Una notte mi tornarono alla mente due sogni già avuti in
passato, uno era quello della Piccoila Roma, l’altro: il Diario dell’Ultimo
Legionario Romano.
Nel sogno del Diario dell’ultimo Legionario romano, il sogno finiva quando
il Legionario scopre che svegliandosi dopo essere stato ferito, il tempo era
passato, era passato tanto velocemente che invece di essere nella sua epoca,
cioè nel 267; si trovava nel XXº secolo e che tutto quello che aveva lasciato,
non esisteva più e lui si domandava: « Che ci stavo a fare li, se non c’è più
nessuno, tanto valeva essere morto. »
Questo (più nessuno), intendeva sopratutto la sua famiglia.
Purtroppo non siamo noi che decidiamo quando dobbiamo morire, così capitò
al Legionario Romano.
Anche se non viveva nella sua epoca, dovette adattarsi a vivere nell’epoca
in cui si trovava.
Ebbe la fortuna che quello che aveva passato da quando era nato e
raccontato al professore e a chi gli aveva presentato, era diventato famoso e
del suo Diario ne avevano fatto un libro molto venduto che gli permetteva di
vivere senza bisogno di lavorare.
Che: tra l’altro, oltre ad allevare i cavalli, aveva fatto sempre il
legionario il cui mestiere era quello di combattere; sempre e sotto qualsiasi
Imperatore.
Aveva appreso a leggere in italiano (che era ormai la sua lingua) e un
giorno in un giornale lesse che in Portogallo era sta costruita una piccola
città chiamata:
“ La Piccola Roma ”, tutta fatta
come se fosse ancora del tempo antico.
Ci doveva andare, sentiva che lì avrebbe ritrovato la sua voglia di vivere
e se poi fosse solo una facciata, non ci sarebbe rimasto male se ci fosse
andato già pronto ad una illusione.
Ne parlò con Cesare il Professore chiedendogli come ci poteva andare e se
lo avrebbe accompagnato.
Purtroppo il Professore non si poteva assentare dall’Università in quel
momento, se poteva pazientare, un giorno lo avrebbe accompagnato.
I giorni passavano e la pazienza di aspettare era sempre più dura, quando
non ce la fece più, andò ad una Agenzia di viaggi organizzati e prenotò il tour
per il Portogallo, destino La Piccola Roma.
Dovette aspettare ancora un poco fino a quando raggiunto il numero di
persone, lo mandarono a chiamare e una mattina (presto), con un taxi si fece
condurre al punto d’incontro, nell’atrio dell’Aereoporto di Fiumicino.
Anche se era la prima volta che volava, non mostrò la paura che sentiva.
Il volo durò poco tempo, non più di due ore, da quello che marcava quell’oggetto
che portava al polso e che chiamanano orologio.
Dall’Aereoporto di Lisbona alla meta del viaggio fu con due pulman
turistici.
Il sedile era tanto comodo che si addormentò durante il viaggio.
Mentre dormiva sognava di essere partito da Capua facendo da scorta al
Centurione Manilio Claudiano diretto a Roma dove avrebbe riabbracciato sua
moglie e suo figlio Tito.
Fu svegliato da uno scossone: « Svegliati! Siamo arrivati. »
Era ancora mezzo addormentato e
aprendo gli occhi vide quello che stava vedendo, pensò di stare ancora
sognando.
Il pulman si trovava fuori delle mura di qualcosa che gli veniva alla mente
e non ricordava cosa...
In alto, sui spalti, vedeva soldati romani che osservavano i nuovi
arrivati, come se fossero invasori, pronti a far piovere su di loro una pioggia
di frecce o giavellotti.
Dopo uno squillo di tromba, si aprì un pesante e grosso portone e
dall’interno uscì un cavaliere che si diresse verso il pulman.
L’autista aprì il finestrino della sua sinistra e dalla richiesta mostrò
una carta che il cavaliere lesse e restituì all’autista dicendogli qualcosa e
indicandogli l’entrata.
L’autista mise in moto e il pulman varcò il portone trovandosi nell’interno
della muraglia dove (dal finestrino) Caio vide parcheggiati vari pulman e
macchine.
