Un giorno fui chiamato per risolvere il problema
di una donna (certamente impazzita), minacciava di far saltare in aria
l’appartamento dove abitava e l’intero palazzo se non venivano esaudite le sue
richieste.
A nulla erano valse le proposte fattale.
Le risposte erano sempre le stesse: « O mi date
quello che ho chiesto o faccio saltare tutto il palazzo. »
Mi informai di quali erano le richieste parlando
con l’amministratore responsabile dell’edificio.
La pazza (così era definita) voleva:
L’elettricità, il gas, l’acqua, la pasta e il pane.
L’mministratore diceva che erano mesi che non
pagava più niente, tanto che per mandarla via, gli avevano tolto la corrente,
il gas e l’acqua.
Ma quella invece di andare via, minacciava di far
saltare tutto il palazzo.
Chiesi come poteva far saltare il fabbricato.
Mi fu detto che aveva cinque bombole di gas, le
aveva fatte vedere per fare capire che non scherzava.
Decisi di parlare con quella donna.
Mi portai nei pressi del fabbricato e parlando con
il megafono dissi: « Sono l’ispettore Alfredo Memo, vorrei parlare con voi,
sono disarmato e vorrei trovare con voi, un accordo. »
Da una seranda un poco alzata rispose la donna: «
Venite pure e niente scherzi se non volete morire con me e tutti quelli che
abitano nel palazzo. »
Non sapeva che tutti gli abitanti erano stati
convinti a lasciare i loro appartamenti per non rischiare di morire.
Tenendo le mani alzate mi diressi verso l’entrata
dell’appartamento la cui porta si trovava dischiusa.
« Siete solo? Se mi accorgo che c’è qualcun altro,
faccio saltare tutto. »
« State tranquella, sono solo. »
Entrai e chiusi la porta, come mi fu detto.
L’interno era al buio, tanto che dopo aver chiesto
il permesso, accesi la torcia elettrica che avevo con me.
Diressi la luce dove proveniva la voce e vidi una
donna accanto ad una bombola di gas con una mano alla manopola di apertura e
con l’altra un accendino pronto a scoccare la scintilla che avrebbe incendiato
il gas provocando l’esplosione.
La donna era in uno stato scheletrico, chissà da
quando non mangiava.
Cominciammo cominciammo a parlare delle sue
richieste.
La donna faceva fatica a parlare, ad un dato punto
lasciò cadere l’accendino e svenne.
Dopo aver chiamato una autombulanza, andai a sollevare
le serande facendo entrare aria e la luce del giorno.
Quell’appartamento era diventato un porcile da
quando avevano tolto l’acqua; non potendo far defluire gli escrementi dal
water, aveva sporcato ovunque si trovava.
Quella donna si trovava in uno stato pietoso, oltre che
sporca era pelle e ossa dalla mancanza di cibo.
Una volta giunta l’autombulanza, due infermieri
facenzo smorfie di disgusto, la misero nella lettiga e la portarono in ospedale.
Tutto si era risolto senza danni, anche perché le
bombole erano vuote e tutti poterono tornare nei rispettivi appartamenti.
Il giorno dopo l’andai a trovare, era con la flebo
al braccio, non avendo la forza di mangiare, veniva nutrita tramite la flebo.
Ci guardammo, fece un mesto sorriso e io le
strinsi la mano.
« La verrò a trovare tutti i giorni e quando starete
meglio parleremo, certamente avrete tante cose da dirmi.
Alla donna scorsero le lacrime lungo il viso da un
pianto silenzioso.
Una settimana dopo, seduti in una panchina nel
parco dell’ospedale, la donna cominciò a raccontarmi la storia della sua vita.
« Mi chiamo Luisa Ricci sono vedova di un
commerciante olandese di nome Koen van Ritters.
Van Ritters lo conobbi quando avevo sedici anni e
studiavo all’Accademia delle Belle Arti.
Mio padre Andrea, me lo presentò quando si trovava
a Roma per acquistare particolari quadri da esporre e vendere nelle sue
gallerie in Olanda.
Al mio defunto marito piaceva la tecnica di mio
padre, tanto che comprò tutti i quadri da lui dipinti.
In quel periodo non lo conoscevo bene, poi quando
lo conobbi meglio, seppi che a lui interessevano più le donne, che i quadri.
