Mi chiamavo Adolfo Lavandino, anche se mi sarebbe piaciuto chiamarmi
Rodolfo Valentino.
Non fu per colpa mia, ma di mio padre che si chiamava Tullio Lavandino e mi
chiamò Adolfo, perché ero il primo figlio, e per ordine alfabetico.
A detta delle mie compagnette (prima) e amiche (dopo), ero un bel ragazzo e
pur di stare vicino a me, erano disposte a fare tutto quello che volevo, come:
fare i compiti al posto mio o portarmi qualsiasi golosità.
Quando fui grande, le richieste erano diverse e loro, pur di stare vicino a
me, facevano tutto quello che chiedevo loro.
Sentendomi un Valentino redivivo, mi iscrissi ad una scuola di ballo,
costringendo le mie amiche a fare altrettanto.
Il ballo preferito era il tango e quando lo ballavo, tenevo una rosa rossa
tra i denti e quando alla fine del ballo, baciavo la ragazza del momento, lo
facevo tenendo la rosa tra i denti e facendo correre il rischio di pungersi
alla donna che mi baciava.
Un giorno conobbi una donna più grande che s’innamorò di me e pur di
tenermi vicino, mi comprò un palazzetto stile arabo e invitare nel mio harem,
tutte le donne che volevo, chiedendomi però di trattarla come: la concubina
preferita.
Nonostante avessi un conto in banca, non spendevo nulla.
Quando andavo per i negozi (di lusso), erano loro che pagavano, così anche
nei ristoranti.
Una sera però...
Ero ad un ristorante chic, circondato da venti bellissime donne.
Quando arrivò il cameriere, ordinai per cena tutto quello che c’era di
meglio e più caro.
Portarono l’antipasto.
Come ero solito fare, feci cenno di servire prima le donne, ben sapendo che
loro non si sarebbero servite se non ero io a servirmi per primo.
Solo che...quella sera le cose andarono diversamente.
Loro si servirono abbondantemente, non lasciando niente a me.
Così fu per il primo, il secondo, il terzo e il quarto piatto.
Che stava succedendo?
Neanche un pezzetto di pane.
Loro mangiavano cibi prelibati e bevevano champagne (del più caro), io
potevo solo bere un pó della semplice ed economica acqua.
Alla fine...quando non ne poterono più, chiesero il conto (che non
pagarono) ma, lo indirizzarono a me.
Era un conto astronomico, più di centomila euro.
Mi stava per prendere un colpo.
Inoltre; non soddisfatte di quello che avevano mangiato e bevuto, volevano
che facessi l’amore con tutte loro.
Mi volevano morto.
Lanciando un urlo, mi anzai dalla sedia, facendola rovesciare all’indietro
e sempre gritando, fuggii dal ristorante, inseguito dalle donne e dal padrone
del ristorante.
Mi svegliai di colpo, era stato solo un sogno, un incubo provocato dalla
cena nel ristorante Romolo e Remo in cui ero con altri dicianove convitati
amici, in cui, la regola era: più si mangiava, meno si pagava.
Per quel motivo mangiai molto, tanto che la notte feci quel sogno.
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