altri tre guerrieri che dopo avermi circondato mi obbligarono ad alzarmi e presomi le braccia, mi legarono le mani dietro la schiena e pungolandomi con la punta delle lancie mi costrinseri a camminare.
Dopo aver salito una duna, mi apparve una città cintata.
Quardandola, guardando i guerrieri che erano con me, pensai: « Stò sognando, sono tornato indietro dei secoli anzi dei millenni, quello che stò vedendo deve essere una città come Roma o qualsiasi città di quell’epoca.
C’erano soldati posti sugli spalti che osservavano il nostro arrivo.
Il gigantesco portone era aperto e appena giunti, la mia guardia fu sostituita da quattro cavalieri che con me al centro e a piedi si mossero verso il centro.
La gente che incontravo al mio passaggio erano vestite con corte o lunghe tuniche.
Per lo più erano donne, alcune veramente carine.
Mi guardavano con curiosità, chissà a cosa stavano pensando?
Un uomo in costume, con il giubetto di salvataggio arancione, l’orologio al polso sinistro, non portavo gli occhiali, li avevo persi quando la barca aveva urtato agli scogli.
Ad alcune sorrisi, ad altre strizzai l’occhio destro come per dire: « Ci vediamo dopo ».
Giungemmo ad una piazza rotonda dove al centro c’era un palo, tutto infioccato;
la cosa più strana di quel palo era che aveva la forma di un pene.
Tutt’intorno alla piazza c’erano conficcati nel terreno altri pali, però questi non erano infioccati.
Su ogni palo c’era conficcato un essere umano.
Riuscii a contare dieci donne e due uomini.
Alcuni erano morti di certo perché il palo era fuoriuscito dal collo, altri erano dentro il corpo di quell’infelici e in loro sangue scorreva lungo il palo.
Ad un lato c’era una cstruzione più bella delle altre con una scalinata e delle guardie a sorvegliare.
I guerrieri a cavallo pararono di fronte alla scalinata e mi consegnarono ad
altre due soldati che presomi per le braccia mi condussero dentro.
Ad ogni porta c’erano due soldati armati di lancie incrociate.
Camminammo per un lungo corridoio e ad ogni porta, la scena si ripeteva.
Due soldati sorvegliavano la porta.
Alla fine giungemmo ad una sala enorme.
Era una bella sala, le pareti erano affrescate con dei dipinti.
Parevano tutte scene erotiche.
I soldati mi condussero da un lato dove posto su un rialzo di tre gradini c’erano due troni.
In uno dei due c’era seduta una donna.
Era una donna di mezza età.
Poteva essere bella se non avesse lo sguardo allucinato.
Le guardie che mi tenevano mi costrinsero a inginocchiarmi e chinare il capo.
Ci fu un grugnito.
Sembrava il verso di un maiale.
Il grugnito si ripeté.
Una delle guardie mi mise una spada sotto il collo, facendomi sollevare la testa.
La donna tornò a grugnire.
Di certo stava dicendo qualcosa che non capii.
Dissi: « Mi dispiace, non capisco il vostro linguaggio, io parlo italiano, anzi, il
romano. »
La donna fece un gesto e una guardia lasciò la sala e poco dopo tornò con un uomo.
Lui mi disse qualcosa che non capii e scossi la testa.
La guardia portò via l’uomo e tornò con un altro.
Quello disse qualcosa e io scossi la testa.
La scena si ripeté fino all’arrivo di un uomo che parlò italiano con un accento: siciliano o calabrese.
« La regina vuole sapere chi sei e come sei arrivato all’isola? »
Gli dissi chi ero e di quello che mi era successo.
Lui con grugniti riferì quello che avevo detto.
La regina tornò a grugnire e lui mi disse: « La regina vuole sapere cosa è quello che indossi e perché sei armato? »
Gli dissi che ogni volta che si va in barca, bisognava indossare il giubetto di salvataggio che avrebbe evitato a chi cadeva in acqua di affogare.
Quello che avevo al polso era un orologio e il coltello che in quel momento non avevo perché me lo avevano tolto era per difendermi da eventuali squali.
La regina tornò a grugnire e lui disse di toglermi tutto quello che indossavo.
Gli mostrai le mani legate e ad un cenno, una delle guardie con la spada recise la corda che mi teneva.
Mi tolsi il giubetto, l’orologio, la cinta che reggeva la fodera del coltello e passai tutto ad una guardia.
« Anche il resto. »
« Il resto, mi è rimasto solo il costume. »
« Ti devi levare anche quello. »
« Ho capito, mi vuole vedere nudo. »
Mi calai il costume e poi lo feci passare tra i piedi togliendomelo.
Anche quello mi fu preso dalla guardia che portò il tutto alla regina.
La regina osservò gli oggetti con curiosità e poi li gettò al lato del trono.
