quarta-feira, 4 de setembro de 2013

Sogno n.87 Viaggio a Machu Picchu anno 2013


Sempre ho sognato (ad occhi aperti) di viaggiare per il mondo, alla ricerca della presenza (anche non fisica) degli extraterrestri, forse perché...in fondo, in fondo mi sono sempre sentito un pò extraterrestre.
Uno dei luoghi che più mi attirava era il Perù.
Il Perù mostra in modo inequivocabile la presenza (passata) degli extraterrestri, specie dai disegni che si vedono solo dall’alto (in aereo).
Tanto feci, tanto feci che avuti un pò di soldi, decisi di andarci.
Mia moglie mi avrebbe accompagnato fino a Lima, poi sarebbe lì rimasta con una amica che anche lei soffriva per le altitudine.
Il periodo consigliatoci era il mese di Settembre.
Decidemmo di partire il 5 per festeggiare a Lima, il nostro anniversario di matrimonio che è il 7 settembre.
Per tale occasione, mi ero documentato sul Perù, dei posti da visitare e del modo di parlare dei peruviani.
Sapevo che il Perù come molti Paesi dell’America Latina (a partire dal Messico ) erano stati conquistati dai spagnoli e che avevano imposto alle popolazioni locali di parlare la loro lingua, ma...in fondo in fondo, c’era ancora chi parlava il quechua.
Purtroppo con c’era un dizionario di questa lingua, ricorrei alla Google e dopo tante ricerche trovai qualcosa.
Trascrissi tutto quello che c’era e che mi poteva servire una volta arrivato in Perù.
Preparai dieci sacchetti dei miei biscotti chiamati Ferratelle che avrei regalato ai bambini che avrei incontrato nel mio viaggio.
Partimmo da Lisbona alle 19,50 e atterrammo a Madrid alle 22,15.
Da Madrid alle ore 23,55 partimmo e alle ore 11,25 atterrammo all’aereoporto di Lima.
Avendo passato la notte a dormire, fui svegliato dal vocio degli eccitatissimi turisti inglesi seduti nella fila di dietro.
Per di più l’interfono gracchiò, poi si udì la voce del capitano che disse, nelle varie lingue (meno l’italiano):« Per evitare delle turbolenze, l’aereo ha subito una lieve deviazione di rotta sulla parte settentrionale del Perù, in questo momento stiamo sorvolando l’introterra, vi consiglio di guardare dai finestrini. Entro mezza ora atterreremo a Lima. »
Sollevai la tendina dell’oblò alla mia sinistra e sotto l’aereo vidi uno spettacolo impressionante.
Guardai giù, mi parve di vedere una forma appiattita sul terreno, sembrava la figura di un grosso uccello.
Poco più avanti c’erano altri disegni: un pesce, un condor, un ragno, una scimmia.
Scossi il braccio di mia moglie che stava ancora a dormire, svegliandola.
« Devi vedere una cosa, cosa diavolo sono quei disegni tracciati sul terreno? »
Mia moglie guardò, poi andò  a  svegliare  la  nostra  amica (Conceiçao Pedro e insieme guardarono, lanciando delle acute escamazioni (degne delle donne).
Nel sedile accanto al corridoio, c’era un signore peruviano (ce lo disse lui) che non aveva potuto fare a meno di ascoltare le esclamazioni e in spagnolo-italiano spiegò: « Quelle solo le famose linee di Nazca. Benvenuti in Perù. »
« Le linee di Nazca? Non ne ho mai sentito parlare. »
Volli saperne di più.
« Come è possibile che siano visibili da quassù? Devono essere sconfinate! Solo quelle linee rette saranno lunghe quasi un chilometro! E sono così diritte! »
I peruviano sorrise, con gli occhi che gli brillavano nel sole del mattino che entrava dagli oblò.
« Sono anche più lunghe. Raggiungono un’estensione di sette chilometri e mezzo e sono perfettamente diritte. Superano colline, attraversano gole e canali, senza mai deviare di un millimetro. »
« Ma a cosa servono, chi le ha tracciate? Non certo dall’uomo primitivo! »
« Evidentemente è la prima volta che venite in Perù, dovrete abituarvi a sentirne parlare durante il vostro soggiorno, ma temo che nessuno sappia rispondere alle vostre domande, secondo me! Sono state fatte dalla gente che è venuta prima dell’uomo primitivo. »
« Volete dire che sono stati gli extraterrestri? »
« Chissà? »
« Grazie. Un’ultima domanda. Come mai lei parla bene l’italiano? »
« Sono un professore di Storia Antica e viaggio molto, sono stato anche in Italia per 4 anni. Sono partito da Roma dove insegno e vado a stare un pò con la mia famiglia. E, lei di dove è? Con me parla italiano, con le sue compagna, una lingua che non conosco. »
« Io sono italiano, mia moglie e la nostra amica sono portoghese. »
« Cosa vi ha spinto a visitare il mio paese? »
« Io sono alla ricerca del mio passato, mia moglie ha voluto accompagnarmi e con il fatto che soffre l’altitudine, ha invitato una sua amica a venire con noi. Loro resteranno a Lima, alloggiando all’Hotel Ibis di Miraflores, mentre io cercherò di raggiungere Machu Picchu. »
« Lei dice che è alla ricerca del suo passato, è forse peruviano? »
« Non lo sò, sento di non appartenere al mondo dei terrestri ma a quello extraterrestre. Non sento la nostalgia del luogo dove sono nato, ne di quello dove ho vissuto. »
« Stiamo atterrando, mi farebbe piacere conversare ancora con lei. Resterò in Perù tre mesi, abito a Cusco (nome spagnolo) e Cuzco (nome Incas). Per andare a Machu Pichu dovrà passare per Cusco, spero di rivederci. »
Ci scambiammo i biglietti da visita e poi aiutai mia moglie con le mini valigie a scendere dall’aereo.
Dopo aver risolto il controllo doganale, uscimmo dall’aereoporto prendendo la macchina che l’hotel ci aveva mandato.
Era una macchina gialla spaziosa e confortevole, in stile americano, guidata da un tizio dall’aria cordiale che aveva poco più di vent’anni.
Dopo averci scambiati i saluti, il conducente sorrise e accese il motore. L’auto si mosse e si immise sulla sporca e trafficata strada principale che conduceva al centro di Lima.
Man mano che ci allontanavamo dalla zona dell’aereoporto, gli edifici che costeggiavano la strada divenivano sempre più malandati.
Intorno a noi, si estendeva la baraccopoli della periferia della capitale peruviana.
« Così, queste sarebbero le famose baraccopoli del Sudamerica. » pensai.
Il centro era un pò più diverso; tra un fabbricato fatiscente, c’era uno ultramoderno. Per lo più hotels a cinque stelle o uffici governativi.
Attraversammo la vasta e caotica Plaza Mayor, all’incrocio di quattro delle più trafficate strade della capitale, dove per raggiungere la strada che porta a Miraflores, l’autista si dovette far strada da un mare di veicoli assortiti, ansiosi di giungere alle loro rispettive destinazioni: camion e furgoni della campagna, autobus locali e automobili private, tutti intenti a farsi strada in maniera caotica; apparentemente indifferenti alle norme del traffico e ai vigili del luogo.
Dopo essersi introdotto a fatica nel continuo flusso del traffico intorno alla piazza, la macchina prese una strada meno trafficata e da lì a una mezza ora, arrivò a Misaflores.
Miraflore, a differenza di Lima è chiamata Las Vegas del Sudamerica, oltre a migliaia di case da gioco, è ricca di parchi e di spiagge.
« Maria e São Pedro non si annoiarono di certo in mia assenza » pensai.
La sera a cena nel ristorante dell’hotel, festeggiammo e brindammo al nostro anniversario di matrimonio.
Restai con loro due giorni, poi con il taxi dell’hotel mi feci portare in un altro aereoporto e alle 17,30 presi un volo locale che mi condusse a Cuzco e con un taxi all’Hotel Casa De Mama 2.
Più che Hotel era una casa in cui affittavano le stanze.
Era frequentata da turisti italiani e mi era stata raccomandata da un impiegato (italiano) che lavorava all’Hotel Ibis di Miraflores.
Dopo aver sistemato i miei bagagli, telefonai (con il telefono della casa) al Professor Manuel Flores dicendo dove mi trovavo.
Combinammo di incontrarci il giorno dopo.
Durante la cena conosco altri italiani, per lo più del Nord.
Parlando  del  più  e  del meno, mi dissero che  sarebbero andati a Machu Picchu, il giorno non lo avevano ancora stabilito, aspettavano altri italiani che dovevano arrivare.
Dissi che ero venuto apposta per andare a Machu Picchiu.
Parlammo del percorso.
Loro avevano programmato di percorrere il Cammino Inca partendo con il bus da Cuzco a Piscacucho per poi proseguire a piedi.
