segunda-feira, 2 de setembro de 2013

Sogno n.74 Renault Clio (Bianchina) anno 2012


Dopo aver sognato di fare un viaggio in Costa Rica, decidemmo di andarci per davvero, partendo il 7 gennaio, via Lisbona – Newark – San Josè.
Ma non era come l’avevo sognata e quando dopo quindici giorni sprecati e tanti soldi spesi tornammo desiluditi in Portogallo
Dopo la disavventura di Costa Rica, decidemmo di fare un altro viaggio; questa volta saremmo andati a Cuba.
Dopo aver consultato la Google, circa gli eventuali viaggi per Cuba, vedemmo che se partivamo il giorno 7 di febbraio, ci saremmo andati con 432 euro a testa.
Era l’unico giorno in cui la tariffa aerea era più bassa.
Decidemmo di approfittarne.
Avendo cambiato la macchina dalla Citroen Saxon alla Renault Clio di colore bianco che volemmo chiamarla Bianchina, dopo aver chiesto il visto e fatto il biglietto, lasciammo la macchina a Lisbona, allo stesso parcheggio (gratuito) dove la notte del 6 gennaio avevamo lasciato la Citroen.
Come il giono 6 dormimmo a casa di amici e la mattina dopo con un taxi, andammo all’aereoporto e all’ora prestabilita prendemmo il volo per Madrid e da Madrid con un altro volo per l’aereoporto dell’Havana (Cuba).
Arrivammo nel tardo pomeriggio.
Dopo aver sbrigato tutte le necessità e ritirati i bagagli, ci dirigemmo verso l’uscita per prendere un taxi, che ci avrebbe condotti all’hotel prenotato.
Appena varcata la porta di uscita, vedemmo fuori, una macchina bianca.
Aveva l’aspetto della nostra Renault Clio che avevamo lasciato a Lisbona.
Per curiosità mi avvicinai all’auto.
Più mi avvicinavo e più la riconoscevo.
Aveva nei due sedili anteriori i colletti verde e giallo che era di obbligo a tutti gli automolilisti.
Controllai la targa; non era possibile 00 MP 97.
La nostra macchina.
Come era arrivata a Cuba, chi ce l’aveva portata?
Chiamai Maria e anche lei rimase sbalordita.
Gli automobilisti dietro la nostra macchina facevano sentire i loro clacsi e ci urlavano non capivamo cosa.
Senza perdere tempo, aprimmo il portabagagli e ci mettemmo le nostre valigie, salimmo e mi misi alla guida.
Automaticamente mi misi mano in tasca, la chiave era lì.
Eppure ero sicuro di averla lasciata a casa di quei amici che ci avevano ospitati.
Forse mi ero sbagliato e avevo tenuto la chiave.
Misi in moto e partii andando avanti, uscendo dalla zona, aereoporto.
Non sapevo dove andare, chiesi a Maria di guardare nella mappa (che avevamo presa al balcone del Turismo) della città, dove si trovava la Calle da Misericordia dove stava l’Hotel La Mimosa.
Maria disse che con il movimento della macchina non riusciva a trovare la strada.
Cercai un posto in cui potermi fermare e trovatolo, mi ci diressi e una volta giunto, schiacciai il pedale del freno che andò a fondo, ma la macchina non si fermò.
Che era successo? I freni non funzionavano.
Cercando di non sbattere a quella che mi stava davanti, continuai ad andare visto che, non mi potevo fermare.
A Maria non spiegai quello che era successo, ma solo di non potermi fermare.
 Doveva continuare a cercare la Calle dove dovevamo andare.
Ad un certo punto mi disse:« A destra, devi girare a destra. »
All’avvicinarmi dell’incrocio, segnalai la volontà di voler girare, ma la freccia non si accese e quando girai il volante verso destra, quello rimase bloccato e la macchina continuò ad andare avanti.
A quel punto, dovetti spiegare a mia moglie, quello che stava succedendo alla nostra macchina.
D’improvviso, dopo essere apparsa la freccia a sinistra, la macchina girò e rigirò fino a fermarsi davanti all’Hotel Saratoga (cinque stelle).
Parlando alla macchina dissi: « Guarda che questo non è l’hotel che abbiamo prenotato, il nostro è il Mimosa a tre stelle. »
Provai a rimettere in moto, ma, non successe niente, non si accendevano neanche le luci del quadro.