Il pulman si fermò in uno spazio libero e l’autista aprì le porte dando la
possibilità ai passeggeri di scendere.
Quando fu il suo turno, Caio scese e come gli altri guardò il luogo dove si
trovava.
Si trovava in uno spazio verde, da un lato vedeva la muraglia che il pulman
aveva superato, si stendeva ai due lati e si perdeva a vista degli occhi.
Dalla parte opposta vedeva poco lontano un’altra muraglia e anche su di
essa vedeva dei soldati.
Ad un tratto si aprì un altro portone da cui uscirono vari soldati.
I soldati formarono un corridoio dai lati del portone e poco dopo uscì una
biga, seguita da altre quattro e una ventina di cavalieri.
La prima biga era riccamente decorata ed era codotta da un uomo già di una
età avanzata.
Arrivata ad una certa distanza dalla gente che scesa dai vari pulman si
fermò,
le altre bighe fecero la stessa cosa mettendosi ai due lati e i cavalieri
si schierarono dietro le bighe.
Dopo aver alzato la mano, in segno di saluto, l’uomo (che dai vestiti
doveva essere uno che comandava) diede il benvenuto ai nuovi arrivati parlando
loro in diverse lingue tra le quali il romano antico.
Da quello che aveva detto, dava indicazioni ai nuovi arrivati indicando le
ragazze che stavano sulle altre bighe le quali una volta terminato di parlare,
scesero e dirigendo verso le persone cominciarono a consegnare loro dei
foglietti.
Stava ancora con la bocca e gli occhi aperti quando sentì vicino a lui: «
Ao! Ma ndove semo capitati, pare ser tornati ar tempo de na vorta. »
Il conducente della prima biga fece voltare i cavalli per tornare dentro
quando
passando accanto a Caio Semplicius si sentì rivolgere la parola in romano
antico.
« Ave Caesar, morituri te salutant. »
Tirando le redini fece fermare i cavalli e chiedendo ad una guardia di trattenerli
scese dalla biga e avvicinandosi a Caio alzò la mano destra dicendo: « Ave!
Sono Ilo Caesar l’imperatore e tu chi sei? »
« Mi chiamo Caio Semplicio e sono un antico legionario romano. »
« Ho capito chi sei, ho sentito parlare di te, dovresti essere morto. »
« Il destino non ha voluto. »
« Vieni » e indicando la biga vi salirono dirigendola verso la muraglia
opposta dove era uscito, seguito da quattro cavalieri.
« Vedi, ci sono solo quattro porte in cui solo io posso uscire per dare il
benvenuto a chi viene a visitare la mia città, i turisti possono entrare a
piedi, solo attraverso quelle porte sopraelevate da una gradinata, i cavalieri
che ci seguono sono la mia scorta, non che ne abbia bisogno. »
« Dalle divise, devono essere pretoriani. »
« Hai ragione, d’altra parte chi meglio di un antico legionario che lo
poteva sapere. Eri anche te un pretoriano? »
« No! Facevo parte della cavalleria, Diciottesima Legione Invicta. »
« Qui non abbiamo la cavalleria, abbiamo la fanteria, quelli che ai visto
sulle mura e i pretoriani che rappresenta la mia guardia personale. »
Varcata la seconda muraglia si diresse verso una costruzione.
« Lì potrai cambiarti se vuoi? Altrimenti raggiungerai gli altri turisti. »
« Certo che voglio, con questi vestiti non mi sento a mio agio. »
Caio entrò e poi ne uscì come se fosse un normale cittadino romano, con
tunica e sandali.
Risalì sulla bica la quale proseguì attraversando diverse vie.
« Non ho trovato quello che cercavo. »
« E cosa cercavi? »
« Una divisa da legionario. »
« Quella non la potevi trovare. I turisti possono mettere vestiti di
cittadini comuni o di persone ricche a seconda delle loro possibilità, gli
abiti militari li possono comprare solo quando vanno via come souvenir. »
Arrivato ad un’insieme di costruzioni fermò la biga dicendo: « Quello è il
Castro Pretorio, se volessi lavorare per me, ti assumerei nei pretoriani a 50
sesterzi al mese, altrimenti ti farò accompagnare dove si trovano gli altri
turisti.»