Avrebbero portato poco peso circa 6 chili, il peso maggiore lo avrebbero portato le guide.
Avrebbero speso un pó, ma avrebbero faticato meno.
Da Piscacucho a Machu Picchu ci avrebbero messo quattro giorni, ma avrebbero dormito solo tre notti in tenda.
Io dissi che non avrei speso un centimos, ci avrei messo dieci giorni e mi sarei portato tutto sulle spalle circa 50 chili.
Partendo da Cuzco e non da Piscacucho.
Il mattino dopo, non sapendo la strada, mi feci accompagnare da un taxi.
Il taxi attraversò l’antico centro coloniale della città, che rendeva l’immagine dei fasti del passato.
Passammo davanti a delle splendide ville in legno e grandi palazzi in mattoni costruiti sopra le antiche pietre che dovevano essere dell’epoca Incas.
Venti minuti più tardi dopo essermi fermato ad un fioraio (non mi andava di arrivare a mani vuote), arrivai all’abitazione della casa del Professore.
Non c’era il campanello, ma un sonaglio con una corda, che tirai.
Dato che ero atteso, mi fu aperto da una anziana signora, che il professore mi presentò come sua madre e a lei diedi i fiori che mi ringraziò in una lingua che a prima vista non compresi.
Il professore mi disse che era quechua, la lingua inca che gli indiani delle varie province andine del Perù parlano ancora nelle sue diverse forme dialettali.
Risposi: (nella stessa lingua) che era un piacere offrire dei fiori a una signora.
Dopo aver detto qualcosa alla madre, mi fece cenno di seguirlo.
Lo seguii in una stanza piottosto grande con due divani e una enorme libreria colma di volumi sulla storia, la cultura e l’arte degli Inca.
Alle pareti erano appese delle stupende fotografie ingrandite (tipo posters) con vedute panoramiche del Perù, foto evidentemente tirate da ogni parte del paese: delle foreste, sulla costa e sulle Ande.
Su ogni foto si vedevano rovine di antiche costruzioni.
« Allora non ci sono dubbi! Siete di discendenza peruviana, per conoscere l’antica
lingua. »
« Non la conoscevo, mi sono preparato prima di partire. »
Mentre parlavamo (in italiano) di quello che avevo fatto una volta giunto a Lima, fummo interrotti dall’arrivo di una bella donna che mi presentò come sua moglie.
La donna portava un vasoio con del tè, dei pasticcini e in una ciottola, delle foglie di coca.
Manuel (il professore) mi disse che per abituarsi all’altitudine (si riferiva a me), bisognava bere il tè fatto con le foglie di coca e ogni tanto mangiarle anche.
Accettai il tè (molto dolce) ma non mangiai le foglie dicendo di non sentirne la necessità, presi solo i pasticcini.
« È vero! Tu dovresti essere un extraterrestre. Ho visto il tuo nome nel biglietto da visita, è un nome poco comune. »
« È vero! Il nome Ilo deve essere il pricipio e la fine di un nome, Plinio deriva da un antico cognome romano ed è anche un pianeta della costellazione di Venere. »
Dopo averlo sentito, lo ripetè alla moglie che si mise a sorridere.
« Prima di continuare a parlare, vorrei sapere se avete figli piccoli? »
« Non ne abbiamo, ma abbiamo dei nipotini, perché? »
« Venendo dal Portogallo ho portato dei biscotti che faccio e che piacciono molto ai bambini e non solo, domani ve ne porterò un sacchetto. »
« Non si deve disturbare. »
« Non mi disturbo e poi in qualche maniera devo contracambiare i suoi biscotti, sono veramente ottimi. »
« Venendo qui, hai visto i muri che sorreggono le case? »
« Sì! Sono fatti da blocchi di pietra sagomati, alcuni molto grandi, chi li ha fatti? »
« Sono stati i Viracochas, i semidéi che per primi dominarono il Perù. »
« I Viracochas, non ne ho sentito parlare, erano degli extraterrestri? »
« Chi erano nessuno lo sa con precisione. Sono venuti dal mare diverse migliaia di anni fa. Hanno istituito le leggi e insegnato molte cose all’antico popolo peruviano. Non vi sono testimonianze scritte di questo popolo, ma sappiamo che sono venuti da noi. Secondo la leggenda delle popolazioni peruviane, si racconta che, in un tempo remoto, quado la Terra era diventata inospitale in seguito ad un grande cataclisma che aveva “ oscurato il cielo e posto il sole in ombra “.
L’oscurità del cielo e la gigantesca inondazione descritta dai libri, si avvicinano alla fine dell’era glaciale avvenuta fra il 7.000 ed il 6.000 a.C., un periodo antichissimo, peraltro menzonato dagli studi di archeologia di frontiere. Venne dal sud un gruppo di uomini dalla pelle bianca ed il viso barbuto definiti i Viracochas dalle popolazioni locali.
Il loro capo portava appunto il nome di Viracocha ma venne chiamato in vari altri nomi dagli indigeni: Thunupa, Tarpaca, Pachaccan, Viracochara-pacha. Era   accompagnato   da un gruppo di certo  fedelissimi   che   gli facevano da  scorta, erano chiamati  gli  “ huaminca ” e da emissari che diffondevano la  sua  dottrina,  nella  stessa  lingua  che  parlavano agli indigeni, chiamati “hayhuaypanti” (gli splendenti), passati alla legenda per la luminosità che emanavano.
Viracocha trovò una popolazione abbrutita dagli eventi cataclismatici ed incominciò a gettare i semi di una nuova civilizzazione insegnando l’agricoltura, il buon costume, proibendo la violenza e la poligamia; in sintesi, favorì la diffusione di un costume evoluto, umanitario, assai somigliante a quello del Cristianesimo attuale, senza ricorrere alla forza per la persuasione.
Durante quest’opera di civilizzazione, Viracocha venne osteggiato e spesso fatto segno a tentativi di violenza da alcuni indigeni, ma riuscì sempre a cavarsela sbalorditamente provocando fenomeni che agli occhi dei nativi apparivano sovrannaturali, come far sparire gli indigeni rivoltosi e gli pro-curarono la fama di divinità.
Secondo le legende Incas, i Viracochas edificarono grandi opere architettoniche, fra le quali: il Sacsahuaman, una gigantesca fortezza situata a nord di Cuzco, ex capitale dell’impero Inca.
Il Sacsahuaman è una muraglia formata da massi perfettamente squadrati ed incastrati fra loro senza alcuna malta cementante. Alcuni di questi blocchi arrivano al peso di 300 tonnellate e più e la disposizione degli stessi è così precisa da non lasciare fenditure, nemmeno per la lama di un coltello.
Nonché la misteriosa città di Tiahuanaco, sulle sponde del lago Titicaca. Considerata sacra al dio Viracocha, la città sorge su di un altipiano, a 30 Km, dal lago Titicaca in territorio boliviano; tuttavia fra le rovine si trovano strutture tipitamente accostabili a banchine e moli portuali, il che fa pensare che un tempo la città fosse bagnata dalle acque del lago.
Ebbene, calcolando il ritmo temporale che scandisce il ritiro della costa lacustre, otteniamo che questa lambiva l’insediamento di Tiahunaco in una epoca databile intorno all’11.000 a.C. La città include una serie di strutture monumentali, fra cui un tempio sotterraneo, il Kalasasaya, la piramide Accapana e la mitica Porta del Sole.  
Il tempio sotterraneo contiene una scultura ricavata in una lastra di roccia raffigurante Viracocha ai cui lati si trovano immagini scolpite di strani animali preistorici. Alle spalle del monolito ve ne sono altri due raffiguranti due compagni del dio, forse i suoi fedelissimi.
Il Kalasasaya è una spianata in cui torreggiano sculture monolitiche; il suo significato è stato chiarito in seguito alle ricerche di numerosi studiosi, negli anni fra il 1927 ed il 1930. Da queste indagini, condotte peraltro anche da esperti della Specola Vaticana, l’organo della Santa Sede deputato alla ricerca astronomica, è emerso che il Kalasasaya aveva gli angoli perfettamente orientati con i punti di levata eliaca nei solstizi e gli equinozi del periodo relativo al 15.000 a.C. Una sorta di osservatorio astronomico orientato secondo le coordinate astrali di 17.000 anni fa.
Quanto alle strutture monolitiche ne trovarono una raffigurante un androgino molto alto, con il corpo ricoperto dalle squame di un pesce.
Si tratterrebbe inequivocabilmente di una simbologia acquatica poiché ogni squama era formata da piccole teste di pesce.