Fummo costretti a scendere dalla macchina, anche perché i facchini dell’hotel (senza che noi gli avessimo dato il permesso) tirarono dal portabagaglio le valigie e le portarono nell’interno.
Li seguimmo dirigendoci verso il bancone per chiarire la nostra situazione.
Ma prima di cominciare a parlare (con il nostro cattivo spagnolo), l’impiegato in perfetto italiano ci disse: « Benvenuti nel nostro hotel Signori Bianchi. »
Ci conosceva, come ci conosceva?
« Ecco qui la vostra prenotazione: Stanza 418. »
Una suite, ma chi l’aveva prenotata? e poi chissà quanto ci sarebbe costata.
I facchini ci aspettavano nell’ascensore, fummo costretti a seguirli.
Una volta lasciate le valigie in camera, loro aspettarono vicino la porta.
Che aspettavano, volevano forse la mancia?
Non avevamo cambiato gli Euro con la moneta locale, non potevo dare loro una moneta da un Euro, fui costretto a prendere il portafoglio (sperando di trovare, banconote da 5 euro), macché, le più piccole erano da 10.
Diedi una banconota ad uno di loro dicendo: « Fate metà per uno. »
Quello che aveva ricevuto la banconota, con un sorriso disse: « Muchas grazias. » e andò via, l’altro rimase dov’era; fui costretto a dare anche a lui, altri 10 euro.
« E adesso, in che guaio ci hanno messo? » dissi rivolgendomi a Maria.
« Come tu dici sempre: Non ci pensà, tira a campà. »
Facendo come diceva mia moglie, cominciai a disfare le valigie.
Dopo aver cenato al ristorante dell’hotel, tornammo alla nostra camera e ci mettemmo a letto.
La mattina dopo aver fatto colazione, uscimmo dall’hotel per andare alla ricerca di un meccanico.
Come uscimmo fuori, la nostra macchina non c’era.
Non c’era; ce l’avevano rubata?
Tornammo dentro e domandammo della nostra macchina, all’impiegato addetto alla ricezione.
Lui disse che l’avevano messa nel garage per evitare che ce la rubassero.
Come l’avevano portata, a spinta?
« No, in moto. »
« In moto, ma se ieri sera non partiva? »
Andammo nel garage e una volta salito e girata la chiave, il motore si mise in moto.
Non sapendo che pesci pigliare, dissi a Maria di salire che avremmo fatto un giro.
Avendo la mappa della città decidimmo di andare un pó in giro.
Come successe il giorno prima, la macchina non rispondeva ai miei comandi, tanto che alla fine dissi: « Non sò che sta accadendo con questa macchina, sembra che abbia un cervello e vuole fare quello che vuole lei e non quello che voglio io. »
Allontanando le mani dal volante dissi: « Va bene fai quello che vuoi, basta che non provochi incidenti. Una cosa solo vorrei..., andare a vedere i monumenti. »
La macchina riprese ad andare e quando c’era qualcosa da vedere, si fermava e restava lì ad aspettarci, fino a quando tornavamo e risalivamo sopra.
Una volta che c’eravamo intrufolati per i vari vicoletti e scalinate, all’arrivo ad una piazza vedemmo la nostra macchina ad aspettarci.
Ad Havana faceva caldo e noi (come tanti turisti) stavamo in pantaloncini, una maglietta o una camicia a mezze maniche.
Nella nostra stanza (con l’aria condizionata), dopo la doccia, non ci preoccupavamo di coprire la nostra nudità perché le tende ci isolavano dagli sguardi indiscreti.
Passando davanti alla porta d’ingresso ebbi l’impressione che qualcuno mi stesse guardando dallo spioncino.
Facendo finta di niente mi diressi verso l’armadio e da lì chiamai. Maria.
Come lei apparve, di colpo aprii la porta, sorprendendo un ragazzo dell’hotel che sicuramente stava sbirciando, il quale sorpreso sul fatto, si allontanò velocemente.
Dopo aver indossato un pantaloncino, uscii dalla stanza e chiudendo la porta, guardai dallo spioncino.
Si vedeva benissimo l’interno della nostra stanza.
Bussando mi feci riaprire.
Una volta dentro dissi: « A moré, lo spioncino sta montato all’incontrario, non siamo noi a vedere chi bussa, ma chi sta di fuori. Adesso mi sentirà il Direttore dell’hotel. »
Frettolosamente mi vestii e con un diavolo per capello scesi alla recezione chiedendo all’addetto clienti, di chiamarmi il responsabile dell’hotel.