A mio padre piaceva Ritters, tanto che dopo un pó
divennero amici.
Ogni volta che veniva a Roma, non mancava di
visitarci ed era ospite a cena nella nostra casa.
Un giorno mentre Ritters era assente, mio padre mi
disse cosa voleva da lui van Ritters.
Voleva che lui, nei suoi quadri, ci mettesse delle
scene erotiche, dicendo che in Olanda l’erotismo andava di moda.
Mio padre non voleva farlo e Ritters non comprò più
tanti quadri, fino a quando raggiunsero un accordo.
Mio padre faceva spesso degli scorci italiani, in
particolare quelli di Roma, a detta di Ritters mio padre doveva lasciare
incompleti i quadri, un altro pittore ci avrebbe messo delle scene erotiche.
Mio padre non sapeva cosa fare, d’altra parte
l’intervento di Rutters lo aveva tolto da una cattiva situazione.
A Roma c’erano tanti pittori e ognuno faceva
concorrenza agli altri pittori, così i turisti per di più compravano i quadri
meno cari e se non fosse stato per Ritters, avrebbe dovuto trovarsi un altro
lavoro.
Un giorno uscendo da scuola, trovai il signor Rutters
ad attendermi con la macchina, mi disse che lo mandava mio padre.
Salii in macchina e una volta lontani dalla
scuola, invece di dirigersi verso la casa dove abitavo, prese la strada che
portava fuori città.
Una volta giunto lontano dalle abitazioni, fermò
la macchina e mi domandò se a scuola mi insegnavano a disegnare dei nudi.
Non potei negarlo e lui tirando un albuma dal
cruscotto, me lo porse dicendo di aprirlo.
Alla prima immagine, divenni rossa di vergogna, lo
richiusi subito restituendolo al signor Rutters.
Lui non prendendolo, mi disse: « Quello che hai
visto, non è una fotografia, ma la copia di un dipinto di un celebre pittore,
non c’è nulla di male se tu copi qualche immagine e la dipingi sui quadri di
tuo padre. Se tu vuoi bene a tuo padre devi farlo: per lui e per me. Ora tieni
l’album e guardalo con calma, quando ci avrai fatto l’abitudine a vedere quelle
scene, non ti sarà difficile rifarle a tuo piacere. »
Rimise in moto e poco dopo si fermò vicino casa.
A mio padre, per il ritardo, inventò la scusa di
un foro ad una gomma, che io confermai.
Senza farmene accorgere, andai nella mia cameretta
e nascosi l’album in un cassetto.
Quando andai a letto, ripensai all’album e alla
scena che avevo visto, anche se di sfuggita.
Non ebbi il coraggio di andarlo a prendere e di
notte non riuscii a prendere sonno, al pensiero di quelle persone che avevano
posato al pittore che le dipingeva, nella posizione in cui stavano.
Un giorno dopo l’altro, una notte dopo l’altra,
quel pensiero non mi lasciava, tanto che, ero sempre distratta, sia a scuola,
che a casa.
Fino a che non ce la feci più e, una notte lo
andai a prendere e cominciai a sfogliarlo.
Prima velocemente, poi soffermandomi sulle
immagini.
Vedendo le immagini delle donne, pensavo: « Se
quella donna ero io e quell’uomo il signor Rutters? »
Scacciai lontano quel pensiero peccaminoso,
pregando il Signore di tenermi lontana da quelle cattive tentazioni.
Un altro giorno fuori dalla scuola, c’era di nuovo
il signor Rutters ad attendermi.
Di certo lo aveva mandato mio padre a prendermi.
Una volta saliti in macchina, lui non andò fuori
città, ma si incamminò al passo della lumaca, nonostante le proteste degli
altri automobilisti.
Mentre eravamo in viaggio, Rutters mi disse: « Hai
avuto abbastanza tempo per vedere l’album che ti ho lasciato, non negare di non
averlo guardato, te lo leggo negli occhi, da domani andrai in un altro studio
che ho affittato e dipingerai delle scene sui quadri che troverai.
Il giorno dopo e tanti altri giorni, c’era ad
aspettarmi il signor Rutters che mi accompagnava allo studio e mi controllava
mentre dipingevo, dandomi spesso dei consigli.