Tornò a grugnire.                                                                                    
Feci quello che mi  chiedeva di fare l’interprete .
Finito lo spettacolo, la regina tornò a grugnire e l’uomo accompagnato dalle guardie mi portò in una cucina dove c’erano altri uomini che in silenzio mi servirono un lauto pasto.
Finito di mangiare e senza aspettare che facessi la digestione, fui portato fuori e in un’altra stanza mi immersero in una vasca di acqua calda e insaponata e mi lavarono da capo a piedi.
Così lavato e improfumato mi condussero in una camera da letto e mi lasciarono solo.
In quella stanza oltre al letto c’era un cavalletto e al cavalletto c’erano delle cinghie.
Stavo ancora guardando il cavalletto quando la porta si aprì ed entrò la regina con due soldati.
La regina portava con sé una lunga frusta.
Avevo visto che sotto il mantello, la regina aveva un grosso pene.
Capii a cosa serviva il cavalletto.
Dovevo giocare d’astuzia.  
I soldati si accinsero a prendermi ma io scuotendo la testa mi avvicinai al letto e ponendo le mani sopra, mi chinai allargando le gambe.
I soldati si misero a ridere, come lo fece la regina, poi ad un cenno di lei uscirono dalla stanza e chiusero la porta.
Con la coda dell’occhio vidi la regina portarsi al centro della stanza facendo
srotolare la frusta.
Alzò la mano e prima che mi arrivasse la frustata mi sollevai e strillando come di dolore, mi avventai sulla regina strappandole la frusta.
Lei si mise a (strillare) grugnire, ma io strillavo ancora più forte per coprire le sue grida e con uno strattone la feci cadere sul letto ponendomici sopra.
Per non farla strillare le premetti il viso sopra le pelli che coprivano il letto.
Si divincolava come una furia; ma dopo il lauto pasto, mi ero rimesso in forze e non me la feci sfuggire.
Ad un dato punto, la regina rimaneva immobile, le braccia penzoloni dal letto.
Non cadendo nella trappola, alzai un pugno e lo lasciai cadere sopra la sua nuca.
Accertatomi che non si muoveva, mi avvicinai alle tende e dopo aver strattonato
un cordone che le teneva, le legai le mani di dietro e le gambe sollevate e giunte alle mani.
Così ero sicuro che dopo aver ripreso i sensi non si sarebbe liberata da sola.
Per di più, con un pezzo di tenda feci un bavaglio e glielo passai sulla bocca annotandolo poi dietro la nuca.
Mi avvicinai alla finestra per vedere se c’erano soldati in circolazione; non ne vidi ed essendo la finestra posta al primo piano e con un giardino di sotto, la scavalcai e saltai di sotto.
Non mi feci niente, poi corsi verso il muro di cinta e dopo essermi issato sopra, lo scavalcai.
La città era al buio salvo per delle torce che ardevano ogni tanto.
Tenendomi sempre nel lato oscuro mi allontanai dal palazzo reale.                 
Ero nudo e se di notte nessuno mi vedeva, non lo sarei stato al sorgere del sole.
Dovevo trovare dei vestiti, a costo di assalire qualcuno per prenderglieli.
Stavo riparato in un sottoscala quando sentii dei passi avvicinarsi.
Mi preparai e come mi fu vicino, uscii dal sotto-scala e gli balzai di fronte.
Era un soldato.
Non mi fermai e senza pensarci sopra, gli diedi una ginocchiata sul bassoventre; sapevo che una ginocchiata alle palline, facevano molto male.
Lui si chinò in avanti e con un pugno lo colpii al mento facendogli sbattere la testa contro il muro della casa.
Anche se aveva l’elmo, il colpo lo fece cadere svenuto.
Lo trascinai nel sottoscala e presi a spogliarlo.
Una volta toltogli l’elmo e la corazza, gli calai il gonnellino a frange rosse e gialle, i bambali, i sandali e la tunica.
Nel togliergli la tunica, mi accorsi che il soldato che avevo colpito era una donna, dai seni che ne uscirono fuori.
Avevo altro da pensare, donna o non donna, dovevo prendergli i vestiti.
Le tolsi pure le mutande che indossai come tutto il resto.
Così vestito nessuno mi poteva riconoscere e mi potevo allontanare dalla città.
Camminando come se avessi da poco smontato dal servizio, mi diressi verso le porte.
Come giunsi nei pressi, mi bloccai.
Se mi avessero chiesto chi ero, cosa potevo rispondere, non conoscevo il loro linguaggio, mi avrebbero preso e consegnato alla regina.
Immaginando quello che mi avrebbe fatto, tornai indietro.
Dovevo trovare un rifuggio per la notte.
All’alba con la confusione, mi sarebbe stato più facile lasciare la città.