« Cosa posso fare per lei? »
Furioso dissi: « Non ha capito bene? Mi deve chiamare il responsabile dell’hotel. »
« Ma, ma, è successo qualcosa? »
« Se non mi chiama il responsabile dell’hotel, faccio scoppiare uno scandalo. »
Le persone in attesa, mi guardarono perplessi, parlando tra loro.
Dopo che l’impiegato ebbe telefonato a qualcuno, apparve un signore ben vestito, che chiese: « Chi ha chiesto di me? »
« Io » risposi.
« Che c’è di tanto importante da scomodarmi durante una riunione? »
« Venga con me, che le faccio vedere di che si tratta. » e mi diressi verso l’ascensore.
Arrivato davanti alla stanza n.418 dissi al responsabile di guardare dallo spioncino.
Dopo averlo fatto, disse: « Ma questo è montato nel senso contrario. »
Detto questo gli indicai le altre stanze.
Cosa che lui fece, constatando che anche gli altri erano voltati al contrario.
« Me ne sono accorto questa mattina, quando sorpresi un ragazzo addetto al facchinaggio a sbirciare dallo spioncino. »
« Manderò un tecnico a sistemare tutti i spioncini. »
« No! Lei non farà un bel niente, quello che farà qualcosa sarò io; andrò alla Polizia e presenterò una denuncia contro il suo hotel. »
« No! Non faccia questo, se lo farà mi faranno chiudere e questa è la stagione alta, sarà la mia rovina. »
« E, sarà bene, questo non è un hotel a cinque stelle, ma un casino a cinque stelle. »
« Mi dica quello che vuole, ma non vada alla polizia. »
« Non andrò alla polizia, ma lascerò l’hotel senza pagare un centavos. Se non modificherà gli spioncini e punire il guardone, ci penserà qualcun altro ad andare alla polizia. »
Rientrato in camera dissi a Maria di preparare le valigie che andavamo via senza pagare un centavos.
Caricate le valigie nel portabagagli e saliti in macchina, dissi: « Portaci a Varadero o qualche altro posto di mare. »
La macchina partì e dopo aver lasciato la città si immise in una autostrada.
Nell’autostrada ci successero due cose.
La prima fu un camion che ci voleva tamponare.
Dal tubo di scappamento uscì un fumo nero che si andò ad appiccicarsi sul vetro del camion difficoltandogli la visibilità.
La seconda fu un pulman che sorpassammo.
Al sorpassarlo, Maria vide che le persone che stavano nei finestrini del lato sinistro ci salutavano.
Dopo aver sorpassato il pulman ci fermammo al caffè di una stazione di servizio.
Quando scendemmo dall’auto vedemmo delle bandiere portoghese e italiane al finestrino posteriore destro e al lunotto.
Doveva essere un pulman che portava dei turisti portoghesi e italiani.
Dopo aver lasciato l’autostrada, ci immettemmo in una strada che  costeggiava il mare.
Era una strada fatta con tante curve, alcune delle quali a strapiombo.
Noi non andavamo molto forte, ma c’era chi lo faceva.
Ad una data altura, una macchina che stavamo sorpassando, girando il volante verso sinistra e urtandoci ci spinse verso un precipizio che si incontrava in una curva alla quale noi dovevamo spostarci verso destra.
La nostra macchina accellerò e uscendo con le due ruote di sinistra dalla strada, fece la curva riportandosi sulla carreggiata, cosa che non fece l’altra macchina che precipitò di sotto.
Non ci fermammo a vedere cosa era successo agli occupanti dell’altra macchina e poco dopo costeggiavamo una zona di spiagge.
Quando ci fu uno spazio tra gli alberi che fiancheggiavano la strada, la macchina ci s’infinò e poco dopo si fermò dove la sabbia era più dura.
Quando scendemmo, delle persone si avvicinarono a noi domandandoci come avevamo fatto ad arrivare fino a lì.
Guardando i solchi che avevano lasciato le ruote e risalendolo sguardo verso la strada
vidi una scarpata e mi domandai a me stesso: « Come aveva fatto la macchina a scendere quella scarpata. »
Facendo finta di non capire quello che dicevano ci spogliammo e indossati i costumi, facemmo una corsa e ci tuffammo in acqua.
Quando mi tuffai sentii una gran botta alla testa.
Aprendo gli occhi non mi trovavo in una spiaggia di Cuba, ma in terra del mio letto.



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