In un anno dipinsi tante scene erotiche, che il
sesso non mi fece più effetto.
Dopo un anno, avevo imparato tutto e potevo
dipingere quelle scene sui quadri di mio padre.
Una sera tornando da scuola, passai dallo studio
di mio padre, lo trovai immerso nel lavoro, disse che sarebbe tornato tardi a
casa, di dirlo alla mamma.
Quando entrai in casa non vidi mia madre, l’andai
a cercare e quando passai davanti alla camera dei miei genitori sentii la voce
di un uomo.
Non la riconobbi, ma quando aprii la porta vidi
Ritters sopra mia madre a fare quello che di solito faceva mio padre.
La luce del comodino era accesa, mia madre non
mivide perche aveva il viso voltato dalla parte opposta alla porta, mentre
Ritters mi vide e mi sorrise.
Riaccostai la porta e mi andai a chiudere nella
mia cameretta.
Non dissi niente a mio padre, essendo di origine
calabrese, chissà cosa avrebbe fatto a Ritters e a mia madre.
Quando uscivo di scuola, prima guardavo se c’era
Ritters, se c’era, rientravo e uscivo solo quando non c’era nessuno e il
custode doveva chiudere la scuola.
Riuscii a farla franca diverse volte.
Una sera mentre eravamo allo studio a dipingere,
Ritters cercò di mettermi le mani addosso, mi opposi dicendogli: « Quello che
volete farmi è peccato, io sono una ragazza seria e a detta di mia madre, mi
devo mantenere vergine fino al matrimonio.»
« Non ho capito bene, non vuoi dire che sei ancora
vergine? »
Non risposi, mi limitai ad abbassare la testa su e
giù.
« È da non crederci, una ragazza come te, a
quest’ora chissà quanti ragazzi avrebbe avuto, non sai cosa hai perso. »
« Mia madre mi ha sempre detto che una ragazza che
perde la verginità prima del matrimonio, non trova marito e se lo trovasse e
lui vede che non è vergine, la ripudia e annulla il matrimonio. »
« Solo in Italia succedono queste cose, in Olanda
più una ragazza ha fatto esperienza più è apprezzata.Vorrà dire che chiederò la
tua mano ai tuoi genitori, intanto lo chiedo a te. »
Mettendosi in ginocchio davanti a me disse: « Vuoi
tu Luisa Ricci prendere il qui presente Koen van Ritters vedovo e ricchissimo
commerciante olandese di Amsterdam. Giuro di amarti per tutta la vita e farti
felice. Non rispondere subito, pensaci, pensaci bene, un uomo come me è
difficile da trovare. »
« Può darsi, il fatto pure è che il signore è
molto più grande di me, potrebbe essere mio padre. »
« Trent’anni ti paiono tanti, ma tu non conosci
gli olandesi, anche quando hanno novant’anni riescono sempre a soddisfare le
donne. »
« Sarà ma ora non ci voglio pensare, d’altra
parte, mi ha portato qui per lavorare, non per fare altro. »
« Hai ragione, scusami, non sò cosa mi è successo,
da quando ti ho visto, non ho smesso di pensare, chissà come sarebbe bene farlo
con te? »
« Nel frattempo non hai perso tempo per farlo con
mia madre. »
« La colpa non è mia, la colpa è di tua madre, è
stata lei a tentarmi e io da buon olandese, non l’ho voluta disilluderla. »
« Sarà! Ma non ci credo. »
« Te lo giuro è stata colpa sua, ti prometto di
non farlo più, mi conserverò fino al matrimonio, sempre se mi vorrai sposare.
Ora ti lascio lavorare, me ne andrò in albergo a sognarti. »
Andò via, sono sicura che è andato a casa mia a
rifarsi con mia madre.
Da quella sera oltre a subire la corte di Ritters,
mi dovevo sentire i consigli di mia madre.
Due mesi dopo quella sera, tornando dall’Olanda portò
un anello con un diamante grosso come un pisello e durante la cena chiese hai
miei genitori la mia mano.
Mio padre che aveva dovuto subire la pressante
pressione di mia madre e quella di Ritters, non poté fare a meno e concedere a
Ritters la mia mano, considerandoci ufficialmente fidanzati.