« Mi piacerebbe lavorare per voi anche gratis, tornare a indossare la
divisa mi farebbe tornare indietro nei tempi e mi illuderei che il passato non
è passato e che mi trovo ancora nel 267 sotto l’Imperatore Galiano. »
« Non sei lell’anno 267 ma nel VIIº anno (data dalla fondazione della Piccola
Roma) e non sotto Galiano ma sotto l’Imperatore Ilo Caesar Plinio. »
« Per me va benissimo, non importa sotto quale imperatore torno a servire,
l’importante tornare in servizio. »
Poco dopo la biga si fermò davanti ad una taverna.
« Scendiamo, andiamo a berci un goccio. »
Entrarono nella taverna seguiti da due pretoriani, il taverniere venne loro
incontro alzando la mano destra « Ave Caesar in che posso servirti? »
« Hai dell’Albano o dell’Erbulo? »
« Certo! Per voi Divino Caesar ho sempre il vino migliore. »
Si sedettero e poco dopo due belle ragazze servirono il vino accompagnato dal pane e formaggio.
Caio sempre più meravigliato domandò « Come fate ad avere quel vino? Sono
secoli che non si trovava in circolazione. »
« Ho le mie conoscenze in Italia. È un vino che costa, è vero, ma c’è
sempre chi lo può pagare. »
Bevvero e mangiarono; poi nonostante le proteste del taverniere l’Imperatore
volle pagare posando sul tavolo delle monete.
Caio ne prese una guardandola.
Da un lato c’era la testa di Julio Caesar Augustus, dall’altro lato la Lupa
e il valore in Sesterzi.
« Qui nella Piccola Roma circolano solo queste monete, i visitatori
cambiano le loro monete con la moneta locale, quando vanno via tornano a
cambiare le monete avanzate. Ogni anno dalla Casa della Moneta di Lisbona devo
farmi coniare sempre nuove monete perché i turisti ne portano via per tenerle
come ricordo. »
Tornati verso il Castro Pretorio fece scendere Caio.
« Allora ti lascio con Valerio. » indicandolo « Sarà il tuo superiore. Per
oggi non lavorerai, ti manderò a chiamare alla Iª vigilia, sarai mio ospite per
la cena. »
Dopo averlo salutato fece rimuovere i cavalli lungo il Vicus Tuscus in
direzione della Porta Flumentana seguito da due cavalieri.
Dopo aver superato il Foro Boario e il Circo Massimo, la biga cominciò ad
arrampicarsi lentamente sul colle Aventino, verso la Domus Imperiale.
Superato l’ultimo tratto impervio del Vicus Altus si andò a fermare in un
piccolo piazzale, davanti ad una bella se pur antica costruzione moderna (di
moderno era tutto l’interno).
Un addetto prese la biga e la portò alle stalle.
I cavalieri dopo aver salutato tornarono al Castro.
Dopo essersi fatto un bagno e cambiato, si recò negli alloggi della moglie
che mise al corrente dell’ospite per la cena.
Le persone (per lo più amici) invitate, accompagnate dalle proprie mogli o
amiche cominciarono ad arrivare una ora prima del consueto sapendo che
l’Imperatore non gradiva i ritardatari e si intrattennero nel Tablino
sorsegiando delle bevande e mangiucchiando quello che i servi servivano loro.
Il Tablino era un cortile giardinato tra l’atrio e il Peristilio dove si
trattenevano gli ospiti in attesa, prima che fossero chiamati per la cena.
Quando suonò il gong gli ospiti lasciarono il Tablino ed entrarono nella
sala.
La sala misurava dieci metri per cinque ovvero (in larghezza la metà della lunghezza).
Al centro della sala c’era un tavolo a forma di ferro di cavallo circondato
da vari triclinium che andavano dal: l’imus (a un posto), il medius (a due
posti), il summus (a tre posti).
I triclinium attorno al tavolo erano per contenere più di trenta persone.
Più erano i triclinium e più era apprezzato il padrone di casa.