Poco dopo il Kalasasaya si trova un rilievo chiamato “la piramide”. Si tratta di una struttura quadrata di circa 200 metri ogni lato, orientata perfettamente secondo i quattro puni cardinali. Prima che i coquistatori spagnoli la deturpassero, essa era formata da blocchi disposti a gradoni che delineavano terrazze degradanti, proprio come le piramidi Maya e gli Ziggurat mediorientali. All’interno della piramide sono stati rinvenuti numerosi cunicoli che probabilmente incanalavano l’acqua dalla cima alla base della struttura. »
Manuel, mi mostra una carta da lui disegnata dicendo: « Qui troviamo una singolare analogia strutturale con la piramide del sole di Teotihuacan che si trova in Messico; il sistema di drenaggio dell’acqua ci fa pensare ad una struttura idroprotetta; ma più di ogni altra congettura il nome “Accapana”, datole dagli Incas, ci chiarisce l’affascinante significato di questa costruzione. “Hake” in lingua Aymara vuol dire persone; “Apana” significa perire. “Accapana” ci appare come il luogo dove le persone muoiono ed in questo caso la presenza di un sistema idraulico potrebbe collegare la morte della gente all’acqua, appunto all’innondazione seguita alla deglaciazione che sconvolse la Terra intorno al 10.000 – 9.000 a.C. »
La Porta del Sole è un monolito ricavato da un blocco di ardesia, sulla cui sommità spicca l’immagine di Viracocha, circondata da file di strane figure. Secondo alcuni; la successione di tali immagini simboleggia un calendario astronomico, ma ve ne sono anche altre che raffigurano animali preistorici come il Cuvieronius, estintosi intorno al 10.000 a.C. ed il Toxodonte, scomparso nell’11.000 a.C.
I Viracochas vengono descritti come creature molto alte, maestose, dotate di poteri sovrannaturali e, fatto assolutamente inspiegabile, essi erano tutti chiari di pelle e barbuti.
Che fine abbia fatto quella strana stirpe è ignoto; la leggenda dice che i Viracochas ripartirono diretti verso nord per civilizzare nuova gente.
Altre fonti affermano che il loro capo si incamminò fra le onde del mare dopo aver fatto calare sulla spiaggia una cappa di fuoco che terrorizzo gli indios.
Quando avvenne tutto ciò non viene ovviamente specificato.
Le leggende non hanno date se non quelle ricavabili dagli aventi geoclimatici o astronomici descritti.
L’unica cosa che si può dire che: Un gruppo di individui dotati di grande conoscenza scentifica e tecnologica che in un periodo fra il 15.000 ed il 10.000 a.C., cioè in piena era di deglaciazione, arrivano in Perù dal sud, istruiscono la popolazione in merito all’astronomia, l’agricoltura, l’etica, creano una lingua (l’Aymara) che può essere utilizzata universalmente e lasciarono un insediamento da loro stessi creato di cui è scritta in codice la storia di quel periodo.
« Dove è stata scritta? »
« Si trova in un monolito, sulla strada che porta a Machu Pichu.
Il loro aspetto era umano, anche se di una razza assai diversa da quella locale, tuttavia di livello evolutivo, la conoscenza scentifica e le tecniche di costruzione fanno pensare ad esponenti di una civiltà estremamente avanzata, capace di confezionare linguaggi convenzionali, di padroneggiare le leggi gravitazionali, di provocare fenomeni fisici complessi. »
« Fossero stati gli scampati del continente di Atlandide? »
« Chi lo sá. I Viracochas venivano dal sud, quindi potenzialmente potevano provenire proprio dall’antartide che in quel periodo era ancora in buona parte priva di ghiacciai e poteva ospitare una civiltà fiorente. Tutta la leggenda ci lascia l’impressione che i Viracochas fossero andati in Perù per gettare i semi di una nuova civiltà; un esperimento di civilizzazione riuscito nella fondazione di Tiahuanaco ma stranamente non continuato dal momento che questi individui partirono verso nord. Cosa li fermò?»
« Se ben sò, sembra che la distruzione di Atlantide sia stata provocata dal Signore per punire la loro superbia, volendosi paragonare a Lui. »
« Può darsi, forse i Viracochas vollero limitare la propria opera per non sconvolgere l’equilibrio degli indigeni, in altri termini essi agirono in maniera studiata per non indurre un “colasso culturale”. Li chiamavano Viracochas in Perù, Quetzaicoati in Messico, Oannes in Mesopotania.
« Come studioso conosco bene la storia del nostro popolo, conosco i racconti tramandatici dal passato e ho vagato fra le antiche rovine di Cuzco, Ollantaytambo, Sacsahuaman, Kalasasaya e Tiahuanaco, la città dei Viracochas nei pressi del lago Titicaca. Conosco la storia del nostro paese come Ilo conosce la sua e comunque abbiamo i nostri libri come puoi vedere. Sono al corrente di quanto è stato scoperto dagli studiosi dell’era moderna. Solo che non sono d’accordo con loro. Per intere generazioni successive alla conquista, gli spagnoli e in particolar modo la Chiesa cattolica, hanno fatto tutto quanto era in loro potere per cancellare qualsiasi prova dell’esistenza della nostra civiltà tramandataci dai Viracochas. Monumenti e siti religiosi sono stati distrutti, testi sacri bruciati, sacerdoti massacrati e gente del popolo convertiti con la spada, cosa che non fecero i nostri antepassati.
« Per fortuna dopo la nostra Indipendenza, nelle nostre scuole si è tornato ad insegnare ai nostri bambini, che prima degli Incas vi era stata un’altra civiltà, persino più grande di questa in cui oggi viviamo. »
« Professore mi piacerebbe avere lei come guida, sempre che posso rubare un pó del suo tempo. »
« Per prima cosa, non mi chiami Professore, come io non la chiamerò Cavaliere. Mi chiami Manuel come io la chiamerò Ilo. »
«Ok! Affare fatto Manuel. Ora però è meglio che vi lasci, ci rivedremo domani mattina. »
Dopo averli salutati, tornai a Casa De Mama.
Il giorno dopo come promesso, portai un sacchetto di Ferratelle (i miei biscotti) la cui vista lasciò meravigliata la signora Anitas (la moglie del professore), ma quando la invogliai a mangiarne un quarto, vidi dalla sua espressione che gli erano piaciuti.
« Di solito, quando si prova un biscotto, non si riesce a controllare la voglia di mangiarne un altro, alla fine, senza accorgesene, ci si ritrova con il sacchetto vuoto in mano. »
« Non si preoccupi, non mi lascerò tentare, lo metterò via fino a quando i miei nipotini mi verranno a trovare, poi ne chiederò un pezzetto; se me lo daranno. »
Era una bella giornata che invitava ad andare a piedi sulle antiche strade acciottolate di Cuzco.
Mentre il Professore mi conduceva nell’antico centro cittadino, mi parlò delle antiche civiltà andine, mostrandomi i muri fatti di grosse pietre capaci di resistere a qualsiasi terremoto (spiegandomi che di terremoti, il Perù ne aveva subiti tanti).
« Gli Incas non furono degli iniziatori: è questa opera prima. Cosa che voi turisti dovete comprendere. Benché le loro stupende opere d’arte siano sparse in tutti i maggiori musei del mondo, in realtà erano soltanto i custodi di una cultura molto, ma molto più antica. Gli spagnoli non credettero alle storie e alle tradizioni ascoltate e riportate dagli antichi sacerdoti. Probabilmente pensavano che fosse troppo assurde, per essere vere, come le linee di Nazca che da terra non potevano vedere.
« Una delle tradizioni più diffuse fra i popoli delle Ande, narra di una grande civiltà vissuta migliaia e migliaia di anni prima di quella degli Incas. Non temere, lo costaterai con i tuoi propri occhi. »
Dopo aver attraversato i sobborghi di Cuzco e aver imboccato le belle strade di ciottoli della città vecchia, il Professore si fermò all’entrada di una stradina particolarmente stretta.
« Questa è Calle Hatam Rumiyoc, se guardi i laterali della strada, ti accorgerai che le mura sono composte da giganteschi blocchi di granito, alcuni del quali arrivano anche a un’altezza di tre metri quadrati. »
« Come avranno fatto a costruire queste mura? Non è certo; un’opera degli Incas. »
Mi avvicinai ad alcune mura e ne sfiorai uno con le dita, un blocco particolarmente grande, quanto il tavolo della sala da pranzo di mio padre e incredibilmente si incastrava perfettamente con tutti gli altri vicini.
« Davvero non saprei. Non devono essere stati gli Incas, ne i spagnoli. Immagino soltanto cosa significhi spostare anche soltanto una di queste pietre ciclopiche; quelle più grosse peseranno almeno dieci tonnellate e se penso che, da dove è stata tagliata e portata qui, che mezzo potevano aver usato i popoli antichi? »
« Alla fine di questa stradina si arriva alla piazza principale: Plaza de Los Almados dove c’è la cattedrale. »
Come aveva detto il Professore, la stradina sfociava nella piazza principale, che dopo aver visto quella di Lima, appariva come il centro di una città fantasma.
La piazza era grande come quella di S. Pietro. Era circondata su tutti i lati da edifici
in pietra in stile per lo più spagnolo e vi confluivano sei strade con la pavimentazione
di acciottolato (a Cuzco non era ancora arrivato l’asfalto).