In attesa delle carte per il matrimonio, Ritters
si sentì autorizzato a farmi delle avanz.
Ma io non mi lasciai toccare.
Un mese prima di sposarci, Ritters invitó tutta la
famiglia a fare un viaggio in Olanda per conoscere la sua terra e i suoi
possedimenti.
Mio padre, per causa del lavoro non poté andare,
così ci andammo solo io e mia madre.
Ogni volta che ci fermavamo in un hotel, Ritters
prendeva tre camere.
Alla mia osservazione: « Perché tre camere, io
posso dormire con mia madre? »
« In questo modo ognuno non avendo il modo di
chiacchierare, si addormenterà subito e sarà riposato per la ripresa del
viaggio. »
Non ci volli credere, ma non lo dissi, certamente
Ritters sarebbe andato nella camera di mia madre o lei nella sua.
Il viaggio durò 15 giorni e fu molto interessante.
Conobbi anche la casa dove avrei vissuto da
sposata; era piena di personale di servizio.
Il 15 maggio ci sposammo.
Fu una grande festa in cui tutti i miei parenti si
complimentarono con me per la scelta fatta.
La prima notte la passammo a casa dei miei
genitori perché la festa si era prolungata sino a dopo la mezzanotte.
Quella notte Ritters non mi prese dicendo che era
stanco.
La mattina dopo aver fatto colazione, andammo
all’aereoporto e prendemmo il volo per Parigi.
Prendemmo alloggio nell’hotel più caro di Parigi.
La prima notte fu molto delicato.
Prima però volle che prendessi la pillola, non
voleva che restassi incinta subito, ma solo quando decideva lui.
A Parigi mi portò a vedere delle gallerie, specie
quelle in cui si vedevano dei nudi o
scene erotiche.
Una volta mi portò a teatro, andava in scena un
matrimonio e la prima notte, con tutti i particolari.
Una volta tornati nell’hotel volle rifare quella
scena, ma io gli impedii di andare oltre.
Una mattina mi disse di prepararmi perché doveva
tornare in Olanda, i suoi affari lo chiamavano in patria.
Durante il viaggio mi delucidò sul modo di
comportarmi per non fare brutte figure.
Il suo palazzetto lo conoscevo bene, così non ci
fu bisogno di mostrarmelo.
La nostra vita cominciò come tutte le coppie
recenti sposate, solo che alle volte di giorno usciva e tornava tardi, alle
volte, un pó alticcio.
Non sempre era all’altezza di quello che aveva
detto prima del matrimonio.
Cominciò a trascurarmi sessualmente.
Mi lamentai e lui risolse la situazione,
presentandomi Lionel.
Fu durante una cena, a tavola c’era un uomo
giovane, poco piì di un ragazzo.
« Ti presento mio nipote Lionel. Lionel farà
quello che alle volte non riesco a fare. »
« Non ho capito bene, vorresti che facessi quello
che noi facciamo a letto, per caso sei impazzito? »
« Quando da Parigi tornavamo per l’Olanda ti avevo
detto che ti saresti dovuta abituare al modo di vivere degli olandesi, questo è
uno dei modi. »
Non potevo crederci.
Una volta finita la cena io e mio marito andammo a
letto.
A letto non mi lasciò dormire; non per quello che
fece ma per quello che disse.
« Allora sei d’accordo? »
Non gli risposi facendo finta di essermi
addormentata.
La mattina dopo, al letto c’ero solo io.
Mi alzai e mi andai a fare il bagno.
Quando scesi per la colazione, trovai Ritters e
Lionel a mangiare e parlare tra loro.
« Di che state parlando? »
« Stavo dicendo che devo partire a fare compere
per i miei negozzi, lascio Lionel a sostituirmi, sarai a sua completa
disposizione.»
Continuavo a non volerci credere.
« Mi raccomando, comportatevi bene e non
concedergli quello che non hai concesso a me. »
Poco dopo sentii la macchina di Ritters partire e
mi ritrovai a fare i conti con Lionel.
« Bene bene! Come hai sentito, durante la sua
assenza lo sostituisco come se invece di essere tuo nipote, fossi tuo marito. »
Volevo rifiutarmi ma poi pensandoci bene Lionel
era poco più grande di me e avendo l’autorizzazione di mio marito, quello che
avrei fatto con Lionel non sarebbe stato tradimento nei riguardi di mio marito.