I triclinium avevano la forma di letto-divano solo che invece dei cuscini,
aveva la parte superiore alzata.
I convitati, erano sdraiati di sbieco e si sorreggevano con il gomito sinistro,
emergendo con il busto rivolto verso la parte alta del letto, in prossimità del
tavolo.
Alcuni cuscini erano posti alle estremità del triclinium che servivano per
salirvi sopra privi di calzari dopo essersi fatti lavare i piedi dai servi
appositamente istruiti.
La distribuzione della cena era garantita da numerosi inservienti ognuno
dei quali con incarichi specifici.
« Benvenuti! » li accolse l’Imperatore.
L’anfitrione fece strada agli ospiti verso un grande tavolo rotondo a forma
di ciambella, circondato da larghi triclini disposti a semicerchio.
Il servo nomenclator assegnava ad alta voce i posti a sedere chiamando per
nome gli invitati.
I ministratores erano addetti al servizio di tavola e curavano che non
mancasse mai il vino, l’acqua, la posateria e le vivande.
Una volta che tutti avevano preso posto, fece segno ai servi di avanzare
con l’acquamanile colmo di petali di rosa e le salviette profumate.
Non erano arrivati i primi piatti, quando furono annunciati due pretoriani.
Si trattava di Valerio e Caio.
« Già conoscete il mio comandante dei pretoriani Valerio Stazio, l’altro è
un nuovo arrivato, si tratta dì...prego presentati ai miei ospiti. »
Così Caio Semplicio si presentò da quando nacque a quando fu ferito
all’uscita del Monte Circeo.
Non proseguì oltre, dati i nostri accordi.
Caio si stese sul triclinium che gli era stato assegnato, accanto ad una
bella ragazza di nome Rea Silvia di Tarquinia.
« Ottima questa acetaria di erbe aromatiche, Caio tu non ne assaggi? »
Caio era preso ad una conversazione con Rea che nemmeno l’aveva provata.
Si precipitò a mangiarne ringraziando l’Imperatore.
Dopo per non essere più ripreso si limitò più a mangiare che a conversare.
« Gli involtini di foglie di fico sono squisiti. Una frittatina di latte,
qualche oliva per stuzzicare l’appetito e infine un buon calice di Labicano per
mandare giù il tutto. »
Il compito di mescere le bevande era affidato ai servi più giovani tra cui
non mancavano le belle ragazze che facevano uso di un misurino provvisto di un
piccolo manico chiamato cyathus, con il quale attingevano direttamente
dall’anfora.
Alle cene mancavano i vomitorium.
All’Imperatore non piaceva vedere
che un ospite non avesse gratito la sua cena vomitandola.
Quando un invitato non riusciva più a mangiare, non veniva forzato da
provocargli il vomito.
Tra gli invitati non mancavano chi si era portato due amiche, occupando il
triclinium a tre posti e facendosi imboccare ora da una, ora dall’altra.
Cosa che alle volte succedeva nel triclinium a due posti.
Dopo che i servi liberarono la mensa dagli avanzi dell’antipasto, fu
portato il primo piatto composto di: Brodo di bietole e pollo, Farinata di
pasta e latte (Pultes tractogalatae), Pasticcio di Apicio (Patinam Apicianam),
Lumache ingrassate con latte (Cocleas lacte pastas). Polpette involtate
nell’omento (Omentata ita fiunt).
Ad un tratto le luci si attenuarono e, in mezzo alle torce fiammeggianti,
apparve Nisa una danzatrice araba vestita di un peplo trasparente.
« Per digerire il primo piatto amici, accingetevi ad ammirare un numero
totalmente inedito. »
La danzatrice cominciò ad agitarsi con mosse provocanti sullo sfondo delle
fiamme, lasciando cadere i veli a uno a uno.
Frattanto un gladiatore etiope, assai possente, apparve da dietro un
tendaggio e si gettava sulla danzatrice, strappandole il residuo straccetto che
ancora le copriva i fianchi.
« Ei! Ma quelli fanno sul serio? » disse qualcuno degli ospiti
« Macché è tutta finzione! » disse qualcun altro.