Dopo aver attraversato la piazza, raggiungemmo il lato opposto.
« Qui a Cuzco gli Incas hanno costruito un tempio per Viracochas; si chiama Coricancha. Riesci a vederlo? »
Scrutai i vari edifici alla ricerca di un edificio che avesse un aspetto molto antico e molto Incas. Ma non trovai nulla di abbastanza maestoso da suggerire l’idea che assomigliasse ad un tempio.
Il Professore indicò la chiesa.
« È quello. Nel 1533 gli spagnoli hanno costruito la chiesa direttamente sopra il tempio, nell’intento di sopprimere la nostra religione. Si racconta che uno degli ultimi principi inca sia stato murato vivo all’interno di quelle mura.
« La costruzione della Cattedrale originaria (questa è una delle tante ricostruzioni) durò più di cento anni con il lavoro forzato degli indigeni.
« Inoltre utilizzarono molti blocchi di pietra, che riuscirono a prendere della fortezza di Sacsayhuamán.
« Ogni volta che la cattedrale sembrava conclusa, c’era una scossa di terremoto (solo qui) e la costruzione crollava come un castello di carte.
« Le leggende dicevano che era il principe (murato vivo) che si scuoteva per liberarsi delle mura che lo imprigionavano.
« Dovevano ricominciare da capo e...ogni volta che sembrava finita; tornava il...Terremoto a farla crollare. Dopo tanti anni e dopo tanti...Terremoti, il princice doveva essersi stancato di scuotersi e la cattedrale fu completata.
« Ecco perché ci vollero più di cento anni a finirla.
« Come provocazione agli spagnoli, gli indios lasciarono la loro firma nel quadro (che tu puoi vedere) “ L’Ultima Cena ” il volto di Giuda Scariota che si vede, è quello del conquistatore spagnolo Francisco Pizarro per rappresaglia alla conquista e al saccheggio della città in cui la maggior parte degli edifici inca fu arrasata  con l’obbiettivo di distruggere la civilizzazione inca, costruendo con le sue pietre; nuove chiese e molti edifici amministrativi. Nel Coro, puoi vedere le incisioni che risalgono all’epoca Inca. L’architettura della chiesa è barocca e l’arte è andina. »
Dopo aver girato dietro l’altare maestro, il Professore aprì una porta di ferro dicendo: « Questa porta prima non c’era, era sostituita da una lastra di pietra che mascherava il tempio. Dopo l’Indipendenza, vecchi artigiani cercarono di ricostruire ciò che gli spagnoli avevano distrutto. »
Scendemmo dei gradini e potei ammirare l’antico tempio e le sue pitture.
Dopo la Cattedrale visitammo molti ruderi di cui il professore mi spiegava quello che una volta erano, facendomi riferimento ai ruderi dell’antica Roma.
Ogni sera tornando alla Casa De Mama raccontavo agli amici (che avevo fatto), quello che avevo visto e sentito dal Professore Manuel Flores.
Dopo aver girato per tutta Cuzco, il professore con la sua macchina mi portò a vedere le rovine di:Ollantaytambo, Sacsahuaman e la Valle Sacra.
« Ollantaytambo è una cittadina Inca ora abitata. Nei suoi palazzi vivevano i discendenti delle case nobili cusquenhas. Questa città costituì un complesso militare, religioso, amministrativo e agricolo. L’entrata alla città fortezza era fatta dalla porta chiamata Punku-punku che deriva dalla parola Puma.
« Questa fortezza inca di cui il nome significa “ locanda di Ollantay (il nome di un guerriero), fu una delle città dove incas e spagnoli si sono battuti quando Manco Inca cercava di raggruppare la resistenza dopo la disfatta di Cuzco.»
Salendo le scale che si incerpicano sui terrazzamenti risalenti all’epoca incaica,  arrivammo al cuore del tempio del dio Sole, costruito con pietre alte circa 3 metri e mezzo, di cui restavano solamente poche pietre perimetrali. Una volta giunti alla sommità, potemmo apprezzare una costruzione particolare sulla montagna di fronte.
Si trattava di un viso che raffigurerebbe Viracocha e un grosso deposito inca per il cibo (probabilmente un granaio), la cui posizione era stata individuata in modo da trovare un luogo più fresco (grazie ai venti della zona) dove le scorte potevano mantenersi più a lungo.
I patei mantenevano ancora la sua architettura originale. Ollantaytambo era situata strategicamente per dominare la Valle Sacra degli Incas.
« La fortezza di Sacsayhuamán o Saksaq Wamán (in lingua quecha) è un sito archeologico Inca situato a 2 chilometri dalla città di Cuzco. Il nome significa letteralmente “falco soddisfatto”.
« Fu costruito dai Viracochas, fu poi data tale costruzione agli Incas tra il 1438 e il 1500 circa, sotto il dominio di Pachacutec, e si erge in una posizione dominante della collina di Carmenca, che svetta a nord della città di Cuzco, antica capitale del Tuhuantinsuyo, l’impero incaico.
« La costruzione è così peculiare per via della grandezza di alcune pietre. Le pietre furono incastrate con una precisione quasi immaginabile.
« Risulta quasi inesplicabile per (voi stranieri), capire come gli Incas poterono tagliare con tale maestria le pietre, per cui tra una e l’altra non passa la lamina di un coltello.
« Il grandioso complesso presenta un triplice ordine di cinte murarie, lunghe trecento metri circa, realizzate con enormi massi di pietra (porfido e andesite), connessi con grande precisione.
« La muraglia principale è formata da pietre alte 5 metri, larghe circa 2,5 metri che possono pesare tra le 90 e le 120 tonnellate.
« Cronici e archeologi concordarono nell’attribuire al piano della città di Cuzco, la forma di puma, di cui la fortezza di Sacsayhuamán rappresenterebbe la testa, come sarebbe facile intuire dalla muraglia che procede a zig-zag ricordandone le fauci del puma.
« Alla sommità, inoltre, poteva essere visibile l’occhio dell’animale, prima dell’arrivo dei conquistadores spagnoli, i quali (dopo la conquista), prelevarono dal sito numerose pietre per costruire: case e chiese nella città, oltre a modificare la struttura della città stessa. »
Con il professore, troviamo parecchie porte o perlomeno (arcate) che mettono in comunicazione, tramite scalinate, diversi livelli.
Nel muro delle pietre megalitiche troviamo la porta Tiupunco (non c’è il cartello indicatore), sugli altri livelli troviamo le porte Acahuana e la porta Huiracocha Puncu.
« Ad ogni solstizio d’estate vi si festeggia l’Inti Raimi, la festa di Inti, il dio del Sole. In tale ricorrenza vengono ancora effettuati rituali risalenti all’epoca incaica; ci dovresti venire. »
« Mi piacerebbe tornarci, non dipende solo da me. »
Dopo la fortezza di Sacsayhuamán, raggiungiamo la Valle Sagrata.
« La Valle Sagrata degli Inca, si trova distesa comodamente intorno al fiume Urubamba; è un’altra dimensione. Non solo spirituale perché da sempre consacrata al dio Sole, non è solo mistica, perché custode dei tanti misteri che ancora avvolgono la storia di un’altra civiltà, prima ancora di quella degli Inca, ma anche fisica.
« Perché qui l’atmosfera surreale è accentuata dall’altitudine, quasi 3000 metri al livello del mare, che rende l’aria rarefatta, troppo densa da respirare, i colori abbaglianti, i movimenti lenti dei turisti, come in un film al rallentatore.
« Non ti devi sorprendere né preoccuparti allora se ovunque ti viene offerto un infuso di coca, assolutamente innoquo alla salute, ma tonificante utili per ambientarsi ad un mondo diverso da quello in cui sei abituato.
« La valle, gialla per il mais e il granturco che ovunque vengono coltivati, è così fertile questa terra, da aver meritato in passato il soprannome di Granaio degli Inca. Vieni, ti faccio conoscere mio cugino. »
La casa del cugino del professore era una tipica costruzione in pietra grezza, con una grande sala comune che comprendeva un enorme focolare con cucina adiacente, posta su una estremità in cui stavano preparando la cena.
Fui presentato come un amico italiano.
Il cugino di Manuel, Arun, non parlava molto lo spagnolo, ma il quechua.
Avendolo saputo anticipatamente, lo salutai nella sua lingua, dandogli la buona sera.
Arun rimase a bocca aperta e Manuel gli parlò (di quello che disse, capii poco) dopodiché
mi presentò alla famiglia.
Arun disse alla moglie di preparare l’ifuso di coca, ma io lo fermai dicendogli che preferivo un liquorino.
Sapevo che in Perù si produceva un liquore fatto con la fermentazione del mais.
Sempre più sorpreso andò a prendere una bottiglia o qualcosa di simile in coccio e riempì i bicchieri, per lui, per il cugino e per me.