Tanto per cominciare: dovevo essere sempre pronta
ogni volta che lui voleva e...Lionel lo voleva spesso, e sempre quando meno me
lo aspettavo.
Alle volte lo faceva anche davanti alla servitù
che però sembrava non farci caso, come se noi non esistessimo. Ritters aveva voluto che apprendessi a
fate degli auto-ritratti, aiutandomi con degli
specchi.
Quando ero riuscita a ritrarmi, volle che mi
dipingessi mentre facevamo l’amore.
Non era facile, riuscivo a fare un abbozzo che poi
rifinivo senza di lui.
Lionel, facendomi capire che sostituiva suo zio,
mi faceva dipingere mentre mi prendeva o io prendevo lui.
Un mese dopo tornò mio marito e Lionel fu mandato
via.
« Spero che ti sia divertita con Lionel. »
Aspettando una risposta, dovetti rispondere di si.
Una sera andammo a trovare un suo amico Giudice,
il quale ci invitò di rimanere a cena.
La cena si protrasse fino a tardi e dato che mio
marito aveva bevuto un pó troppo, non volle ricondurmi a casa e chiese
ospitalità per la notte.
La moglie del giudice ci mostrò la camera e mio
marito mi disse di prepararmi che veniva dopo.
Ma lui non venne, venne il giudice.
Avendo saputo da mio marito che era usanza in
Olanda scambiarsi le mogli, feci buon viso a cattivo gioco.
Lasciai che il giudice mi prendesse, ma quando
cercò di mettermelo nell’ano, mi opposi
Mi opposi con tutte le mie forze, con schiaffi,
pugni e graffi, alla fine fu il giudice a desistere e lasciarmi dormire in
pace.
La mattina dopo Ritters non mi rivolse la parola
tutto il giorno.
La sera dopo cena, quando stavamo in camera, mi
disse di seguirlo.
Mi volli mettere una vestaglia ma, lui disse di
seguirlo così come mi trovavo.
Uscimmo nel corridoio e ci dirigemmo verso una
stanza situata in fondo al corridoio.
Arrivati davanti alla porta, mi disse che quella
era la stanza del tesoro, dove lui conservava tutte le sue ricchezze.
Una volta aperta la porta, mi spinse dentro e
potei costatare che...non era la stanza del tesoro, ma quella della tortura.
Nella stanza oltre a tanti attrezzi di torturam
c’era un cavalletto; era un cavalletto dove anticamente ci mettevano i
malfattori per le fusigazioni.
Volevo tornare indietro ma, venni afferrata da due
uomini incapucciati che; uina volta toltami la camicia da notte, mi costrisero
a stendermi sul cavalletto e mentre mi tenevano, mio marito e il giudice, mi
legarono i piedi ai due piedi del cavalletto.
Una volta legate le gambe, fu la volta delle mani.
Ero bloccata e non mi potevo muovermi.
Ritters mi venne davanti e mi disse: « Per esserti
rifiutata ai piaceri del mio amico giudice, sei condannata a ricevere venti
colpi di frusta. »
« Non mi sono rifiutata, ho fatto tutto quello che
mi chiedeva, meno, riceverlo nell’ano. »
« Questo non toglie che dovrai sottostare alla
punizione. »
Lo vidi dirigersi verso la parete di fronte, dove
mi voltò le spalle w prese qualcosa, poi si girò di nuovo.
Nella mano destra era apparsa una frusta.
Cominciai a piangere, cercando di liberarmi delle
corde, ma, invano.
« Venti colpi », disse con voce dura e fredda di
un estraneo. « E tu li conterai a uno a uno e vedi di contarli bene, sennò
aumenteranno. »
Lui tagliò l’aria con la frusta, chiusi gli occhi,
irrigidendo i muscoli, ciò nonostante il dolore fu superiore alle mie
aspettative che mi strappò un alto grido.
« Conta! » mi ordinò Ritters.
Ubbidii mentre mi tremavano le labbra.
« Uno! » strillai.
La tortura continuò senza tregua, finché non
svenni.
Ritters senzaltro mi mise sotto il naso qualcosa
che mi fece riprendere i sensi e la tortura continuò.