Che fosse finzione o no, sembrava che il gladiatore stesse violando sul
serio la danzatrice.
An un tratto ci fu un urlo straziante e le torce si spensero.
Quando le luci si riaccesero si videro i due attori; l’etiope e la
danzatrice uno accanto all’altro, pronti a ricevere applausi e le monete che
venivano loro lanciate.
Fu poi la volta del secondo piatto: Agnello partico (Agnum particum),
Anitre con rape (Anatem ex rapis), Arrosto di coppa (Assaturas in collari),
Braciole di cinghiale (Ofellae aprugineo more), Lepre condita (Leporem
conditum), Pesce lupo al tegame (Patina de pisse lupo), Mistura di pesci:
Dentice, orata, cefalo (Patina de piscibus), Torta di acciughe fritte (Patina
de apua fricta).
Per finire, vennero i dolci: Amulum, Encytum, Savillum, Scriblita e Torta
di latte (Tyropatiam).
La cena (come al solito) finì dopo il venticinquesimo piatto, il tutto
accompagnato da musici, giocolieri e danzatrici.
Mentre gli invitati si accomiatavano, l’Imperatore si rivolse a Caio
dicendogli:
« Domani mi farai da scorta, ti
aspetto all’hora quarta. »
Dopo averlo salutato, Caio seguì il suo superiore Valerio di ritorno al
castro.
Il giorno dopo (puntuali) stavano due pretoriani di cui uno era Caio.
Accompagnato, si diresse verso il Ludus Magnus (Caserma dei gladiatori).
Era ancora presto per i turisti, così poté visionare i nuovi arrivati.
Il servo ad admissione spalancò la porta non appena uno dei pretoriani ebbe
gridato: « Aprite all’Imperatore di Roma. »
I gladiatori erano schierati secondo l’ordine: i traci armati con la parma,
il piccolo scudo rotondo, i mirmilloni dai muscoli guizzanti e abbondantemente
unti d’olio, i reziani armati di tridente e rete e tre donne.
Dopo averli passati in rassegna, l’Imperatore fece il solito discorso di
benvenuto:
« Nell’arena nessuno muore, anche se il pubblico recente arrivato penserà
il contrario. C'è un premio (in denaro) ad ogni vincitore. Ai perdenti verrà
data un’altra opportunità, dopodiché saranno mandati via o assunti ad altri
compiti meno renumerati. » rivolto ai reziani: « Il vostro compito è lottare
con le belve, anche se prima di ogni spettacolo verranno saziate
abbondantemente, restano sempre delle belve. Spetterà a voi imprigionarle nella
rete e immobilizzarle. Dovrete vare attenzione agli artigli e ai denti, siete
pagati per rischiare la vostra pelle. » rivolto alle donne: « È la prima volta
che delle donne chiedono di fare i gladiatori. Ogni domanda non viene mai
rifiutata, solo chi supererà gli allenamenti e scenderà nella arena si potrà
dire di essere un gladiatore, siano uomini che donne. Mi aspetto molto da voi,
come lo aspettano i turisti. Non lasciatevi distrarre dai turisti che verranno
a fotografare, fate in modo che oltre voi non ci sia nessuno. »
Lasciati i nuovi arrivati al lanista (responsabile) lasciò la caserma.
Il giro consueto lo portò al Circo Massimo a controllare le bighe e i
cavalli che avrebbero partecipato alle corse, poi fu a rendere omaggio al
tempio di Jupiter.
Alla domanda di Caio, rispose: « Alla Piccola Roma c’è la libertà di culto,
ognuno può adorare chi vuole. Io preferisco Jupiter perché fu grazie a lui che
finì la piaga delle invasioni. »
Vedendo la scettibilità di Caio, spiegò.