Dopo aver fatto la salute, mostrandolo ai componewnti della famiglia (così mi aveva detto Manuel), lo sorseggiai per capire la gradazione (era più o meno come la nostra grappa artigianale), poi lo buttai giù tutto in un colpo.
Il che sorprese ancora di più Arun.
Gli spiegai o almeno cercai di spiegargli, che nel nord d’Italia si produce un liquore simile a quello, ma non fatto di mais e di alcuni liquori che arrivano fino a 96 gradi.
Mi volle riempire di nuovo il bicchiere, rifiutai, dicendo che non avevo ancora cenato e berne più di uno, mi poteva far male.
Disse di rimanere a cena con loro. Manuel disse che la moglie ci aspettava a casa e non potevamo tardare.
Prima di lasciare la casa di Arun, gli promisi, se fossi ritornato, gli avrei portato una bottiglia di liquore italiano, pensando al Latte della Suocera.
Tornammo a Cuzco e Manuel mi fece fermare per la cena.
Non bevvi, né decotto, né il liquorino, ma solo succo di frutta.
Mentre cenavamo dissi che il giorno dopo sarei partito per Machu Picchu, chiesi se mi potevano consigliare una guida, non volendo fare il Cammino Inca.
Dopo aver parlato un pói tra loro, Anita (la moglie di Manuel) si alzò da tavola e uscì dalla sala.
Poco dopo parlò con il marito che mi riferì. Mi avrebbe fatto da guida il fratello di Anita.
Mi chiese poi cosa avrei portato con me.
Gli dissi: Lo zaino da montagna, due vestiti di ricambio, due maglioni, due cambi intimi, quattro paia di calzettoni, due paia di scarpe da trekking, un poncho impermeabile, un bastone con la punta di ferro, un giaccone pesante per il freddo, uno leggero per il caldo, un sacco a pelo, un materassino in gommapiuma, una torcia e delle batterie di scorta, due borracce di alluminio foderate, una per l’acqua, una per il té, un berretto di lana per il freddo e uno di tela per il caldo, una lozione di crema solare e una repellente per gli insetti, due rotoli di carta igienica, snak, biscotti, barrette energetiche, cioccolata. Pane, formaggio e salame (italiano), un fornelletto a spirito, latte condensato (in tubo), caffé solubile, un congiunto di alluminio per scaldare il cibo e fare il té o il caffé, la macchina fotografica e infine la tenda (iglo).
Dopo aver elencato tutto questo, Manuel mi chiese quanto pesava il tutto?
« Più o meno 50 chili. »
« E riesci a portarli tutti da solo? »
« Certo, sarà un pó faticoso, ma credo di potercela fare. »
Manuel disse, se volevo arrivare a Machu Picchu vivo, dovevo seguire un suo consiglio. Per prima cosa, seguire il cognato Miguel Zardo che mi avrebbe fatto da guida e la notte ci saremmo fermato nei villaggi e dormito al coperto e al caldo.
Poi fare un altro percorso per arrivare a Machu Picchu passando per: Huayllarcocha, Puca Pucara, Pisac, Colla, Lamay, Aranwa, Huayubamba, Yucai, Urubamba, Ollantaytambo e Agua Calienta.
Chiesi cosa c’era d’importante da vedere in quel percorso?
Manuel mi spiegò: « Uscendo da Cuzco, sulla strada che porta, sia a Pisac che a Sacsayhuamán, troverai in uno spazio verde, un gigantesco monolito, lì c’è scritta la storia di Viracocha.
« Dopo che avrai visto il monolito, prenderai la strada di destra che ti porterà a Pisac. Huayllarcocha è un villaggio di contadini senza importanza, proseguite e arriverete a Puca Pucara.
« Puca Pucara significa “ Fortezza Rossa “ in quechua. L’origine di questo nome, deriva dalle rocce che all’imbrunire acquistano un colore rossastro. Al tempo degli Incas era un
esempio di architettura militare che funzionava anche come centro amministrativo.
« Questa fortificazione era fatta di grosse mura, terrazzi e scalinate. Fu parte integrale della difesa di Cuzco in particolare e dell’Impero Inca in generale. Dopo Puca Pucara non troverete più centri di interessi, fino ad arrivare a Pisac.
« Pisac è un villaggio situato in una vallata, bagnata dal fiume Urubamba. Famoso sopratutto per il mercato che attrae molti turisti da Cuzco. Una delle principali attrazioni è quella di un grande albero Pisanay che domina la piazza centrale.
« Anche il santuario di Huanca che si trova vicino a questo villaggio è attratto. L’area è famosa anche per le sue rovine inca, note come Pisac Inca, situate in cima ad una collina, all’entrata della valle. Le rovine sono divise in quattro blocchi: Pisaqa, Intihuatana, Q’allaqasa e Kinchiracay .
« Intihuatana comprende numerosi bagni e templi. Il Tempio del Sole è un affioramento vulcanico, scolpito in onore di Inti (dio de Sole), è il suo centro e gli angoli alla sua base fanno ipotezzare che avesse una qualche funzione astronomica.
« Q’allaqasa era eretta su uno sperone nutarale che dominava la valle, è nota come la “cittadella”.Sul fianco della collina si trovano terrazze costruite dagli Inca ed ancora attualmente in uso. Queste terrazze furono costruite prelevando a mano il terreno più ricco delle pianure sottostanti. Questo modo permise alle antiche popolazioni di produrre molto più cibo di quanto sarebbe normalmente possibile ad un’altitudine di 3600 metri.
« Grazie a strutture militari, religiose e agricole, il sito aveva un triplice obbiettivo. Si crede che Pisac Inca difendesse l’entrada meridionale della Valle Sacra, mentre Choquequirao controllava l’ingresso occidentale e la fortezza di Ollantaytambo quello settentrionale. La Pisac Inca controllava una strada che collegava l’Impero Inca al confine della foresta fluviale.
« Colla è un altro villaggio senza importanza, invece Lamay è famosa per le sorgenti calde di acqua solforosa, che sono altamente considerate a livello locale per la loro proprietà medicinale.
Tornando da Casa De Mama, venni a sapere che il giorno dopo (gli amici italiani)  sarebbero partiti per fare il percorso rupestre chiamato Triglia Inca.
La distanza da Cuzco a Machu Pichu era di 124 chilometri di cui i primi 82 li
avrebbero fatti in treno da Cuzco a Qorihuayrachina, dopodiché gli altri 42 chilometri li avrebbero fatti a piedi.
Dissi che anche io sarei partito il giorno dopo, ma avrei fatto un percorso diverso dal loro, più lungo, ma meno stanchevole.
Vollero sapere quale era, dissi di non saperlo, sarei stato accompagnato da una guida raccomandata, non mi sarebbe costato niente, a meno che non avesse accettato qualcosa e ci saremmo fermati la notte in vari villaggi.
Dopo averci dato la buona notte, ci ritirammo ognuno nelle proprie stanze.
La mattina dopo colazione, ci salutammo. Loro dopo essere tornati da Machu Picchu sarebbero tornati in italia. Ci scambiammo gli indirizzi e i Mail.
Il giorno dopo portavo lo zaino e con quello che c’era dentro, non superava dieci chili. Avendolo saputo la sera prima, avevo portato con me tutti gli altri sacchetti di Ferratelle.
Passai da casa del professore dove trovai ad attendermi Miguel (la guida).
Volli sapere quale sarebbe stato il suo costo, con un sorriso rispose: « Un sacchetto di biscotti che avete dato ad Anita. »
Accettai e dopo avergli dato il sacchetto e salutato la signora Anita e il professore Manuel, misi lo zaino in spalla e seguii Miguel.
Da Cuzco prendemmo la strada che portava a Pisac ma, all’icrocio della stada che portava alla fortezza di Sacsayhuamán e quella di Pisac, in uno spiazzo verde, c’era un masso megalitico squadrato e a forma piramidale alto almeno cinque metri per tre.
Il masso era stato lavorato perché era liscio, nel lato posto verso Cuzco, in alto si poteva vedere la figura dorata del sole, come anche i disegni che ne coprivano i quattro lati, all’altezza umana.
Attorno al masso si era radunato un gruppo di turisti diretti a Sacsayhuamán i quali oltre a guardare il masso, si facevano fotografare accostati ad esso.
Venendo da Cuzco, la prima cosa che attirò la mia attenzione, fu il sole.
Guardandolo bene, sembrava che nel mezzo, ci fosse un triangolo e nel mezzo un occhio.
Rimasi bloccato a guardarlo, poi mi sentii trasportare, come se stessi per entrare nel masso.
Mi trovavo in una stanza non completamente scura, una luce veniva dall’alto verso i quattro lati, illuminando le figure sedute dando loro un aspetto illuminato.
In centro della stanza era al buio ed era lì dove mi trovavo.
Qualcuno parlò, mi chiese chi ero e perché mi trovavo lì.