« Conta! » ripresi a contare fino ad arrivare al
numero venti.
Pensavo che fosse finita e che mi avrebbero
sciolto, invece non era ancora finita.
Finì quando tutti e due mi sodomizzarono.
Quando tutto finì, mi fece sciogliere e
avvolgendomi con una coperta mi portò nella nostra camera, lasciandomi sul
letto a singhiozzare.
Dopo avermi lasciata, mi alzai e a fatica mi
tracinai verso il bagno e sedendomi sul water a defecare, oltre alle feci,
uscirono i lori umori e molto sangue.
Quella notte Ritters non dormì con me.
Per quello che mi aveva fatto, giurai di
vendicarmi.
La mia vendetta cominciò per non partecipare
spontaneamente agli incontri amorosi, rimanendo ferma come se fossi una
bambola.
Questo fece arrabbiare Ritters che mi minacciò di
riportarmi sul cavalletto.
Gli risposi: « Puoi colpire il mio corpo, non il
mio spirito. »
Vedendo che le minacce e le punizioni non davano
risultato mi lasciò in pace; non prima di possedermi e dicendomi di dargli un
figlio.
Un altro fattore che fece aumentare la mia sede di
vendetta, fu quando non ricevendo notizie dei miei genitori a cui telefonavo
ogni settimana, seppi dalla vicina di casa che, mio padre aveva ucciso mia
madre e poi si era suicitato.
La polizia trovò delle foto pornografiche in cui
ritraeva mia madre con un uomo.
Immaginai chi era quell’uomo e quando chiesi a
Ritters se aveva mandato le foto del nostro viaggio di nozze, rispose di si.
Durante una sua assenza, rovistai il suo studio,
fino a trovare le foto del nostro viaggio di nozze.
Le foto che Ritters aveva mandato erano quelle che
fece o si fece tirare durante la nostra prima visita in Olanda con mia madre.
Alla prima occasione, uscii di casa e procurandomi
un medico chirurgo e facendo capire che ero una prostituta italiana, mi feci
operare, facendomi levare tutto quello che mi poteva mettere incinta.
I mesi passarono e quando Ritters vide che la mia
pancia non si gonfiava, mi portò da un medico (suo amico) il quale gli disse
che mi ero fatta operare e non potevo più rimanere incinta.
Tornati a casa mi portò nella stanza della tortura
e dopo avermi fatta legare nel cavalletto mi frustò fino a quando non gli
rivelai il nome del medico che mi aveva operato.
Il medico qualche giorno dopo fu trovato morto
affogato in un canale.
Il mio calvario durò fino a quando Lionel che da
tempo mi aveva detto di non essere il nipote di mio marito ma il figlio.
Figlio della prima moglie che era morta dopo tanti
maltrattamenti.
Lionel si offrì di liberarmi di mio marito, in
cambio voleva che firmassi una carta nella quale dichiaravo di non voler nulla
di quello che apparteneva a mio marito.
Questo dopo l’assicurazione di ricevere una forte
somma, che mi avrebbe permesso di vivere tanti anni senza problemi economici.
Accettai.
Mentre mio marito era assente, insieme a Lionel
andammo da un notaio par fare registrare il nostro accordo.
Quando tornò mio marito, fu invitato ad una
battuta di caccia e Ritters subì un incidente; rimase ucciso involontariamente
da un altro cacciatore.
Come promesso, furono depositate su un mio conto
bancario in Italia una grossa somma.
Con quei soldi affittai l’appartamento e cominciai
a vivere come sempre avevo desideravo.
Quando volevo un uomo, lo pagavo.
In quel modo di vivere, i soldi fanno presto a
finire.
Ripresi a dipingere.
Per un pó riuscii a vendere i miei quadri, poi mi
dovetti prostituire.
Una prostituta senza protettore o ruffiano, non
sempre è pagata.
Alla fine dopo essermi venduto tutto quello che
possedevo, ho fatto quel gesto disperato. »
Dopo averla ascoltata a lungo, ebbi pena di quella
poveraccia, promettendogli che mi sarei occupato del suo caso, facendo aprire
l’indagine sulla morte di mio marito e se tutto andava bene, Lionel sarebbe
andato in galera e lei sarebbe entrata in possesso dei beni di suo marito.
Poi mi sono svegliato.
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