« Da quando ho cominciato a costruire questa piccola città, mi sono sempre
dovuto difendere dagli assalti di bande che mi volevano derubare. All’inizio
(quando ho potuto) ho mandato a costruire una prima muraglia e non avendo come
pagare le guardie, mi sono difeso con i cani randaggi che catturavo e lasciavo
sciolti lungo i camminamenti della muraglia. Poi ho sostituito i cani con le
prime guardie. È stata una lunga guerra fino a quando rivolsi una preghiera
rivolta a tutti i dei: cristiani e pagani. Quando lo chiesi a Jupiter lui mi
aiutò (non sò come) e le invasioni finirono. Quando mi domandavano dei vari
perché, non sapevo come rispondere, scaricavo tutto su Jupiter a cui mandai a
costruire il tempio più grande della città assumendo delle vestali per
mantenere sempre accesa la fiamma in suo onore. »
Dopo aver onorato Jupiter con delle offerte, risalì sulla biga proseguendo
il giro.
Il giro li portò vicino agli Hotel, le scuole, gli ospedali e i laboratori.
« Alla piccola Roma i turisti si sistemano negli hotel a seconda delle loro
possibilità, ci sono da tre, quattro e cinque stelle. Con il biglietto
d’ingresso, i turisti, per la durata della loro permanenza hanno diritto
all’hotel (tutto compreso), solo che: non troveranno, ne bevande inlattate, ne
liquori, ne tabacco e ne droghe. Gli hotel sono forniti di tutti i confort
moderni. Esternamente non si vede nulla, sembrano delle grandi case romane,
nell’interno è tutto moderno da rendere piacevole la loro permanenza. »
Passarono davanti alle scuole.
« Alla piccola Roma vivono molte famiglie, le quali, sia lui che lei sono
impiegati nelle varie funzioni. Queste famiglie (alle volte) hanno i figli e i
figli una volta grandi frequentano le scuole. Ci sono scuole dalla prima Elementare
all’Università. Oltre al latino (la lingua nazionale) imparano le altre lingue
più importanti per il loro futuro. Alle volte i figli non si adattano a questo
genere di vita, diverso da quello che vedono ai televisori. Quando i genitori
non li riescono a controllare, lasciano questa città e vanno a vivere fuori. I
genitori (se vogliono) possono venire a lavorare in città la mattina e la sera
tornano nelle loro case. »
Passarono davanti ad un grande ospedale.
« Dopo tanti incidenti e malattie, mandai a costruire un ospedale.
All’inizio era piccolino, poi date le esigenze si andò sempre ingrandendo. I
nostri medici curano con prodotti Omeopatici i quali fanno più bene che male.
Chiunque vive qui, può andare in ospedale a farsi curare senza spendere un
sesterzo. Alle volte vengono malati da fuori. Con le loro autombulanze possono
entrare dove entrano le macchine e i pulman, dopo sono affidati alle lettighe.
I malati se non sono allo stadio terminale, una volta guariti, tornano nelle
loro case. I malati che vengono da fuori sono paganti. Pagano a seconda delle
loro possibilità. »
Passarono poi davanti ai vari laboratori, negozi, taverne (Bar) e
ristoranti.
« Ai primi tempi, tutto quello che mi serviva lo dovevo ordinare fuori, poi
quando assunsi i vari artigiani, tutto viene fatto nell’interno; anche se la
materia prima come: il ferro, la stoffa, la creta e l’oro viene da fuori. Qui
si fa di tutto un poco. I turisti molte volte comprano i vestiti, le armi, le
ceramiche e i monili d’oro o d’argento e i nostri artigiani fanno e vendono nei
loro negozi, pagando allo Stato della piccola Roma un imposto sopra i loro
guadagni. Finora nessuno si è lamentato delle tasse. » All’hora octava (dalle 13 alle 14) con la scorta
si fermarono in una taverna-ristorante per uno spuntino: Brodo di bietole e
porri, Intingolo di capretto, delle
sogliole al tegame e una Torta di pesche il tutto annaffiato con il vino
Falernum.
Dopo il pranzo furono alle Terme e all’hora decima (dalle 15 alle 16) entrarono
nel Colosseo (non grande come l’originale) ad assistere all’arrivo ed un
combattimento di gladiatori.
Ad ogni combattimento l’Imperatore doveva essere presente per il consueto
saluto dei gladiatori: « Ave Caesar Morituri te Salutant. »
Così finì la giornata nella ricostruzione dell’antica Roma e così...finì il
sogno.
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