Risposi, raccontando cosa mi aveva portato nel Perù e quale era il mio desiderio.
Quando non avevo più altro da dire, chiesi loro chi erano.
Erano quelli che c’erano, venuti sulla terra dopo il diluvio universale per ripopolare la terra.
Erano loro che avevano fatto le linee di Nazca, erano loro quelli che avevano costruito tutti i monumenti sparsi sulla terra, erano loro che avevano portato la civilizzazione ai popoli scampati al diluvio.
Non erano apparsi dal cielo, ma dal mare e dal mare erano andati via.
Chiesi loro perché guardando il monolito mi ero sentito attratto in esso:
Dissero che dovevo essere il loro messaggero.
Messaggero di che?
Dovevo dire ad ogni persona che avessi incontrato, questo messaggio...
Quando tutto finì tra le domande e le risposte, tornai in me, sentendomi scuotere da tante mani.
Erano i turisti che mi ringraziavano nelle varie lingue, per quello che avevo detto leggendo i disegni lasciati sul masso.
Non ricordavo nulla.
Chiesi a due italiani quello che avevo fatto.
Mi risposero che dopo aver guardato il masso, mi ero messo a parlare in italiano, come se stessi leggendo i simboli che si vedevano sul masso.
« E cosa c’era scritto, io non me lo ricordo. » domandai.
« Una storia fantastica Anna ha registrato una parte di quello che hai detto. »
Anna mi fece ascoltare dal telefonino quello che aveva registrato.
Era la storia di un popolo venuto dallo spazio e che aveva portato la civilizzazione nel Perù.
« Perché anche gli altri mi hanno ringraziato? »
« Perché mentre noi ti sentivamo parlare in italiano, Andrea ti sentiva parlare contemporaneamente in tedesco. »
Come fanno i soliti romani, dissi: « Bò!!! Non mi ricordo niente. »
Dopo avermi di nuovo ringraziato, mi lasciarono seguendo il gruppo verso Sacsayhuamán.
Con Miguel seguii la strada verso Pisac che distava 35 chilometri.
La strada era carrozzabile, tanto che, ogni tanto ci sorpassavano o incrociavano delle macchine.
Ogni tanto lasciavamo la strada e ci incerpicavamo per sentieri, accorciando la strada, in quel modo a detta di Miguel, saremmo arrivati a Pisac prima di sera.
Dopo esserci incamminati, Miguel mi disse: « Aveva ragione Manuel, tu non sei di questo mondo. »
« Che vuoi dire? »
« Dalle legende Inca, nessuno è mai riuscito a leggere quello che c’è scritto nel masso, ci sei riuscito perché sei uno di loro, tornato sulla Terra. »
« Allora hai sentito da me quello che c’è scritto? »
« Certo, anche se non era il quechua moderno, ma quello che sentivo dai miei nonni. »
« Quale è il significato del messaggio? »
« Questo non lo sò, ma se tu sei il loro messaggero, devi ripetere il messaggio come ti hanno ordinato. »
« Ma io non ho capito niente, per me, sono parole incomprensibili. »
« Se tu ed io non sappiamo cosa vogliono dire, qualcuno le capirà, l’importante non dimenticare le parole del messaggio. »
« Non ti preoccupare, le ho fissate nella mente. »
« Speriamo bene. »
Prima di arrivare a Pisac, passammo per Huayllarcocha.
Huayllarcocha era un villaggio di contadini che ci salutarono quando passammo tra loro e a loro ripetei il messaggio e loro rimasero senza parole.
Arrivammo poi a Puca Pucara dove potei vedere le rovine della fortificazione che ne aveva parlato il professore.
Dopo aver camminato un’altra mezza ora, arrivammo a Pisac.
A Pisac come successe a Huayllarcocha, ogni indio che incontravamo ripetei il messaggio.
Di Pisac in se stesso, non mi interessava molto, così ci dirigemmo verso quello che era chiamato il santuario di Huanca che si trovava vicino al villaggio di Pisac.
Come aveva detto Manuel; l’area era famosa anche per le sue rovine inca, note come Pisac Inca, situate in cima ad una collina, all’entrata della valle.
A Pisac avremmo passato la notte a casa di un suo cugino.
Quando eravamo nei pressi delle rovine, mi successe una cosa strana (questo lo seppi da Miguel il giorno dopo). Dissi a Miguel che, dovevo rendere omaggio a Inti facendogli un’offerta.
Miguel dopo avermi conosciuto all’incrocio, non disse niente, si limitò a seguirmi.
Come se conoscessi la strada,  mi diressi su una stradina in direzione di Intihuatana.
Giunto nei pressi del tempio incominciai ad intonare un canto.
Arrivato davanti all’altare, presi una Ferratella che avevo preso dallo zaino mentre salivo la collina e la diedi a qualcuno che la posò sull’altare dedicato al dio Inti.
Retrocendendo lasciai il tempio e ripresi a scendere dalla collina, seguendo Miguel.
Cosa successe a casa del cugino di Miguel, ripetei il messaggio che avevo detto ai contadini di Huayllarcocha e tutti mi trattarono come se fossi un persosaggio importante, anche perché mi comportai in un modo strano.  
La mattina su sugerimento di Miguel non mi feci la barba e dopo aver fatto colazione, lasciai un sacchetto di Ferratelle alla famiglia e salutandoli, ripartimmo diretti a Ollantaytambo, passando per i villaggi di Colla, Lamay, Aranwa, Huayubamba, Yucai e Urubamba.
Strada facendo chiesi a Miguel, per quale motivo non mi dovevo fare la barba, e Miguel rispose che con la barba ero più attraente per le donne.
Sarà vero (non ci credevo), ogni volta che incontravamo qualche indio, ripetevo il messaggio, fino ad arrivare a Urubamba.
Il villaggio peruviano di Urubamba dal quechua “piatta terra di ragni” sorgeva sulla riva del fiume omonimo ai piedi delle montagne innevate di Chicon.
Essendo il villaggio più grande della Valle Sacra degli Inca è visitato da molti turisti in viaggio verso Machu Picchu.
Mentre pranzavamo in una taverna, Miguel mi chiese se gli facevo vedere la macchina fotografica, gliela mostrai,  e lui disse di non conoscere quel modello.
Mi chiese di mostrargli come funzionava e glielo feci vedere, allora  mi domandò se gli lasciavo fare delle foto.
Non avevo nulla in contrario.
Nella taverna dove mangiammo, non vollero che noi pagassimo, ne chiesi spiegazione a Miguel; lui disse di non saperlo, forse era per il messaggio che avevo trasmesso.
Dopo esserci fermati a Urubamba per il pranzo, riprendendo il viaggio arrivammo a Ollantaitambo all’imbrunire.
Come era successo a Pisac, venni preso da uno stato ipnotico tale da non ricordarmi nulla fino al mattino a casa del conoscente che ci ospitò.
Il mattino dopo aver lasciato un sacchetto di Ferratelle per i bambini riprendemmo la strada che sale da Agua Caliente fino alla cima della montagna in cui sorgeva Machu Picchu.
Una volta arrivato,  mi risuccesse quello che mi era capitato alle altre due fermate.
Al mattino ( nonostante non ricordassi nulla di come avevo passato la notte) dopo aver fatto colazione e lasciato le Ferratelle, riprendemmo il cammino, visitando le rovine.
Abbiamo dovuto fare la fila come gli altri turisti per entrare, dopo aver pagato il biglietto
entrammo e prima di cominciare il giro dissi: « Qui ci sono già stato! »
« Quando? » mi chiese Miguel.
« Quando non lo sò, facciamo una cosa. Mettimi la sciarpa davanti agli occhi, così che non possa vedere, poi ti dirò quello che mi ricordo di aver già visto. »
Così Miguel fece, coprendomi gli occhi.
Dopo avermi fatto girare (come una trottola per disorientarmi), mi lasciò. Con le mani avanti toccai un muro e girandomi sulla mia destra dissi: « Qui ci troviamo nella strada principale, sulla mia destra ci sono le Sorgenti rituali. »
Fatti venti passi mi fermai, dicendo: « Nella mia sinistra c’è la Tomba Reale dove riposavano tutti i re a partire da Pachacuti. Vicino alla Tomba Reale c’è il Tempio del Sole che fanno parte alle abitazioni del Gruppo del Re. »
Fatti pochi passi mi fermai indicando con la mano il lato sinistro. « Su questo lato cominciano le terrazze e lì vicino c’è il Tempio dedicato al dio Condor. Al centro di quello spiazzo c’è la Piazza Sacra. »
Continuai a camminare e quando mi fermai di nuovo dissi: « Nella sinistra c’è un luogo chiamato Gruppo Superiore in cui fanno parte, il Tempio delle Tre Finestre e il Tempio Principale. In fondo c’è la Roccia Sacra e parallelemente a sinistra c’è una costruzione piramidale chiamata Intiwatana, in cima della quale c’è una pietra disposta affinché i quattro angoli siano posti alle quattro montagne che circondano Machu Picchu. Alla mia destra c’è il Quartiere Abitativo e quello Industriale. » finito di parlare e non avendo altro da dire, mi tolsi la sciarpa e potei vedere intorno a me un gruppo di gente mi cominciarono a farmi delle domande ognuno nella sua lingua.