Cecai una casa isolata e trovatola, l’ispezionai, cercando il modo di entrare senza fare rumore.
La casa aveva tutte le imposte trancate.
Chi ci abitava doveva aver paura dei ladri e si era protetto chiudendosi dentro casa.
Mi avvicinai alla porta e con il pomo della spada battei.
Dopo un pò dall’altra parte si sentì qualcuno muoversi avvicinandosi alla porta.
Un grugnito, al quale risposi con un grugnito.
Dall’altra parte, silenzio. Poi un altro grugnito al quale con più forza risposi con un altro grugnito.
Ancora silenzio, poi la porta cominciò ad aprirsi.
Prima che mi vedesse, diedi una spallata alla porta ed entrai.
Una volta dentro, mi richiusi la porta alle spalle e mi preparai ad affrontare il proprietario della casa.
Il proprietario della casa era una donna che dallo spintone alla porta era caduta in terra.
Aveva la camicia da notte e cadendo in terra, si era rialzata mostrandomi il pube.
Quando vide cosa stavo guardando, tirò giù la camicia da notte, coprendosi.
« No mi mati », disse con una voce che assomigliava allo spagnolo.
« Di solito mato solo per difendermi e mai una bella donna. »               
Quando cominciò a rialzarsi, le tesi una mano e l’aiutai.
Una volta in piedi mi fece cenno di sedere.
Prima di sedermi domandai: « C’è qualcuno con te, tuo marito? »
« No, sono sola, se vuoi puoi controllare. »
Mi fidai e dopo aver poggiato la spada, mi tolsi l’elmo, la corazza e tutto il resto, rimasi solo con la tunichetta e le mutande.
Sedendomi a tavola le domandai come mai parlasse spagnolo.
Lei rispose di essere peruviana e di essere stata catturata mentre faceva un viaggio dal Perù al Messico.
La nave in cui viaggiava si trovò in un banco di nebbia e per evitare di urtare sui scogli, rallentò.
D’improvviso l’equipaggio si trovò circondato da guerrieri armati di lance e spade.
Si trovavano nell’impossibilità di difendersi; tra l’altro nessuno era armato.
Si lasciarono legare e calati sulle barche che circondavano la nave.
Poi fecero salire i passeggeri sul ponte e divisero i maschi dalle femmine.
Agli uomini e ragazzi legarono le mani e calati nelle barche, i bambini furono affidati ad altri guerrieri. Lei venne scambiata per un maschio perché portava i pantaloncini.
Anni dopo seppe cosa fecero alle donne e bambine; furono uccise e la nave incen-diata.
Manuela (quello era il suo nome), fu affidata ad una donna che aveva una bambina della sua età.
Quando nel cambiarla vide che non era un maschietto ma una femminuccia, non disse niente. Anche perché lei non aveva una figlia, ma un figlio.
Il figlio di quella donna morì quando aveva tre anni e lei lo portò alle guardie dicendo che era il bambino che le avevano affidato.
Manuela crebbe con quella donna come se fosse sua figlia e quando fu grande, entrò a far parte dell’esercito delle amazzoni.
Parlava come loro, anche se ricordava qualche parole che aveva imparato con la sua vera madre.
Volle sapere come ero riuscito a fuggire dalla regina.
Le raccontai quello che avevo fatto e lei se pure contenta, ebbe pena di me.
« La regina ha trovato il pane per i suoi denti. Però quando si sarà liberata, darà ordine di cercarti e una volta preso, non ti farà morire subito. Ho pena per te. »
« Prima che mi lasci prendere, mi difenderò e poi mi ucciderò piuttosto che lasciarmi prendere vivo. »
Cominciai a sbadigliare.
« Vedo che hai sonno, vieni, riposati sul mio letto.
Mi stesi e lei si stese accanto a me.
Se non avessi avuto tanto sonno, chissà cosa avrei fatto; invece come mi stesi sul letto mi addormentai di colpo.
Mi svegliò la luce che filtrava dalle imposte.
Mi alzai e vidi che Manuela era già vestita; sembrava un vero legionario romano.
Mi mostrò il bagno e la colazione sul tavolo.
Prima di uscire mi raccomandò di non uscire e di non aprire a nessuno.
La assicurai, avrei fatto quello che mi aveva chiesto, poi le chiesi di vedere come stava la ragazza che avevo aggredito.
Poco dopo se ne andò chiudendo la porta di casa.
Feci come mi aveva detto, cercai di fare il meno rumore possibile e non risposi quando bussarono alla porta.
La sera Manuela tornò dal servizio e la prima cosa che fece, fu di abbracciarmi e darmi un bacio sulle guance.
Domandai il motivo di quel gesto.
« Grazie a te, la regina è morta. L’hanno trovata le guardie legata ed imbavagliata. Era morta soffocata. Grazie a te, al trono è salita Agda, la figlia della defunta regina. Lei è diversa dalla madre, non ha mai approvato il modo di governare e di co-me monopolizzava il possesso dei prigionieri. Essendo paranoica, odiava gli uomini e ogni volta che ne aveva tra le mani, li sodomizzava con un membro finto. Tu sei riuscito a rsistergli e a sopraffarla, facendole pagare tutto il male che aveva fat-to sia agli uomini che alle donne. Agda ti vuole incontrare, tu sei un eroe. »
« Il guaio è che io non mi voglio incontrere con lei. Come mi ha per le mani, vorrà vendicare la madre facendomi quello che mi avrebbe fatto la madre se mi avesse preso da viva. »
« Ma no! Vedrai che ti sbagli. Vedi conosco Agda da quando andavo a scuola, siamo amiche, vedi quando mi sentì parlare spagnolo, non mi denunciò, anzi volle che le insegnassi a parlare come me. »
« Sarà, ma io non mi fido. Se vuoi che m’incontri con lei, mi devi procurare un veleno, in una fiala. La terrò in bocca e in caso che le cose vanno come penso, non farò altro che romperla con i denti e ingoiare il veleno. Da vivo non mi lascio torturare. »
Vedendo che ero deciso di fare quello che volevo. Mi promise di procurarsi il veleno il giorno dopo. Poi mi mese al corrente della ragazza che avevo assalito.
« La ragazza sta bene, salvo un bernoccolo dietro la nuca. Quando si era ripresa, ha dato l’allarme e le guardie controllano tutti quelli che indossano un’armatura.»
Cenammo e andammo a letto.
Quella notte non avevo sonno; così feci conoscere a Manuela l’arte dell’amore.
La mattina dopo Manuela uscì e rimasto solo in casa, feci il minimo rumore e non rispondei a chi bussò alla porta.
La sera Manuela tornò portandomi una fiala di vetro con un liquido giallognolo.
A cena combinammo come mi sarei fatto catturare.
Dopo aver cenato, rindossando l’armatura, uscii con lei e mi rifugiai nel bosco lì vicino.
La mattina dopo, mentre facevo finta di dormire, fui svegliato con un calcio.
Feci l’atto di prendere la spada, che non trovai. D’accordo, me la ero lasciata prendere mentre dormivo.´
Manuela e tre compagne, armate con archi, mi avevano circondato e tenendomi a bada, mi feci legare da Manuela (non tanto stretto), i polsi dietro la schiena e poi condurre al palazzo della regina.
Al passaggio, la folla non mi tirava le pietre ma, cercava di abbracciarmi e alcune, di baciarmi.
Arrivato alla presenza della regina, non mi fecero inginocchiare e chinare la testa.
Rimasi in piedi a guardare la regina.
Era una bella ragazza, tanto bella come Manuela.
Ad un cenno, Manuela mi liberò le mani, poi prendendomi per mano mi condusse al balcone che si affacciava sulla piazza.
Fuori s’era raccolta una grande moltitudine.
La regina cominciò a parlare e il siciliano traduceva quello che stava dicendo.
Mi presentava come un eroe e se avessi accettato, mi avrebbe proclamato re e al suo fianco avremmo regnato in pace.
È logico che accettai.
Dopo l’incoronazione ci fu un sontuoso banchetto nel quale parteciparono tutti, sia le amazzoni che gli uomini prigionieri.
Non vidi la fine della cena, la regina Agda era impaziente di conoscermi meglio.
Ad un cenno di lei, mi alzai e dopo aver salutato Manuela, seguii la regina nei suoi appartamenti.
Nella camera da letto, non c’era il cavalletto e la frusta, ma una coperta di pura lana, bianca come la neve.
Fu lì sopra che facemmo l’amore e la mattina dopo, la coperta era macchiata del suo sangue virgineo.
Quando dopo averci lavati e rivestiti, scendemmo nel salone per la colazione.
Fummo accolti da applausi.
Nel pomeriggio assistetti alle udienze.
Tra l’altro c’era la spartizione degli uomini atti a procreare.
Gli uomini erano mille (me compreso), le amazzoni cinquantamila.
C’era un uomo ogni cinquanta donne.
A conti fatti, ogni uomo poteva fare l’amore con una donna diversa, senza stancarsi tanto.
Io contribuii alla procreazione, con la regina, Manuela e altre quarantotto belle ragazze (scelte da Manuela).
Dopo il primo anno, ebbi trentadue figli maschi e diciotto femmine.
La nascita delle femmine, veniva accettata.
La nascita di un maschio, era festeggiata.
Continuando di quel passo, in breve non ci sarebbe più stato necessario catturare maschi.
Mi svegliai con un bel sorriso.


                                                                                                                           




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