Potei rispondere solo a quelli cui conoscevo la lingua: « Non lo so, ci devo essere stato in una prima rincarnazione. » finimmo il giro fino al segnale che indicava l’uscita, tra le rovine, che a me, a parte la mancanza delle coperture delle case, non mi sembravano delle rovine come avevo visto negli altri posti già visitati.
Dopo un paio di ore lasciammo quello che a detta dalla guida doveva essere stata una città Inca, a me parve più trattarsi di un grosso villaggio.
Da Machu Picchu dovendo riprendere  la strada per la montagna, indossavamo abiti pesanti, adatti a quelle altitudini, facendo in cammino inverso del Triglio Inca.
Avevamo appena lasciati Machu Picchu che Miguel mi disse: « Ti è piaciuto Machu Picchu? »
« Si! Anche se prima di chiamarsi Machu Picchu si chiamava Huana Puchak. »
« Come lo sai che era Huana Puchak? »
« Me lo hanno detto loro. »
Miguel dopo quello che era successo all’uscita di Cuzco, non mi fece più domande.
Ogni tanto incrociavamo turisti diretti a Machu Picchu.
Passammo per vari villaggi e visitammo molte rovine, poi ci fermammo per dormire  a Phuyupatamarca.
A  Phuyupatamarca mi successe quello che mi era capitato ogni volta che ci fermavamo per la notte, solo che non ricordavo nulla e alle domande rivolte a Miguel, rispondeva come sempre: « Quando siamo arrivati a Phuyupatamarca hai detto di aver sonno e quando siamo arrivati a casa di un mio parente, hai cenato dormendo e ti abbiamo spogliato e messo a letto già addormentato. »
Sarà, io non mi ricordavo niente.
Dopo  Phuyupatamarca   arrivammo   a   Sayacmarca  a  3580  metri  e  ci  fermammo a
Dormire a Runkurakay che si trovava a 3800 metri di altitudine.
Come ogni volta che ci fermavamo, mi successe la stessa cosa.
Ormai non domandavo più a Miguel cosa mi era successo, sapendo già la risposta.
Dopo Runkurakay la strada cominciò a scendere e quando  ci fermammo a Qorihuayrachina eravamo a 2498 metri.
Mi successe quello che mi accadeva ogni volta che ci fermavamo per la notte.
Dopo Qorihuayrachina prendemmo la strada che normalmente tutti i camminatori fanno in pulman che è di 84 chilometri.
Passando per vari centri o villaggi, se non c’erano rovine Inca, mi limitavo  a trasmettere il messaggio a agli indios che incontravamo.
A sera ci fermammo a dormire in casa di amici di Miguel a cui trasmisi il messaggio.
La mattina dopo aver lasciato il sacchetto di Ferratelle (come ringraziamento), proseguimo verso Cuzco.
Prima di arrivarci dovevamo passare per altri centri e altri villaggi.
Da Andahuaylas a 9 kilometri si trova il cerntro aecheologico di Waywaba.
Ci recammo a visitare le rovine Inca e come ogni volta che mi trovavo vicino a delle rovine, mi prendeva un non só che; e mi passava solo dopo una nottata di sonno.
Da Andahuaylas andammo verso Huancarama.
Prima di arrivarci facemmo una deviazione verso la Laguna di Pacucha.
Pacucha era un villaggio che una volta (a detta di Miguel) era una bella città che fu distrutta per causa di un malinteso.
Come arrivammo, molta gente ci venne incontro.
Erano vestiti a festa con costumi antichi.
Fui ricevuto da un abbraccio caloroso da un uomo che doveva essere una persona importante.
Finito l’abbraccio (che mi sembrò un pó lungo), mi presentò alla famiglia: due figli e due figlie e a vari nipoti di varie età.
Fummo invitati ad entrare in una bella casa (anche se di pietra).
Non  capivo  quello  che  mi dicevano; Miguel mi faceva da interprete dicendo: « Siamo arrivati  in  un  giorno  molto  speciale. »  spiegò  « La  figlia  più  giovane di Sebastian (l’uomo che mi aveva abbracciato), Teresa, fa oggi quindici anni. Tutta la famiglia va a festeggiare il compleanno di lei in casa e per questo vai a poter conoscere i Tucanos (il cognome del padre), tutti una volta; ma come devi essere stanco del viaggio che abbiamo fatto, ti lasciamo riposare inquanto Sebastian e la famiglia trattano dei preparativi per la festa. Verso le sei Andreas ti andrà a svegliare. Se ben ricordo, la festa si andrà ad allungare per tutta la notte, per questo, riposa bene. »
Male mi stesi sul letto, mi addormentai subito.
Avrei dormito chissà quanto se non mi avesse svegliato Andreas (il figlio più giovane di Sebastian).
Dopo avermi sciaquato la faccia (l’acqua da quelle parti è sempre fredda), tirai dallo zaino il vestito meno stropicciato.
Andreas scuotendo la testa mi indicò un altro vestito (se non eravamo a Carnevale, lo sembrava).
Non lo volevo indossare, ma dopo tante insistenze (per non offendere) lo indossai.
Mi sembrava di essere un capo Inca.
Quando stavo nel mio paese (Villavallelonga) avevo assistito a tante feste paesane, così non mi impressionai poi tanto.
Ma quando vidi quello che avevano preparato, rimasi a bocca aperta e a bocca aperta rimasero loro quando mi videro.
Si gettarono in ginocchio chiamandomi Viracocha (un nome strano che dovevo aver sentito, anche se non ricordavo dove!).
Di certo volevano scherzare con me.
Non sapevo cosa dovessi dire.
Miguel mi disse di dire loro il messaggio (che avevo imparato a memoria).
Lo pronunciai e come sempre, tutti rimasero impressionati da quello che avevo detto; (nonostante continuavo a non capire il significato delle parole).
Quando si rialzarono e cominciarono a ridere e a cantare, mi ricordai di Teresa.
Non avevo nulla da regalarle, poi mi ricordai delle Ferratelle (era rimasto l’ultimo sacchetto). Lo presi dallo zaino e glielo diedi.
Non voleva prenderlo; ( e io che insistevo dicendo: « Sono buoni, li faccio io »!).
Dopo che Miguel disse qualcosa lo prese (tanto delicatamente che sembrava non volesse rompere le Ferratelle).
Le migliore amiche di Teresa anche stavano presente, con i loro vestiti colorati e giovani pretendenti con i loro migliori vestiti.
Erano presenti gli zii, nonni e tutti gli abitanti del villaggio.
C’erano fiori, festoni, luci colorate e, sopratutto una atmosfera di amore.
Ero stato obbligato a sedermi su un trono di vimini (mi ero seduto per non offenderli, ma mi sentivo a disaggio).
Tutti ballavano e cantavano. Cantavano sopratutto antiche canzoni.
Tale come Miguel aveva previsto, la festa si prolungò fino a notte tarda.
La famiglia aveva arrostito un vitello intero allo spiedo e servito tutte le specialità che si potesse immaginare, compreso una torta con più di un metro e mezzo di altezza e tre persone unite con le mani in circonferenza.
Fui presentato a tutta la gente (anche se con il nome di Viracocha e non con il mio che mi sforzavo a ripeterlo) e tutti mi abbracciavano facendomi sentire come uno di loro.
Agli abbracci preferivo quello delle donne.
Ballai, mangiai e bevvi. Scherzai con le ragazze e giocai con i più piccoli, anche con quelli che mi tiravano la bianca barba.
Quando la festa terminò, stava ad albeggiare e intorno a me c’era rimasta poca gente (sveglia), i più dormivano dove capitava.
Dopo aver aiutato a portare a letto i più piccoli, mi ritirai nella stanza che mi avevano messo a disposizione e mi addormentai tutto vestito.
Mi svegliai che era giorno inoltrato, stavo sotto le coperte ed ero nudo.
Chi mi aveva spogliato e messo a letto; e perché ero nudo?
Quando mi alzai dal letto, sentii la testa girarmi e avevo una fame da lupo.
Per la testa girarmi diedi colpa al vino e liquori della sera prima.
Dopo avermi lavato e rivestito (con i miei abiti, uscii dalla stanza e mi lasciai trasportare dall’odore di cibi.
Il tavolo della cucina era coperto di cibo (avanzi) del giorno prima.
Aspettavano me per cominciare (me lo disse Miguel) come mi sedetti e presi un pezzo di arrosto, cominciarono tutti a mangiare e a parlare (con la bocca piena).
Spesso sentivo la parola “Viracocha”.
Quando smisi di mangiare (non volendomi appesantire), mi alzai da tavola e dicendo a Miguel che era meglio andare, sennò finiva che restavamo un’altra notte.
Salutammo la famiglia Tucanos e tutti gli abitanti del villaggio che incontravamo e riprendemmo la strada che da Pacucha portava a Huancarama.
Da Huancarama passammo per Abancay e a sera inoltrata arrivammo a Cuzco.
Anche se era tardi, il Professore Manuel e la moglie Anita ci aspettavano.
Dopo cenato e salutato Miguel, mi accompagnarono in una camera (di certo per gli ospiti) e mi lasciarono dormire.
Ero veramente stanco della lunga camminata che; mi addormentai subito.
Mi svegliò l’aroma del caffè.
Dopo avermi lavato e vestito, andai in cucina e feci colazione.
In cucina oltre la famiglia, c’era anche Miguel.
Finito di mangiare andammo allo studio e accomodati in comode poltrone, ascoltammo il resoconto di Miguel del nostro viaggio.
Oltre le parole, Miguel mostrò le immagini delle foto e i filmati fatti con la mia macchina fotografica che grazie ai miei suggerimenti, Miguel aveva provveduto a cambiare le “Memorie” e caricato le batterie.
Manuel (il professore) aveva scaricato tutto nel suo computer e passato in un grande schermo televisivo.
Mi potevo vedere ogni volta che entravo in (transe).
Mi comportavo in modo strano, parlando con qualcuno che non si vedeva, dicevo parole che non comprendevo.
Ne chiesi spiegazione a Manuel e lui mi disse di pazientare fino alla fine.
C’era tutto, da quando avevo prestato la macchina fotografica a Miguel a quando eravamo arrivati alla laguna di Pacucha.
Il Professore volle sapere perché avevo chiamato Machu Picchu, Hanan Pacha.
« Perché me lo hanno detto loro. quello che gli Inca chiamarono Machu Picchu, altro non era che Hanan Pacha, il luogo definito come il Mondo di Sopra, costruito prima dell’arrivo di Viracocha e degli Incas. Loro (abitanti da un altro pianeta) avevano scelto la Terra che aveva un atmosfera simile alla loro.
« Si istallarono nel pianeta e popolarono vari continenti, uno dei quali era Atlantide fino a quando nell’anno 7.120 una meteorite stimata di circa quattro miliardi di tonnellate, si schiantò sulla superficie terrestre con un effetto devastante. Quelli che avevano abbandonato la terra, grazie agli astronomi che avevano previsto l’impatto,  si salvarono, abbandonando
tutto quello che avevano creato.
« Machu Picchu era stata scelta come una base di osservazione. In quanto il punto era adatto per fare atterrare delle piccole aereonavi e anche perché dove era stata costruita la base, era imprervia e difficoltosa da raggiungere se non per via aerea. Il trasporto delle pesanti  e volumose pietre  necessarie alla costruzione dei locali dove vivevano, era difficoltoso fu soltanto con l’aiuto delle loro macchine, con le macchine costruirono i terrazzamenti e con le macchine li ricoprirono con 25.000 tonnellate di terra presa dalle varie pianure. »
« Perché Machu Picchu fu abbandonata? »
« Prima dell’arrivo dei Viracochas (come gli indios locali li chiamarono), la Terra aveva un clima adatto agli abitanti venuti dallo spazio, quando ci fu l’impatto della meteorite, il succedersi delle trasformazioni, consigliarono loro di abbandonare la Terra e cercare un altro pianeta.
« Quando arrivarono i Viracochas, trovarono delle strane costruzioni in pietra che adattarono al loro bisogno. Viracocha (il loro re) dietro delle visioni, volle dedicare dei templi a loro onore che non conoscendo la loro identità, li identificò come: il Sole, la Luna e le Stelle. Vide (in sogno) la loro base sulla montagna, per raggiungerla dovette far costruire una strada e una volta giunto rimase meravigliato da quello che vide.
« La volle chiamare Hanan Pacha definitendola come una città sopra il mondo dove si potevano incontrare tutte le divinità, il mondo celestiale dove stavano gli dei più importanti. Quando anche i viracochas andarono via per civilizzare altri popoli, lasciarono Hanan Pacha avvolta in una nebbia fino all’arrivo di Pachacuti (il nono  re Inca), la scoprì (in sogno), mudò il nome Hanan Pacha in Pachu Picchu perché voleva dire Vecchia Montagna e ne volle fare un santuario dedicato alle Sacre Vergini del Sole che erano giovani donne votate agli dei.
« La popolazione a Machu Picchu era di circa settecentocinquanta abitanti di cui l’80% era composto di donne. Era anche la residenza (oltre che dal re), dei sacerdoti di Cuzco e del loro seguito. Pachacuti volle le rifiniture della città molto attente nei particolari in special modo nei monumenti religiosi.
« Dopo Pachacuti a Machu Picchu regnò suo figlio Túpac Inca Yupanqui, poi Huayna Cápac e dopo i due figli Huáscac e Atahualpa i quali non andavano d’accordo e si divisero. Huáscac regnò su Machu Picchu fino alla sua tragica morte. »
« Che morte? »
« Fu scoperto un sacrileggio in cui furono accusati quattro sacerdoti per aver avuto rapporti carnali con le Sacre Vergini del Sole. Dopo una accurata visita, tutte le ragazze che avevano avuto rapporti con i sacerdoti furono strangolate e i sacerdoti sarebbero stati lapidati. Nonostante dichiarassero la loro innocenza, furono legati a dei pali posti presso la Roccia Sacra. Quando le guardie del re si preparavano per lanciare le pietre, uno dei sacerdoti chiese aiuto a Apu Illapu il dio della pioggia e dei temporali che ascoltando le sue preghiere, corse in suo aiuto, facendo oscurare il sole (nonostante fosse giorno) e cadere prima una pioggia torrenziale, seguita da una grandinata i cui chicchi erano grandi come uova.
« Le guardie corsero a ripararsi lasciando il re esposto all’intervento divino. Huáscac fu colpito varie volte che finì per morire. Il popolo capì che non erano stati i sacerdoti a commettere il sacrileggio anche perché la grandine non li aveva colpiti. Dopo averli liberati, lasciarono la città abbandonando tutti i loro averi perché per causa del sacrileggio, tutte le cose diventavano impure.  
« Dopo aver guardato il Monolito ero rimasto preso dagli dei del passato ed ero diventato il loro messaggero. Quello che trasmettevo e (non capivo) era: Svegliatevi i dei stanno tornando, preparate la strada, ricostruite i templi, tornate alle origini, con loro arrivo, voi tutti discendenti degli antichi Incas tornerete agli splendori di un tempo passato. Ecco perché ogni volta che trasmettevo il messaggio, rimanevano impressionati. »
Quando domandai a Miguel del perché ero nudo al letto della casa dei Tucanos.
Miguel mi disse che: ogni volta che entravo in transee andavo a letto, una donna della famiglia che ci ospitava, andava a letto con me a fare l’amore. Loro credevano che il frutto di quell’amplesso sarebbe stato un semideo.
« Spero di essere stato all’altezza delle loro aspettative? »
« Puoi stare tranquillo, tutte le donne hanno parlato bene di te (Viracocha).
« A proposito, perché mi continuavano a chiamare Viracocha? »
« Perché Viracocha era di carnagione bianca e aveva la barba. »
« Ecco il motivo del perché non hai voluto che mi facessi la barba. »
Stavamo ancora parlando, quando la madre del professore apparve, dicendo in quechua che c’erano persone che volevano vedere il messaggero di Viracocha.
Uscimmo tutti dallo studio. Fuori casa (oltre ai turisti) c’erano molti indios vestiti alla moda antica.
Come mi videro cominciarono a parlare tutti insieme in un linguagio incomprensibile, chiedendo (a detta di Miguel) di ripetere il messaggio che mi avevano dato gli antichi dei.
Non avevo nulla in contrario (dato che lo avevo imparato a memoria).
Finito di parlare mi vennero tutti incontro abbracciandomi e chissà portandomi se non fosse intervenuto Manuel a salvarmi.
A detta del professore avevo fatto in modo che i discendenti degli antichi Inca si svegliassero dal tepore che li aveva presi dalla conquista dei conquistatori spagnoli, fino al mio arrivo.
Per poter uscire dalla casa in tranquillità, mi consigliarono di tagliarmi la barba e dopo avermi tinto la faccia (opera della signora Anita) e indossato un ponce puruviano, potei tornare (con la macchina alla pensione  Casa de Mama dove; dopo aver fatto il bagno e cambiato vestito, pagai il conto e con un taxi andai all’aereoporto dove presi il volo per Lima e da Lima con mia moglie e São Pedro saremmo tornati nella nostra casa in Portogallo.
Non arrivai a Lima.
Mi svegliai prima...era stato solo un lungo sogno.
  







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